Solo il 55% delle madri lavora, incidono stereotipi di genere e l’assenza dei servizi per l’infanzia. Ad oggi speso solo il 7,5% dei fondi PNRR per asili nido

In Italia, una donna su cinque lascia il lavoro dopo la maternità. Questo fenomeno è legato a stereotipi di genere radicati, che fanno ancora ricadere sulle donne la responsabilità principale della cura dei figli.
Il risultato è un tasso di occupazione femminile più basso rispetto agli uomini, soprattutto tra le madri di bambini piccoli.
Secondo i dati raccolti da Openpolis, nel 2023, solo il 55,3% delle donne tra 20 e 49 anni con almeno un figlio sotto i 6 anni lavorava, contro il 90,7% dei padri. Questo divario di 35,4 punti percentuali è uno dei più alti in Europa, superato solo da Repubblica Ceca (51,3 punti) e Grecia (37,1 punti). In paesi come Danimarca e Svezia, la differenza si riduce a circa 10 punti percentuali.
L’importanza degli asili nido
Uno dei fattori chiave per favorire l’occupazione femminile è la presenza di asili nido e servizi per la prima infanzia. Nel 2022, in Italia erano disponibili 30 posti nido ogni 100 bambini sotto i 3 anni, un dato in crescita ma ancora lontano dagli obiettivi europei.
Le differenze territoriali sono marcate:
- 11 regioni hanno superato la soglia del 33%, con il Piemonte (32,7%) molto vicino all’obiettivo;
- Nel Mezzogiorno, invece, molte aree restano sotto il 20%, proprio dove la partecipazione femminile al lavoro è più bassa.
Nei comuni con un rapporto più equilibrato tra occupazione maschile e femminile, l’offerta di nidi raggiunge 40 posti ogni 100 bambini. Al contrario, dove gli uomini lavorano il doppio o più delle donne, i posti scendono a 7 ogni 100 bambini.
Il divario Nord-Sud: i dati comunali
Le città con più occupazione femminile sono tutte nel Centro-Nord, tra cui Belluno, Siena, Bolzano, Trento, Lodi e Milano, con un tasso tra il 75,7% e l’81,9%. Qui l’offerta di servizi per la prima infanzia è superiore alla media nazionale, raggiungendo quasi 60 posti ogni 100 bambini a Siena.
Al contrario, le 10 città con meno occupazione femminile si trovano tutte nel Mezzogiorno, da Catania (42,1%) a Trani e Siracusa (47,4%). Anche l’offerta di asili è nettamente inferiore: appena 8 posti ogni 100 bambini a Catania, e meno di 20 posti in quasi tutte le altre città del Sud.
Una strategia per colmare il divario
Per aumentare l’occupazione femminile e ridurre le disuguaglianze territoriali, è necessario potenziare l’offerta di asili nido, rendendoli più accessibili economicamente.
A livello europeo, gli Obiettivi di Barcellona stabiliscono che ogni Paese debba garantire almeno il 33% di copertura per i bambini sotto i 3 anni. Nel 2022, l’Italia era 3 punti sotto l’obiettivo, con un aumento previsto al 45% nei prossimi anni.
Senza un rafforzamento dei servizi per l’infanzia, si rischia di alimentare un circolo vizioso:
- Dove ci sono meno nidi, più donne rinunciano al lavoro;
- Meno donne occupate significano meno domanda di servizi educativi;
- Il sistema resta bloccato, soprattutto nelle aree più svantaggiate.
L’estensione e il miglioramento di questi servizi sono quindi una leva strategica fondamentale per ridurre il divario occupazionale tra uomini e donne e per garantire pari opportunità lavorative su tutto il territorio nazionale.
Le priorità del Ministero e i fondi del PNRR
Nell’Atto di indirizzo del Ministero dell’Istruzione e del Merito si individuano gli investimenti negli asili nido come una priorità. Tuttavia, secondo i dati del Governo, al 13 Dicembre 2024 (ultimo aggiornamento) è stato speso soltanto il 7,5% dei fondi PNRR disponibili. In particolare, dei 3,2 miliardi di euro disponibili ne risultano spesi solo 244 milioni, sebbene i ritardi nell’attuazione degli investimenti possono essere attribuibili a diversi fattori:
- Complessità burocratiche e lentezze nei bandi di gara;
- Difficoltà amministrative nella gestione dei fondi da parte degli enti locali;
- Carenza di infrastrutture adeguate, soprattutto nelle aree con maggiore bisogno di servizi per l’infanzia.
Il mancato utilizzo tempestivo delle risorse del PNRR rischia di compromettere questo obiettivo, ritardando i benefici per le famiglie e per il sistema economico.