Smartphone in classe? “Preziosa opportunità per insegnarne un uso consapevole”. INTERVISTA al Professor Andrea Raciti

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Da un lato il nuovo corso del Ministero dell’Istruzione e del Merito, secondo cui l’utilizzo eccessivo di dispositivi elettronici in classe è considerato un fattore di distrazione che incide negativamente sull’apprendimento e alimenta la tensione tra studenti e docenti. “Nelle prossime Linee guida del ministero – si legge in un comunicato del Mim vi sarà un passo in più: il cellulare verrà di fatto vietato alle scuole dell’infanzia, alle elementari e alle medie anche per scopi didattici”.

Dall’altra molti docenti che invece credono nell’uso del dispositivo personale per fini didattici e che con molto garbo e rispetto per le annunciate Linee guida di Valditara, sostengono la sua utilità: “Vietare a scuola l’uso didattico dello smartphone osserva il professor Andrea Raciti, docente di sostegno e formatore sulle competenze digitali – sarebbe un po’ come se, dopo aver comprato uno scooter a un ragazzino, gli negassimo poi la possibilità di comprendere il significato dei segnali stradali e di imparare a guidare in maniera prudente e consapevole. Lo smartphone rappresenta a mio avviso uno strumento neutro, ma può diventare davvero molto pericoloso se utilizzato irresponsabilmente. È proprio per questo che la scuola dovrebbe raccogliere questa sfida e trasformarla in una preziosa opportunità educativa. Personalmente, sono convinto che le Linee guida sull’educazione alla cittadinanza a cui sta lavorando il Ministero dell’Istruzione e del Merito non porranno un divieto categorico sull’uso dello smartphone a fini didattici e che si lascerà agli insegnanti uno certo spazio di discrezionalità in cui agire in tal senso, offrendo piuttosto una regolamentazione maggiormente dettagliata che possa meglio orientare le scuole”.

Alla primaria e alle medie, insiste il Mim, verrà suggerito di evitare l’uso del tablet. Sia per questioni di didattica, naturalmente, sia perché spesso l’utilizzo in proprio di smartphone e tablet diventa nel rapporto tra studenti e docenti un elemento di tensione, che in alcuni casi porta anche all’aggressione del personale scolastico. Meno distrazioni, più responsabilità, più delega. In una nota il Ministero precisa che nelle nuove Linee guida sull’educazione alla cittadinanza, che sono in via di elaborazione, sarà contenuta la seguente dizione: “È opportuno evitare l’utilizzo dello smartphone (cellulare) nelle scuole d’infanzia, primarie e secondarie di primo grado”. Si consiglia invece un uso solo didattico del tablet per le scuole primarie.

Non sono poche le prese di posizione contro l’uso del cellulare in classe. Non solo l’uso didattico, naturalmente, ma anche gli abusi che se ne fanno. Nelle nostre scuole, specie nelle “superiori”, il livello di dipendenza psicologica, quasi psichiatrica nei confronti dello smartphone è tale che difficilmente si riesce a far lezione senza dover richiamare all’attenzione gli studenti i cui occhi sono sempre rivolti a uno schermo, sia pure nascosto sulle ginocchia. Si stanno inoltre diffondendo movimenti spontanei di genitori che si mettono in rete e che firmano patti per il non utilizzo dello smartphone, anche fuori dalla scuola, prima dei 14 anni. Vari insegnanti e dirigenti scolastici hanno deciso da parte loro che lo smartphone vada tenuto in cassetto appositamente allestito in aula.

“Ma chi lo ha messo lo smartphone nello zaino dei ragazzi?”, s’è chiesto più volte Giuseppe Lavenia. Lo psicoterapeuta è docente presso l’Università Politecnica delle Marche e insegnante di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e psicologia delle dipendenze tecnologiche per l’Università telematica Ecampus ed è pure presidente dell’associazione Di.Te., che sta per Dipendenze Tecnologiche: “Il problema dell’abuso dello smartphone – ammette lui – è reale. Ne parlo attraverso studi e ricerche da oltre quindici anni, ma si sta cercando una finta soluzione. Abbiamo dato gli smartphone a bambini piccolissimi senza una regola, li abbiamo resi digitali sin da neonati, li abbiamo esposti ai social, gli attiviamo i gruppi classe su whatsapp sin dalla scuola dell’infanzia, li mandiamo in rete con il registro elettronico (perché il diario non ci piaceva proprio!) e arrivati adolescenti gli sequestriamo il telefonino? Anzi, peggio ancora, non abbiamo la forza e il coraggio di farlo noi ma lo facciamo fare a qualcun altro, ad una istituzione come la scuola. La scuola deve formare, non vietare. La scuola deve certamente insegnare agli studenti l’utilizzo consapevole delle nuove tecnologie e dei social ma non essere delegata anche a togliere lo strumento digitale ai ragazzi”.

Professor Andrea Raciti, torniamo dunque sull’argomento. Lei come la vede questa questione?

“Ritengo che la scuola debba avere un ruolo educativo fondamentale nell’orientare i ragazzi verso un uso corretto delle tecnologie e dei nuovi media. Si tratta di educazione civica digitale, da declinare ovviamente in modo trasversale nella didattica quotidiana, prescindendo dall’insegnamento delle singole discipline. Ci troviamo di fronte a una sfida educativa a cui credo che la scuola non possa rinunciare”.

Il Ministro Valditara però solleva un problema che è quasi un’emergenza nelle nostre scuole

“Il Ministro fa bene a individuare una grande emergenza sociale riguardo all’uso improprio dello smartphone da parte dei ragazzi, perché è giunta l’ora che la scuola si occupi seriamente del problema. Premetto che, mio parere, la società ha commesso un errore imperdonabile a consegnare questa tecnologia in mano a ragazzini e, troppo spesso, purtroppo, anche a bambini. Penso, inoltre, che siamo tutti d’accordo nel sostenere che in classe i ragazzi non debbano poter tenere acceso (e tanto meno utilizzare) il proprio smartphone mentre l’insegnante spiega. Il punto ora è se vale la pena o meno vietarne l’uso anche per esclusivo scopo didattico, questo è il tema”.

Lei quale risposta s’è data?

“Io credo che lo smartphone a scuola vada sempre vietato, tranne che per particolari contesti didattici dove si renda possibile, sotto la guida e il controllo dell’insegnante, immaginare ambienti di apprendimento educativi che possono veramente arricchire e potenziare l’azione didattica nelle singole discipline e innescare processi virtuosi nell’ambito della media education. Sono sicuro, inoltre, che nessuno, e tanto meno il Ministero dell’Istruzione e del Merito, voglia mettere in discussione l’utilizzo delle nuove tecnologie, compresi i dispositivi personali (che spesso sono gli unici device tecnologici di cui dispongono gli alunni), nell’ambito della didattica inclusiva, quali strumenti in grado di facilitare l’apprendimento degli studenti con disabilità certificata o come strumenti compensativi di tipo informatico per garantire il diritto all’istruzione degli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento, così come previsto, rispettivamente, dalle Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità (nota MIUR prot. n. 4274 del 4 agosto 2009) e dalla Legge 170/2010.

Abbiamo assistito negli ultimi anni anche a un adeguamento in tal senso da parte dell’editoria scolastica che oggi propone libri che prevedono sempre più un arricchimento dei testi con contenuti multimediali e interattivi attraverso la scansione di un QR Code da parte degli alunni, i quali, ripeto, spesso non dispongono a casa di ulteriori strumenti tecnologici, come tablet o computer. E ancora: nell’ultimo decennio abbiamo investito tantissimo sulla formazione digitale dei docenti. Abbiamo messo in opera, per esempio, le varie azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale (2015), tra cui, nello specifico, l’Azione #6 – Linee guida per politiche attive di BYOD (Bring Your Own Device) – che prevede espressamente la possibilità di utilizzare a scopi didattici i dispositivi personali degli alunni e degli insegnanti, promuovendo l’integrazione degli stessi con la dotazione tecnologica delle scuole. L’espressione Bring Your Own Device, che tradotta letteralmente significa porta il tuo dispositivo con te, è stata successivamente declinata dallo stesso Ministero dell’Istruzione, nel 2018, attraverso il decalogo Dieci punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola. Un orientamento, questo, avallato anche dal Garante per la protezione dei dati personali che, all’interno del vademecum La scuola a prova di privacy, redatto nel 2016, ammetteva già l’utilizzo didattico dei telefoni cellulari, rimandando alle istituzioni scolastiche la possibilità di regolarne o inibirne l’utilizzo all’interno dei propri ambienti nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone coinvolte. La legge n. 92 del 2019, infine, prevede l’insegnamento dell’Educazione civica che ruota attorno a tre assi: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile e la cittadinanza digitale. Di fronte a tutto questo, come facciamo a educare ai media in classe senza che i ragazzi possano mai accedere ai loro media? In linea generale, bisogna certamente vietare l’uso dello smartphone a scuola e prevedere anche specifiche sanzioni all’interno dei regolamenti d’istituto per gli studenti che non rispettano tale divieto, ma riguardo l’uso puramente didattico e in ambito inclusivo bisognerà attendere la pubblicazione delle Linee guida sull’educazione alla cittadinanza in via di elaborazione prima di trarre conclusioni affrettate, perché sono convinto che al Ministero dell’Istruzione e del Merito si stia cercando proprio di trovare il giusto equilibrio per prevenire comportamenti scorretti da parte degli alunni e, al contempo, di non sprecare le opportunità educative e didattiche che possono derivare da un utilizzo critico e consapevole delle tecnologie digitali, mediato dalla guida e dalla responsabilità del docente”.

Insisto, il problema è l’uso improprio che se ne fa

“Mi chiedo: ma siamo davvero sicuri che il divieto di utilizzo dello smartphone a scopi esclusivamente didattici rappresenti la soluzione al problema? Vietarne l’uso didattico in classe, sarebbe sufficiente ad impedirne l’uso improprio da parte degli alunni?”

Risolverebbe?

“Si tratta di una questione delicata e difficile da gestire. Il problema esiste e rappresenta una grave emergenza che deve essere affrontata, a mio avviso, tramite interventi di educazione ai media rivolti agli alunni”.

Ma questo è un compito arduo? I docenti italiani sono in grado di svolgerlo nella fase attuale?

“Durante la pandemia gli insegnanti italiani hanno dimostrato massima professionalità e grande propensione al cambiamento, generando una significativa innovazione sia dal punto di vista didattico che metodologico. Occorrerebbe però fornire loro una specifica formazione al riguardo, magari favorendo anche lo sviluppo di un’apposita rete nazionale di formazione”.

Torniamo agli scopi educativi dello smartphone in classe. Provi a declinarli con degli esempi

“Io sarei veramente contento se i docenti insegnassero ai miei figli a prevenire le truffe in rete, a riconoscere i messaggi di phishing, a distinguere una fake news da una notizia vera, a rispettare il diritto d’autore in rete e, più in generale, a diventare cittadini digitali. Ma come si fa a fare tutto questo senza il coinvolgimento degli stessi device che i ragazzi utilizzano ogni giorno a casa? Si tratta di un cambiamento di tipo antropologico, di un nuovo umanesimo, di una rivoluzione culturale che coinvolge tutta la società. Non possiamo più ignorare che i modi di comunicare, di socializzare e di apprendere sono cambiati, anche per noi adulti. La scuola non può restare fuori da tutto questo; ha il compito di anticipare e governare il cambiamento, perché i rischi dell’utilizzo dello smartphone, soprattutto in età precoce, possono portare a conseguenze davvero devastanti: disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, problemi di memoria, dipendenza compulsiva dalla rete (Internet Addiction Disorder), fenomeni di cyberbullismo. Di fronte a queste preoccupazioni, risulta a mio avviso strategico sperimentare e promuovere a scuola l’utilizzo critico, consapevole e responsabile dei nuovi media, coinvolgendo anche esperti e le stesse famiglie degli alunni. Le competenze di cittadinanza digitale diventano a mio avviso prioritarie anche rispetto agli obiettivi didattici delle singole discipline. Ma davvero stiamo ancora a discutere se l’educazione ai media, attraverso i media, con tutte le difficoltà di gestione che senza dubbio essa può comportare, rientri o meno nel ruolo educativo della scuola?”

Vi rientra o no, secondo lei?

“Come ho già detto, in questi anni sono stati fatti importanti investimenti in questa direzione, sia per integrare la didattica tradizionale che per garantire il diritto allo studio degli alunni con Bisogni Educativi Speciali. Le tecnologie possono essere utilizzate in maniera impropria dalle persone, certo, ma possono anche risultare straordinariamente efficaci nel garantire opportunità didattiche, sociali e inclusive. Le faccio un esempio di utilizzo didattico. Io ho iniziato la mia carriera insegnando Matematica e Scienze nella Scuola secondaria di primo grado. Ai miei alunni, che non riuscivano in maniera astratta a comprendere le strutture molecolari e il funzionamento dei legami chimici, facevo letteralmente costruire le molecole di acqua, di anidride carbonica e di metano con palline di plastilina colorata e stuzzicadenti che fungevano da legami chimici. Oggi, grazie alla tecnologia che abbiamo a disposizione, è possibile sperimentare esperienze immersive di realtà virtuale e realtà aumentata attraverso cui manipolare gli atomi, costruire modelli tridimensionali di molecole e calcolare angoli di legame. La tecnologia ci permette di accedere a veri e propri laboratori virtuali, esplorare musei, conoscere altre culture, viaggiare in regioni geografiche lontane e, più in generale, costruire ambienti di apprendimento innovativi e accattivanti. Sarebbe importante però riuscire anche a creare una forte alleanza tra scuola e famiglia per offrire ai ragazzi modelli positivi e per prevenire i comportamenti scorretti in rete.

Ma come si fa con gli studenti che invece disturbano e che trovano nello smartphone uno strumento in più per distrarsi o addirittura per impedire lo svolgimento della lezione?

“La scuola non può funzionare solo con gli studenti modello, la scuola è anche degli alunni monelli, di quelli meno educati, dei ragazzi che non studiano, la scuola è di tutti. Noi insegnanti non disponiamo certo di una bacchetta magica con cui gestire le situazioni problematiche, ma tenere in conto i diversi stili di apprendimento degli studenti attraverso proposte didattiche innovative potrebbe rappresentare una soluzione nell’insegnare a gestire con responsabilità l’utilizzo dei dispositivi personali e a sapersi relazionare positivamente attraverso i social media. Facevano qualcosa di molto simile i miei professori, alcuni veramente straordinariamente empatici ed efficaci, quando ero studente, nell’insegnarci a controllare le nostre emozioni, nel promuovere la socializzazione e il rispetto degli altri, nel farci diventare protagonisti del nostro processo di apprendimento; lo fanno oggi ancora moltissimi docenti, anche grazie all’uso delle nuove tecnologie, nell’insegnare ai propri alunni a diventare cittadini digitali e nel suscitare in loro curiosità, interesse e persino amore per l’Arte, la Letteratura, le Scienze, la Storia, la Matematica, le Lingue straniere…”.

Nella pratica, cosa si deve fare?

“Come ho già detto, occorrerebbe investire più tempo in classe nell’insegnare agli alunni a gestire le nuove tecnologie in maniera adeguata”.

Lei la fa facile

“Io non ho la ricetta perfetta. Io credo solo che un uso didattico e virtuoso dei device personali, a integrazione della didattica tradizionale, potrebbe favorire questa «normalizzazione» dello strumento, contribuendo a limitarne gli usi impropri. Qualche anno fa, lessi di una sperimentazione condotta nel 2012 da Canalescuola su un campione di 200 alunni che evidenziava come gli studenti che in classe utilizzano il computer per integrare la didattica tradizionale ne indirizzerebbero poi l’uso soprattutto alle attività scolastiche, trascorrendo meno tempo davanti a questi strumenti, facendone a casa un uso più efficace rispetto ai loro coetanei e apportando una competenza significativa all’interno della propria famiglia. Questa sperimentazione dovrebbe farci riflettere su come potremmo intervenire per provare ad arginare il problema”.

Tutto corretto e interessante quel che sta dicendo. Ma se gli studenti quando è il momento di spegnere il dispositivo non lo spengono, cosa fare? Se lei scopre che un ragazzo sta usando il cellulare per chattare con gli amici invece che seguire la lezione che cosa farebbe?

“Trasformerei questo spiacevole episodio in un’opportunità educativa, accendendo magari un dibattito in classe sull’accaduto e sacrificando, senza alcun indugio, l’argomento di matematica programmato. Affrontare il problema in classe, insieme a un uso didattico ed efficace delle nuove tecnologie, potrebbe aiutare gli studenti a sviluppare maggiore consapevolezza e senso di responsabilità. Dalla mia personale esperienza, sembrerebbe che gli episodi di uso improprio dello smartphone subisca una sensibile riduzione proprio in quelle classi dove i docenti fanno abitualmente uso didattico e inclusivo delle tecnologie digitali”.

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