Smartphone in classe: “Le esperienze virtuose di BYOD (Bring Your Own Device) ne dimostrano l’efficacia didattica”. INTERVISTA a Lorenzo Redaelli

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Come cambia la scuola senza smartphone e come ripensarla nella società contemporanea? Ne abbiamo parlato con il Professor Lorenzo Redaelli, docente di italiano e storia e formatore certificato, presidente dell’Associazione Culturale Didattica Innovativa e amministratore di diversi gruppi Facebook.

Professor Redaelli, alla luce del recente provvedimento del Ministro Valditara, secondo lei è possibile realizzare una scuola digitale senza l’utilizzo degli smartphone?

È una domanda molto ostica, nel senso che ogni risposta rischia di essere parziale, perché la faccenda va affrontata da diversi punti di vista. Da una parte bisogna evitare che i ragazzi passino troppo tempo con i loro smartphone, anche durante il tempo scolastico, abituarli al rispetto delle regole e dei professori, senza contare che molte app, social network hanno dei termini di utilizzo che ne impedirebbero la fruizione sotto i 13 anni. Ma dall’altra parte non si può escludere dalla scuola il mezzo di comunicazione dei nostri tempi e far finta che nulla sia cambiato nel modo di recepire le informazioni delle nuove generazioni.

Ci sono tante esperienze virtuose di BYOD (Bring Your Own Device) che dimostrano che quando lo smartphone è utilizzato in modo attivo per facilitare gli apprendimenti funziona e non è un ostacolo. In realtà, io credo che in questo modo sia stia aggirando un problema per non affrontarne uno più ampio, che riguarda la qualità della didattica. Lo smartphone, così come i tablet e altri dispositivi digitali, possono essere dei fondamentali strumenti se si decide di adottare metodologie didattiche innovative, che mettano al centro lo studente stimolandolo con attività pratiche. Se invece si continua sulla strada della lezione frontale, spesso poco partecipata, e poi ci si lamenta che gli studenti si distraggano non si arriva a nessuna conclusione utile.

È anche vero che spesso, purtroppo, nel panorama italiano la didattica attiva viene bollata come meno “seria” rispetto al classico schema lezione-compiti a casa-verifica/interrogazione, senza una riflessione profonda dell’impatto sugli apprendimenti di tale trasmissione frontale. In sostanza, quello che voglio dire è che vietare lo smartphone non impedirà ai ragazzi di distrarsi, perché il motivo per cui lo fanno non è lo smartphone, ma il non essere coinvolti all’interno del processo di apprendimento, insomma togliamo lo smartphone ma non abbiamo risolto il problema.

Nella nostra precedente intervista possiamo dire che abbiamo anticipato il dibattito su scuola e intelligenza artificiale, ci può dire a che punto siamo e come la scuola ha reagito a questo impatto con l’IA?

Più che anticipato ne abbiamo parlato in un momento in cui pochissimi insegnanti avevano avuto modo di sperimentare questa tecnologia all’interno della classe. Io sono uno di quelli che si è trovato preparato al ciclone ChatGPT, novembre 2022, perché già stava portando avanti delle sperimentazioni sull’uso dell’IA in classe. Adesso, ovviamente ne parlano praticamente tutti, molti senza cognizione di causa e molti altri con un po’ troppo entusiasmo. Rispetto alla nostra ultima chiacchierata di marzo 2023 è cambiato tanto in termini di tecnologia, l’IA sta crescendo a ritmi incredibili perché ci sono tanti investimenti e la scuola in qualche modo si sta adeguando, provando ad integrare questa tecnologia all’interno della propria pratica didattica.

Sono nate reti di scuole che hanno provato a redigere delle linee guida per l’utilizzo dell’IA, sono stati fatti tanti esperimenti e certamente gli insegnanti hanno dovuto iniziare a prendere consapevolezza che il metodo di insegnamento tradizionale è stato messo in discussione. In realtà, secondo me, è cambiato solo lo strumento che ha messo in luce un’ipocrisia di fondo sulla pratica di assegnare i compiti a casa: anche prima che gli studenti iniziassero ad utilizzare i chatbot, soprattutto quelli in difficoltà venivano aiutati dagli adulti. Ora è tutto più semplice ed economico, perché basta chiedere a ChatGPT che ti risolve il problema passaggio per passaggio.

Quindi, per quanto mi riguarda, non è cambiato nulla rispetto a quanto avevo già intuito nella nostra ultima conversazione e ho suggerito nei vari convegni e corsi di formazione tenuti in questi anni: l’IA sta soltanto dando una spinta ad un processo che è iniziato da un po’ di tempo fa. Non aveva senso prima assegnare compiti a casa, non lo ha a maggior ragione adesso. Bisogna lavorare in classe, ricordando che il ruolo del docente è quello di osservare i processi di apprendimento del discente per poter elaborare dei feedback formativi che permettano allo studente di comprendere esattamente quali sono le sue aree di forza e dove invece debba migliorare. Io mi auguro che l’IA sia accolta come uno strumento in più a favore dell’apprendimento e non come uno strumento dannoso che si sostituisce al lavoro dello studente.

Di certo è impensabile che la relazione educativa si trasformi in un gioco del gatto con il topo, in cui il docente cerca di scoprire se il compito è stato svolto con l’IA e lo studente cerca di non farsi scoprire, non può certamente essere questo la scuola. Quando ad inizio del 2023 i colleghi mi chiedevano come fare con i compiti a casa adesso che c’è ChatGPT io rispondevo molto semplicemente di utilizzare metodologie come la flipped classroom, assegnando a casa contenuti da leggere o guardare, dedicando il tempo d’aula ad attività pratiche e di gruppo.

Si parla spesso di competenze trasversali, ma come strutturarle in una società ibrida dove i ragazzi crescono tra un mondo reale e uno virtuale?

Questo è un altro di quei concetti un po’ complessi da elaborare e che fatica ad essere sviluppato per bene nella scuola italiana. In realtà il concetto di competenze trasversali è cruciale in una società che sempre più vive in una dimensione ibrida, dove il confine tra mondo reale e virtuale diventa sempre più sfumato. Le competenze trasversali, o soft skills, come il pensiero critico, la comunicazione efficace, la collaborazione e la capacità di adattamento, sono essenziali per permettere ai giovani di navigare con successo tra questi due mondi. Per strutturare efficacemente queste competenze, la scuola deve adottare un approccio integrato e interdisciplinare superando i rigidi confini tra le discipline.

Qui c’è un altro nodo cruciale legato alla formazione degli insegnanti, perché non solo dovrebbero possedere queste soft skills ma dovrebbero essere anche in grado di riconoscerne l’importanza e quindi integrarle all’interno del loro insegnamento superando la semplice trasmissione delle conoscenze per creare delle esperienze di apprendimento nel loro insegnamento quotidiano. Questo significa andare oltre il semplice trasferimento di conoscenze per creare esperienze di apprendimento che stimolino la curiosità, il problem solving e l’interazione tra pari. Le tecnologie digitali come l’IA possono essere un alleato potente in questo processo.

Utilizzare strumenti collaborativi online, piattaforme di e-learning e simulazioni virtuali, dove è possibile analizzare un motore o parti del corpo umano che sono esperienze difficilmente realizzabili nella realtà, permette di creare ambienti di apprendimento che rispecchiano le dinamiche del mondo reale, promuovendo così le competenze necessarie per muoversi in un contesto lavorativo sempre più digitale e connesso. É ovvio che la scuola ha un ruolo che va oltre il semplice inserimento nel mondo del lavoro, perché prima del lavoratore bisogna creare il cittadino, ma spesso si discute su una dannosa e inesistente dicotomia tra didattica per competenze e conoscenze.

Questa opposizione non esiste, io posso veicolare gli stessi contenuti disciplinari permettendo al contempo agli studenti di sviluppare le competenze necessarie a sapersi adattare nel mondo del lavoro e non solo. Per questo è fondamentale la collaborazione tra scuola e mondo del lavoro. Progetti di alternanza scuola-lavoro, stage e partnership con aziende possono offrire agli studenti l’opportunità di mettere in pratica le competenze trasversali in contesti reali, rendendo l’apprendimento più significativo e direttamente collegato alle esigenze del mercato del lavoro. Infine, è importante che la scuola promuova un ambiente inclusivo e di supporto, dove gli studenti si sentano incoraggiati a sperimentare e a fallire senza paura. Le competenze trasversali si sviluppano anche attraverso l’apprendimento dall’errore e la riflessione critica sulle proprie esperienze.

Un’ultima domanda. Possiamo affermare che la burocrazia è nemica degli insegnanti, può l’intelligenza artificiale supportare i docenti anche nello snellimento dei vari compiti richiesti?

La burocrazia scolastica è spesso vista come un ostacolo alla pratica didattica efficace, sottraendo tempo ed energie che potrebbero essere meglio investiti nell’insegnamento e nell’interazione con gli studenti. È chiaro che poi ubentra anche un po’ di stanchezza dovuta a questa mole di “carte” che bisogna complire. Certamente l’intelligenza artificiale offre delle soluzioni che possono alleviare il carico burocratico per i docenti, permettendo loro di concentrarsi maggiormente sul loro ruolo educativo. L’IA può supportare i docenti in diverse attività amministrative e non solo, come la progettazione didattica, la creazione di verifiche, la redazione di documenti la preparazione e la correzione dei compiti, la compilazione di report e la pianificazione delle lezioni, ovviamente stando attenti a quello che affidiamo all’intelligenza artificiale.

App come ChatGPT o Google Gemini sono un valido supporto per l’insegnante. Anzi devo dire che durante i corsi di formazione che tengo in giro per l’Italia o negli ambienti collaborativi della mia Associazione Culturale Didattica Innovativa, questo è l’aspetto che fa più presa sui docenti, soprattutto quelli meno avvezzi alla tecnologia, che poi mi ringraziano perché comprendono le potenzialità dell’IA generativa come assistente e non come qualcuno che fa il lavoro al posto nostro, perché i contenuti li dobbiamo mettere noi, l’IA ci aiuta a risparmiare tempo su cose che dobbiamo già saper fare, questo deve essere un aspetto chiaro, perché da questo punto di vista l’intelligenza artificiale non ci aiuta e può fare solo danni .

Un esempio che faccio spesso durante i corsi è quello delle UdA interdisciplinari di Educazione civica, che possono essere migliorate e rese più coese proprio grazie ai suggerimenti dell’IA, ma davvero i compiti in cui il docente può essere supportato da questa tecnologia sono davvero tanti. È ovvio che bisogna tenere l’attenzione alta verso questi strumenti, affinché vengano utilizzati in maniera etica, ma secondo me non ha alcun senso porsi in un atteggiamento di rigida chiusura verso le novità, che tra l’altro è un cliché storico abbastanza noto: sempre l’uomo ha mostrato un atteggiamento diffidente verso le tecnologie innovative che poi sono entrate a far parte della nostra vita.

Adesso è il turno dell’Intelligenza Artificiale e sono convinto che anche il mondo della scuola ne comprenderà presto l’utilità anche dal punto di vista burocratico e adotterà questi strumenti in maniera capillare. Anzi, esistono già iniziative in tal senso in alcune scuole o reti di scuole che stanno adottando proprio l’intelligenza artificiale proprio per farsi supportare nelle pratiche burocratiche e spero che queste pratiche vengano presto diffuse e ampliate un po’ in tuta l’Italia.

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