Ansia, si ottiene di più mettendo l’allievo di fronte alle sue carenze e incitandolo a darsi da fare. Lettera

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Inviata da Ceriani Andrea – Certamente, ho letto con interesse e partecipazione (quasi un’emozione) il vostro lungo articolo un intervento manualistico ) sulla ‘warm cognition’ come metodo per sconfiggere l’ansia ( negativa ) di apprendimento: rapporto tra corpo e mente (Platone parlava del forte legame tra corpo e anima), tra memorie genetiche e memorie acquisite, tra intelligenza ed emozioni e come queste ultime (emozioni, sensazioni e sentimenti) siano un elemento importante, anzi imprescindibile per un apprendimento profondo e completo. Le emozioni al centro dell’apprendimento dunque.

Il metodo proposto può far ottenere senza dubbio risultati validi, ridurre l’ansia e migliorare la comprensione dell’allievo.
Ritengo, però ( a mio debole avviso ) che tutto ciò vada utilizzato ‘cum grano salis’, in misura appropriata, nei tempi e nei modi giusti.
Non nego, tuttavia, di avere qualche perplessità sulle mirabili proprietà di tale metodo e sulla sua infallibilità.

Disponibilità, gentilezza, cortesia, discrezione, delicatezza, dolcezza, cordialità sono atteggiamenti giusti per incontrare l’allievo, farlo sentire importante e tranquillizzarlo. Si corre il rischio, però, ( se non si procede con cura ) di creare un’atmosfera quasi idilliaca che potrebbe creare un ambiente eccessivamente e pericolosamente rilassato (“Alla fine tutto andraà bene”. Non sempre è così).

Invero, non so se questa procedura sia sufficiente ( o la migliore ) per formare uomini e donne in grado di affrontare le sfide spesso dure e sgarbate della vita.

Inoltre la complessità umana è tale da richiedere, nel tempo, modi diversi di avvicinarsi all’altro e poi, come ben sa chi da decenni insegna ( sul campo ‘reale’ ) ogni ogni persona e, nel nostro caso, ogni alunno è unico e, pur entro un certo ‘range’, necessità di stimoli diversi per ben operare.

Non sempre un atteggiamento troppo paterno ( o materno ) ed eccessivamente ben disposto raggiunge gli obiettivi sperati e nemmeno troppa accondiscendenza ( ‘il sentirsi bene’, il successo formativo’ ) produce, nel tempo, risultati validi ( soprattutto se si sottolineano solo i suoi punti di forza e non si rimarcano come si dovrebbe le sue fragilità, per non demoralizzarlo, ovviamente ).

Far sentire l’allievo al centro delle attenzioni del docente è doveroso, rispettarlo e prendersi cura di lui è imperativo categorico ( rispetto e centralità dell’alunno, lo affermava già Quintiliano) farlo sentire importante (“ mi occupo e mi preoccupo di te”) è un obbligo per il docente. Questo, però, non vuol dire dirgli sempre di sì o astenersi dal turbare leggermente il suo stato d’animo e dal creare in lui una impercettibile tensione ( se qualcosa non è stata capita ), magari con un tono di voce sostenuto e severo.
Se l’allievo deve essere capito, deve anche mettercela tutta per farsi capire (per questo, certo, occorre la massima diastolia del docente).

Anzi (esperienza personale) spesso si ottiene di più mettendo l’allievo, in modo deciso, di fronte alle sue carenze e incitandolo, senza troppe paure, a darsi da fare e a non pensare che la vita sia una giardino di felicità.

A volte occorre essere un po’ rudi e quasi sfidarlo. “Se ha le capacità devi dimostrarlo”. “Hai le capacità? Ti sfido a dimostrarmelo”. “So che hai le capacità. Dimostralo”.
Sì, a volte occorre essere un po’ energici per smuovere la pigrizia degli studenti. Scuoterli un po’ ( a volte, sia chiaro ) è un metodo che permette di ottenere risultati migliore di quanto si possano avere con troppa tolleranza e indulgenza. Un’espressione severa può fare di più di un rilassante sorriso.

E poi, non neghiamolo, in adeguata misura l’ansia non brucia risorse, ma genera adrenalina, giusta tensione, carica ‘agonista’ e aiuta a superare le difficoltà ( perché studiare è fatica, impegno, sacrificio, lotta, in casi estremi, rari casi, anche minima sofferenza).
Invece di cercare di cancellare, l’ansia perché trovare soluzioni per trasformare l’ansia stessa da punto debole in arma vincente?

A parte queste mie perplessità ( bisogna sempre avere qualche perplessità e non accettare tutto acriticamente ), frutto anche di decenni di insegnamento in classe ( non in laboratorio ), il metodo ‘warm’ proposto dai pedagoghi ha, indubbiamente, molti aspetti positivi e deve essere preso in seriamente in considerazione, sperimentato ed eletto a punto educativo di riferimento, se lo si ritiene indispensabile.

Considerato ma, sempre, controllato e monitorato, forse anche accantonato, in alcuni casi o in alcune classi o per qualche alunno, se vediamo esiti non soddisfacenti o. addirittura fallimentari che rischiano di rendere troppo fragili e gracili i ragazzi, impreparati e non attrezzati ad affrontare le insidie del mondo.

Del resto tutto è in continuo movimento: l’universo, la terra, l’umanità….la scuola e tutto può e deve essere cambiato. E’ giusto, quindi, continuare a progettare, inventare, perfezionare o sperimentare nuovi metodi educativi ( ma esiste qualcosa di veramente nuovo?). Nel lavoro e nella fatica quotidiana dell’educare si vedrà quanto e per quanto valgono.

“Una mente senza emozioni non è affatto una mente, è solo un’anima di ghiaccio. Una creatura fredda, inerte, priva di desideri, ,di paure, di affanni, di dolori o di piaceri” ( Joseph LeDoux. Neuroscienziato ).

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