“Sì alla valutazione dei Dirigenti ma bisogna considerare il contesto. Anche i docenti andrebbero valutati”. INTERVISTA a Bortoletto (ANDIS)

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Il lavoro del dirigente scolastico oggi è sottoposto a stress e responsabilità di ogni tipo: organizzativo, didattico, burocratico. E come se non bastasse i dirigenti scolastici non si sentono valorizzati economicamente a sufficienza vista la mole di incombenze a cui sono sottoposti.

Da segnalare, per i dirigenti scolastici, un nuovo sistema di valutazione in corso di definizione da parte del Ministero. L’amministrazione ha fornito le prime indicazioni alle organizzazioni sindacali su quello che sarà appunto il nuovo paradigma introdotto dall’art. 13 del DL 71/2024.

Questo sistema, come spiegato in precedenza, prevede un legame diretto tra la valutazione della performance dirigenziale e la retribuzione di risultato, ponendo al centro obiettivi strategici misurabili e criteri di merito individuale.

Il nuovo sistema è già attivo in via sperimentale a partire dall’anno scolastico 2024/2025. Adesso infatti, cambieranno le modalità con cui sarà assegnata la retribuzione di risultato ai Dirigenti scolastici: esclusivamente in base agli esiti della valutazione. L’urgenza di implementare questo meccanismo deriva dalla necessità di adeguarsi alle indicazioni della Funzione Pubblica, che non consente l’erogazione di tali compensi in assenza di un sistema strutturato di misurazione della performance.

Ma lo scenario riguardo i DS, come accennato in precedenza, è ricco e variegato. Dei temi più caldi ne abbiamo parlato con Paola Bortoletto, presidente nazionale dell’ANDIS.

Partiamo con il nuovo sistema di valutazione dei dirigenti scolastici: cosa ne pensa delle prime indicazioni?

Ne abbiamo parlato all’ultimo convegno nazionale Andis. Non siamo contrari alla valutazione, nel senso che alla fine poi è giusto che il dirigente deve rendicontare. Secondo me la valutazione dovrebbe essere estesa anche ai docenti. Quello che però è importante è porre attenzione a quello che è il contesto in cui il dirigente vive. Ridurre tutto a tabelle o aspetti giuridici, diventa un problema, ci piace un po’ meno tutto ciò. Lasciare nelle mani del solo direttore generale la valutazione della parte aggiuntiva ci lascia perplessi. Se siamo in una piccola regione può anche andare bene. Ma in grandi regioni diventa difficile, perchè dubito fortemente che il direttore generale conosca bene tutti i dirigenti scolastici. Vedremo dunque cosa succederà nei prossimi incontri con il Ministero. D’altra parte tutto questo è anche legato alla mancanza di dirigenti tecnici. Quel lavoro era stato fatto contando sulla valutazione dei dirigenti tecnici ma non ce ne sono più e quindi il tutto è stato trasformato ed ha portato ad una semplificazione. Da questo punto di vista ben venga il nuovo concorso per dirigenti tecnici.

Parliamo di stipendi: un dirigente, al momento, guadagna secondo lei una cifra adeguata per il lavoro che svolge?

Per quanto riguarda gli stipendi noi siamo fermi al contratto 19/21. Sicuramente ci sono stati passi avanti rispetto al periodo precedente il covid, in cui abbiamo dovuto restituire addirittura del denaro perché la parte di contrattazione integrativa era inferiore a quella degli anni precedenti. C’è stato sicuramente un progresso nel fatto di uniformare la parte variabile a livello nazionale. In precedenza in alcune casi si creavano differenze sostanziali fra Regioni. Però l’aumento non è tale per giustificare tutte le responsabilità dei DS. Noi abbiamo altre responsabilità rispetto ad altri dirigenti. Noi abbiamo dipendenti, se così li possiamo chiamare, che superano le centinaia di unità, quando gli altri funzionari dello Stato ne hanno 7-8. Ecco, questa complessità dovrebbe avere un riscontro economico adeguato.

Molte scuole sono sempre al freddo in questo periodo dell’anno, per via dei problemi di manutenzione o addirittura di guasti veri e propri degli impianti di riscaldamento. I Ds, in questo caso, cosa possono fare?

Intanto il primo aspetto da evidenziare è che noi gestiamo la scuola ma non siamo i proprietari. Chi fa i contratti di gestione degli impianti è l’ente locale. Noi come dirigenti segnaliamo in anticipo rispetto a quelle che sono le scadenze. E ricordiamo di intervenire proprio in funzione di un regolare svolgimento delle attività didattiche. Si va ad intervenire se anche durante il periodo ci sono dei guasti e in quei casi mettiamo in moto la macchina e segnaliamo con frequenza. E se il comune ha un rapporto diretto con l’ente gestore, allora è facile. Per le province e città metropolitane è più complicato, sia per il numero di istituti ma anche per la situazione degli edifici scolastici vetusti e dei relativi impianti. I fondi sono quelli che sono. La situazione è pesante, bisogna ammetterlo. Per questo è necessario rinnovare il patrimonio di edilizia scolastica. Già iniziato col Pnrr ma ancora è una goccia nel mare.

Reclutamento: ma davvero la chiamata diretta dei presidi secondo lei può risolvere il problema del precariato e delle cattedre vuote ogni anno?

Noi siamo stati sempre stati per il concorso. Naturalmente ci sono stati tempi in cui non venivano emanati concorsi e ci sono stati quindi accumuli, i cui effetti li stiamo misurando negli ultimi anni. Il problema dove sta? Nell’espletamento dei concorsi. Deve essere breve, i commissari devono farlo fuori dall’orario di servizio e peraltro con poco riconoscimento economico. Lo abbiamo visto con il concorso Pnrr, dove più di 7mila posti non verranno assegnati, perché non hanno fatto in tempo a concludere.

Quindi?

Servono concorsi regolari e possibilità per i reclutatori di essere a disposizione per fare quello e non dirigenti che incastrano questo in mezzo a tutto. Si dovrebbe concedere il distacco per 2 mesi e quelle persone si concentrano su questo. Ma sul reclutamento c’è un altro aspetto fondamentale.

Quale?

Quello della formazione dei docenti. Questi docenti assunti conoscono la materia ma non sanno spesso come si insegna. La riforma dei 60 CFU è appena iniziata ma è ancora pieno di montagne russe e si deve partire da zero con costanza, secondo me. Bisogna mettere al centro la relazione con gli studenti, che sono diversi rispetto a 10 anni fa ad esempio. Poi c’è il tema del digitale, i social, l’intelligenza artificiale. Per tutti questi motivi la formazione iniziale dovrebbe essere molto curata. Per questo secondo me dovrebbe essere obbligatoria per tutti i docenti in servizio.

A proposito di digitale a scuola: un tema controverso che spacca l’opinione. Che ne pensa lei?

Siamo in una fase contraddittoria. Abbiamo tutto questo materiale con il Pnrr e tutta la formazione sulla digitalizzazione già avviata. Dall’altra parte c’è un fronte che dice basta, non facciamo più niente. Secondo me bisogna fare chiarezza. Per i piccoli va data la possibilità di non sperimentare da subito questo tipo di strumenti, perché hanno bisogno di provare e toccare altre percezioni. Non hanno bisogno di cellulari o tablet. Tanto più che in generale, nella primaria, a meno di situazioni difficili o dsa, il telefonino non deve essere usato. Invece, va bene usare gli strumenti anche nella secondaria. Usarla per fini didattici va più che bene. Ma solo per quello.

E l’intelligenza artificiale?

La possiamo usare, certamente, ma solo con l’idea che è l’uomo che deve padroneggiarla. Per questo bisogna abituare i ragazzi ad usarla in modo produttivo, fare le domande giuste e non per copiare il compito. Anche in questo tiro in ballo la formazione, perchè i docenti non devono essere dipendenti dall’intelligenza artificiale ma si devono porre in una situazione di interlocuzione.

Aggressione a presidi, docenti e ATA, sia da parte dei genitori che degli studenti. Che è successo all’autorevolezza della scuola?

Bisogna comunque non scadere nelle generalizzazioni. Sicuramente oggi, le famiglie, forse anche per questa presenza del digitale, si permettono di dire delle cose, scordandosi che i professionisti sono quelli delle scuole e non quelli che scrivono sulle chat. L’altro aspetto da evidenziare è comunque legato all’emergenza dei ragazzi, che vivono in una realtà ben diversa da 20 anni fa. Le ricerche e gli studi lo testimoniano e dicono che c’è questo male di vivere, perché non ci sono obiettivi, speranze, situazioni sociali e generali che andrebbero attenzionati. Per questo noi di Andis crediamo nello psicologo scolastico, per tutta la comunità però. Poi è vero che ci sono realtà territoriali difficili. Bisogna entrare in quel contesto specifico però per capire veramente come intervenire.

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