Sì alla ricostruzione di carriera per i precari per scatti anzianità retributiva, ma la prescrizione è quinquennale

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Un dipendente della scuola con il profilo ATA con plurimi reiterati contratti a termine, convenne in giudizio il datore di lavoro per chiedere l’accertamento del proprio diritto agli scatti retributivi di anzianità con decorrenza dall’inizio del primo rapporto di lavoro a termine e la condanna del Ministero al pagamento delle conseguenti differenze retributive.  Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, accolse in parte la domanda della lavoratrice, riconoscendole il diritto alla ricostruzione della carriera e al pagamento delle differenze retributive maturate, nei limiti della prescrizione quinquennale.  Il caso in commento della Cassazione Civile Ord. Sez. L Num. 18696/2024 riguarda la questione della prescrizione.

Il fatto

Non è in discussione il diritto della lavoratrice al pagamento delle differenze retributive, ma lo è soltanto l’individuazione del corretto termine di prescrizione di quel diritto. Secondo la ricorrente, cioè il Ministero,  la Corte d’Appello avrebbe errato a ritenere applicabile nel caso di specie la prescrizione decennale del credito da inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato di dare tempestiva attuazione alla normativa eurounitaria, dovendosi dare invece prevalente considerazione al fatto che si tratta di differenze retributive, per le quali vale pur sempre il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c. Per la Cassazione il ricorso è fondato, intendendosi qui dare continuità all’orientamento già espresso sul punto da questa Corte in una precedente decisione.

Scatti retributivi la prescrizione è quinquennale e non decennale

Invero, «la pretesa che il singolo fa valere, nel rivendicare le stesse condizioni di impiego previste per il lavoratore comparabile, partecipa della medesima natura della condizione alla quale l’azione si riferisce e, pertanto, qualora la denunciata discriminazione sia relativa a pretese retributive, la domanda con la quale si rivendica il trattamento ritenuto di miglior favore va qualificata di adempimento contrattuale e soggiace alle medesime regole che valgono per la domanda che l’assunto a tempo indeterminato potrebbe, in ipotesi, azionare qualora quella stessa obbligazione non fosse correttamente adempiuta. Ne discende che, quanto alla prescrizione, non può essere applicato il termine ordinario decennale in luogo di quello, quinquennale, previsto dall’art. 2948, n. 4., c.c. per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, e dal n. 5 in relazione alle “indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro”, perché è quest’ultimo il termine che vale per l’obbligazione alla quale si riferisce la domanda di Corte di equiparazione e perché, diversamente, si verificherebbe una discriminazione “alla rovescia”, nel senso che al dipendente assunto a termine finirebbe per essere riservato un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto per il lavoratore comparabile» (Cass. n. 10219/2020; principio affermato ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.).

In altri termini, conclude la Cassazione  in tale trattamento rientra anche la prescrizione quinquennale del diritto alla retribuzione pagata con periodicità mensile.

Accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata la Cassazione ha sostenuto che deve sussistere il riconoscimento dei diritti della lavoratrice, ma con il limite della prescrizione quinquennale.

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