Sì ai genitori nel CSPI: sono i primi interlocutori della scuola

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Riceviamo e pubblichiamo il contributo del Dirigente Giuseppe Richiedei – Tre associazione di genitori, per decreto governativo, entreranno nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) che è l’organo di 36 componenti per metà eletti dal personale scolastica e per metà nominati dal Ministro su segnalazione di vari enti, autorevoli nel settore dell’istruzione e della scuola. E’ un organo per il supporto tecnico-scientifico al Governo in materia di istruzione; formula pareri obbligatori e non vincolanti su provvedimenti del Ministero dell’Istruzione.

Questa novità sta suscitando, oltre alla soddisfazione delle associazioni genitori, molte opposizioni tra i poteri forti, con denunce allarmistiche in difesa della “libertà di insegnamento” dei docenti, quando dovrebbe risultare paradossale che i genitori non siano stati mai ammessi nell’organo superiore della scuola, nonostante che l’articolo 30 della Costituzione sia in vigore da circa ottant’anni.

Il modello democratico della Repubblica definisce la scuola come “comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale”, come dire che non è semplicemente un’istituzione amministrativa autosufficiente ma che ha bisogno di “interagire” con le famiglie e la società più vasta. I primi interlocutori della scuola non possono che essere gli studenti e i loro genitori che costituiscono pure la gran parte dell’intera cittadinanza del Paese. Quindi si pone l’interrogativo contrario: come sia possibile che l’interazione tra scuola e famiglia non debba cominciare a partire al Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

La famiglia è soprattutto “prima scuola di umanità” nel senso che in essa si trasmettono e si vivono i valori di fondo della solidarietà e del rispetto. La sua competenza, da portare nel Consiglio, prima di essere tecnica o pedagogica, è di tipo antropologico, posta sul dato naturale del lor rapporto unico e insostituibile con i figli. “Solo in famiglia si ritrovano i valori che restano inossidabili alle dinamiche sociali” (H. Jonas) in essa si è accolti così come si è, e quando vi si sperimenta dedizione e solidarietà, allora si diventa capaci di impegno positivo anche negli ambienti extra – domestici. Il singolo senza il sostegno di un ambiente familiare rischia di soccombere al sovraccarico funzionale, richiesto dalla società.

Se il servizio scolastico si configurasse come un intervento autarchico, affidato esclusivamente agli esperti ed ai docenti, pagherebbe lo scotto di una centralità, che arriva all’autoreferenzialità con un sovraccarico di compiti a cui difficilmente riesce, poi, a farvi fronte. Non per nulla ogni giorno si riversano sulla scuola richieste più varie e viene colpevolizzata di ogni devianza o insuccesso dei giovani. Le responsabilità dei fallimenti educativi rimbalzano dalle scuole alle famiglie senza possibilità di trovarne la soluzione, in quanto ciò che non va è proprio il loro modo di relazionarsi, la non chiarezza nell’identificare le rispettive competenze.

Il processo educativo del minore, più che il risultato di interventi univoci, ha bisogno di apporti differenziati di più istituzioni, in primo luogo della scuola e della famiglia, le quali, a loro volta, necessitano di indicazioni aggiornate, di provvedimento chiari, di interventi “concordati ”, a partire dal Consiglio Superiore alla luce del bene del figlio/allievo.

Il riferimento al diritto all’apprendimento del ragazzo, infatti, garantisce soluzioni per l’accordo tra la libertà di insegnamento che spetta ai docenti e la liberà educativa dei genitori: gli uni e gli altri nel promuovere “il rispetto della coscienza morale e civile degli alunni” (art. 2 DPR 297 – 1994).

Il minore entrando a scuola è sempre accompagnato dai genitori, in quanto non è isolato, quasi non avesse radici e non provenisse da una famiglia, né da un ambiente fatto di parentele, di amicizie, di relazioni significative. Di questo se ne fa voce la stessa “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’infanzia” che riconosce al bambino il diritto “all’identità personale e culturale, al suo mondo naturale costituito dalla famiglia, dal gruppo etnico, dal riferimento religioso”. Nella convenzione emerge, pure, un capovolgimento significativo per cui è diritto del minore di disporre di genitori titolari dei “diritti – doveri di guidare il fanciullo nell’esercizio del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” (art. 14).

La riscoperta del “minore e dei suoi diritti” facilita il recupero dell’importanza della collaborazione dei genitori nell’educare e nell’accompagnare i figli nella scuola e nella società. C’è bisogno che la presenza delle associazioni dei genitori concorra nelle sedi deputate alla proposta e al monitoraggio delle scelte fondamentali dell’intera istituzione scolastica. E’ urgente superare illusorie chiusure della scuola, inserendola nella dinamica sociale in quanto responsabile nei riguardi dei cittadini e non solo nei riguardi delle disposizioni burocratiche e delle procedure amministrative. L’entrata delle associazioni genitori nel Consiglio superiore rafforza il rapporto tra Stato e società, tra scuola e comunità, tra insegnanti e genitori, dove la competenza professionale e amministrativa recuperi consenso, qualifichi la collaborazione, “valorizzi la libertà di insegnamento dei docenti, la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e la libertà di apprendimento degli allievi” (art.21 della legge 59/97).

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