“Serve coraggio ma occorre cambiare la scuola”. Giannelli (ANP) apprezza la trasmissione Presa Diretta che ha fatto infuriare i docenti
“Serve tempo e occorre gradualità. Del resto la Finlandia ci ha messo vent’anni, dal 1970 al 1990, a diventare quella che è sul piano scolastico”.
“Ma occorre anche un dibattito su quello che vogliamo che sia la scuola pubblica. Io sono un difensore della libertà, ma questa libertà non si deve tradurre nella libertà di non fare quello che si dovrebbe fare.
La libertà di insegnamento è un principio che ha un senso importante, che però talvolta viene distorto”. Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, Associazione nazionale presidi, plaude al coraggio della trasmissione Presa diretta (Raitre), che l’altra sera ha mandato in onda un servizio intitolato Cambiamo la scuola, che, al di là delle valutazioni di ciascuno, ha fatto emergere la grande distanza esistente tra il sistema scolastico italiano e quello di un paese evoluto come la Finlandia.
La trasmissione ha scatenato un dibattito acceso sui gruppi social frequentati dagli insegnanti, che si sono divisi tra coloro che sostengono la necessità di un svecchiamento della didattica e coloro che nutrono diffidenza verso un sistema che secondo loro non avrebbe tutti i meriti, sul piano degli apprendimenti, che invece gli sono attribuiti.
Giannelli, pure intervenuto in trasmissione, ciò che gli ha procurato apprezzamenti ma pure tante critiche da parte degli insegnanti, è pure autore di un volume, Rivoluzionare la scuola con gentilezza, nel quale, assieme agli autori di vari interventi di autori che vi sono ospitati, traccia una direzione per la scuola. Che parte dalla consapevolezza che occorra fare qualcosa di importante, di decisivo. Che la scuola non possa più stare a guardare. Che il futuro non possa più aspettare. E che occorra riportare l’istruzione in cima alle priorità del sistema e della politica.
Presidente Antonello Giannelli, l’Italia è rimasta scossa da quella trasmissione
“C’è un’esigenza di rinnovamento che in genere non emerge nei canali ufficiali, ed è meritorio che una trasmissione televisiva sia riuscita a coagulare una richiesta diffusa. Parliamo spesso male delle trasmissioni televisive, questa volta va riconosciuto un merito”.
La scuola, dunque, è rimasta indietro rispetto alla società che invece si è evoluta?
“Ma io non direi questo. Io la metterei in positivo. C’è un’esigenza di rinnovamento della scuola italiana che si potrebbe ottenere anche seguendo le buone prassi di Paesi oltre frontiera. La scuola italiana fa di tutto, anche con i suoi limiti. Ma ora servono una volontà politica, un coraggio e una scelta coraggiosa che investano per il futuro. Per rinnovare un sistema scolastico servono dieci anni. Invece qui da noi si cambiano le cose ogni anno senza che ci sia un’idea condivisa della scuola che servirebbe avere”.
Servirebbero intanto degli investimenti.
“Sicuro. Abbiamo una percentuale di Pil dedicata all’istruzione pari al 3,5 per cento a fronte di una media europea del 5 per cento. Per non parlare di Paesi illuminati che arrivano all’8 per cento o anche al 9 per cento”.
Ma bastano i soldi?
“No, certo. Non servono solo i soldi. Occorre anche una visione politica comune, di dove vogliamo andare come nazione. I soldi da soli non bastano, sono una condizione necessaria ma non sufficiente. E’ evidente che i docenti dovrebbero essere pagati molto di più, ma non è che, riconoscendo cinquecento euro in più, questo cambierebbe automaticamente la situazione. Noi abbiamo dei docenti eccezionali, ma non solo tutti eccezionali”.
Da dove partire?
“Io penso che serva tempo. Non si devono prendere i docenti per far fare loro il cerchio di fuoco, non si possono pretendere all’improvviso cambiamenti radicali, ma servono dei correttivi che portino in quella direzione virtuosa. La Finlandia ci ha messo vent’anni, dal 1970 al 1990, a diventare quella che è sul piano scolastico. Serve gradualità ma occorre anche un dibattito su ciò che vogliamo che sia la scuola pubblica”.
Non tutti i docenti hanno gradito la trasmissione
“Guardi, io sono un difensore della libertà, ma questa libertà non si deve tradurre nella libertà di non fare quello che si dovrebbe fare o di fare delle cose un po’ bizzarre. La libertà di insegnamento è un principio che ha un senso importante, che però talvolta viene distorto. Ci vedo un dovere di essere liberi di insegnare ma non posso essere libero di fare cose bizzarre. Nessuno si farebbe operare da un cardiochirurgo che comincia a operare dalla gamba. La libertà deve servire per la qualità”.
In particolare si contesta la cosiddetta chiamata diretta dei presidi, prevista dalla Buona scuola ma poi abolita dalla nuova maggioranza di governo.
“La chiamata diretta introdotta dalla Buona scuola era una cosa diversa. Era l’ultima fase della mobilità. Si dava la possibilità ai presidi di un Ambito territoriale di invitare i docenti di quell’Ambito a lavorare nella propria scuola. Con il concorso infatti si sarebbe diventati titolari di un Ambito e poi subentrava un accordo tra docente e preside. Era comunque prevista una valutazione del docente per capire se le sue competenze fossero in linea con il piano dell’offerta formativa di quella scuola. Che fosse un tabù si era capito, ma dobbiamo ragionarci sopra. Il reclutamento scolastico non può essere visto come uno strumento per stare vicino a casa: in Finlandia, tanto per dire, non funziona così. Occorre mettere al centro della scuola l’alunno. Nessuno discute dell’importanza dell’azione del docente, ma è l’alunno che va considerato al centro della scuola”.
E’ poi emerso il solito divario tra le scuole del Nord, attrezzate anche sul piano tecnologico, e quelle del Sud, con le sue tante scuole situate in edifici angusti e meno dotate, mediamente, di tecnologie e altre attrezzature.
“Noi non dobbiamo prendere in considerazione la scuola, ma anche tutto il resto. Ci sono forti divari di efficienza in diversi settori. In realtà troviamo lo stesso divario nella sanità, nell’efficienza dei tribunali e anche in quella dei treni: questa è l’Italia e la scuola risente di questo che è un problema nazionale. Dopo 150 anni ha ancora ragione Cavour quando diceva che, fatta l’Italia, dobbiamo ora fare gli italiani”.
Un’inaspettata epidemia ha messo le scuole di fronte a una sfida. Chiusi dalle autorità sanitarie, molti istituti si sono attrezzati con la didattica a distanza. Si può scorgere in questa emergenza un’occasione per imprimere alla scuola un cambio di passo?
“Cerchiamo di tradurre il bicchiere mezzo vuoto in un bicchiere mezzo pieno. Con questa occasione stiamo scoprendo che sarebbe stato meglio avere un sistema formativo a distanza. Non credo che un sistema di questo tipo possa sostituire quello tradizionale ma avere a disposizione un sistema che consente lo svolgimento delle lezioni a distanza sarebbe positivo. Quante giornate perdono gli studenti per una normale influenza o per un infortunio? Ecco: avere in questi casi un sistema che consenta di procedere con la didattica, in attesa della guarigione, sarebbe un’opportunità molto utile”.
Tutti sottolineano la necessità di investimenti
“Servono investimenti ma anche un grosso sforzo di aggiornamento. E’ chiaro che se vogliamo continuare a fare le stesse cose nel modo come sono state fatte finora non riusciremo a evolvere”.
Alcuni, sulla base di un certo orientamento giurisprudenziale, che fa riferimento a un caso trentino, sostengono che la didattica a distanza potrebbe essere illegittima qualora non sia stata deliberata dal collegio dei docenti.
“Ritengo che le esigenze del servizio e cioè il diritto allo studio degli studenti – specie in questa situazione di emergenza – debba essere sempre prevalente sugli interessi, pur legittimi, del personale. La vicenda di Mezzocorona, in provincia di Trento, dimostra che le disposizioni legislative e contrattuali del mondo della scuola non sono più al passo con i tempi. Dobbiamo quindi lavorare per ammodernarle e per mettere al centro del dibattito gli studenti, come previsto dalla Costituzione”.
Le scuole, intanto, sono alle prese anche con la sospensione dei viaggi d’istruzione a causa del virus. Le imprese del comparto protestano
“Capisco le preoccupazioni del settore turistico. L’emergenza ha colpito i settori economici ma le famiglie non vogliono più che i ragazzi vadano in viaggio d’istruzione, per quest’anno. Vedo che c’è un braccio di ferro tra chi dice sì e chi dice no, ma onestamente penso per quest’anno i viaggi sono andati, non si possono portare gli studenti per forza. Lo Stato dovrà fare la propria parte. Quando si verifica un’alluvione o un terremoto la collettività concorre a indennizzare i settori colpiti, quindi anche in questo caso lo Stato in qualche modo dovrebbe aiutare il settore, che è in difficoltà. Ma anche le famiglie e la scuola devono ricevere la giusta attenzione”.
Cambiamo la scuola, Raitre, Presa diretta