“Senza il doppio canale non c’è fine alla precarietà dei docenti”. Lo scorrimento del 30%? “Un palliativo che non risolve il problema in maniera strutturale”. INTERVISTA al prof. Luigi Sofia

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Sono le 14:35 e Luigi Sofia, 33 anni, docente precario presso l’Istituto Comprensivo Galileo Galilei di Montopoli, ha appena concluso le lezioni e sta per avviarsi verso casa. Non ha ancora pranzato, lo aspettano 40 minuti di viaggio in auto per rientrare a Pisa, dove vive, “ma è sempre così” dice al telefono. Oltre a dedicarsi all’insegnamento dell’italiano, il professore Sofia è consigliere comunale presso la città di Pisa ed è impegnato, come attivista, a far sentire la sua voce e quella di chi, come lui, è costretto a convivere da anni con l’incertezza derivante dal precariato. Sofia ha partecipato sia al concorso ordinario del 2020 che a quello del 2023, in cui è risultato idoneo, ma questo non gli ha impedito di rimanere precario. Orizzonte Scuola l’ha contattato telefonicamente.

Qual è stato l’impatto dell’incertezza lavorativa sulla tua vita personale e professionale come docente precario?

L’impatto è stato enorme, sia sul piano materiale che su quello emotivo. A livello pratico, la precarietà implica la possibilità di restare senza stipendio per lunghi periodi, ad esempio durante l’estate, e rende difficile anche accedere a forme di credito o pianificare spese importanti. Ma ciò che pesa ancora sono i risvolti sulla vita affettiva e sulla salute psicologica degli individui: si vive in un costante stato di tensione, ansia e incertezza, soprattutto nei mesi estivi, quando arrivano le graduatorie, i bollettini e l’aggiornamento delle GPS.

Hai un aneddoto che riassuma bene le difficoltà legate alla condizione di precario nella scuola?

Sì, ricordo bene quando, finiti gli studi, cercavo di trovare una sistemazione abitativa stabile. Passare da una stanza condivisa a una casa tutta mia è stato molto difficile: i proprietari richiedono contratti di lavoro stabili e il mio status da precario era un ostacolo. Oppure optano per alloggi brevi. In quel periodo vivevo in un bilocale di 40 mq e ricorderò sempre la notte tra il 14 e il 15 agosto in cui ho appreso di non essere tra i vincitori del concorso. È stata una delle notti più dure della mia vita, una notte segnata da un profondo senso di solitudine e frustrazione che ha rappresentato un vero e proprio crollo emotivo. È stato il simbolo dell’indifferenza del sistema verso chi ci lavora dentro.

Come reagisci agli attacchi e agli insulti ricevuti online per le tue posizioni a difesa dei diritti degli insegnanti?

Cerco di non farmi intimidire, anche se a volte ho ricevuto minacce molto gravi, come quella di venirmi a cercare sotto casa. Ai tempi vivevo con la mia ex, la quale è rimasta turbata nel leggere quell’avvertimento. In questo senso, la preoccupazione non è per me, bensì per coloro che mi stanno accanto. Nonostante questo, continuo a espormi e a non rimanere in silenzio perché credo nella missione di chi difende i diritti dei lavoratori. Fortunatamente ho il sostegno di studenti, genitori e colleghi, che riconoscono la legittimità delle mie battaglie. Questo mi dà forza e orgoglio.

Secondo te, la violenza verbale con cui ci si rivolge o si colpiscono gli insegnanti, sia online che offline, è un campanello d’allarme sociale?

L’insegnante, oggi, è spesso considerato una figura debole, plasmata da politiche che lo hanno denigrato, impoverito e marginalizzato. I bassi stipendi e il precariato hanno contribuito a una perdita di autorevolezza e questo deficit, a mio avviso, alimenta l’idea che li si possa trattare come si vuole, umanamente e professionalmente. Nel caso delle minacce a cui accennavo, la mia risposta è stata quella di denunciare subito, non per vendetta, ma per dare un segnale educativo chiaro: chi insulta deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni, anche legalmente.

Qual è la tua opinione sui nuovi percorsi abilitanti e quali sono i principali problemi che hai riscontrato?

Li reputo quantomeno bizzarri, soprattutto per chi ha già superato un concorso e insegna da anni. In questi percorsi di abilitazione, studieremmo materie che già conosciamo e ad un costo elevatissimo per chi ha stipendi modesti. Inoltre, i tempi sono incompatibili con la scadenza del 30 giugno, dal momento che in diverse università non sono nemmeno state pubblicate le graduatorie di accesso ai corsi, causando ulteriori ritardi e incertezze. Molte segreterie hanno già comunicato che non potranno terminare i corsi nei tempi opportuni. Ma anche quei pochi che hanno avuto la fortuna di iniziare, ma che non riusciranno ad abilitarsi entro il 30 giugno, sono costretti a ritmi di vita insostenibili: tra lezioni, esami, consigli di classe, scrutini, tirocinio diretto e altri impegni scolastici, si è a rischio di esaurimento nervoso.

Qual è il costo complessivo che stai affrontando per il corso di abilitazione?

Ho speso 200 euro solo per presentare due domande (60 CFU e 30 CFU). L’ho fatto ben sapendo che una sarebbe andata persa, ma non ero sicuro di rientrare tra i cosiddetti precari storici, quelli, cioè, a cui si rivolgono i percorsi formativi da 30 CFU. Alla fine sono stato ammesso al corso da 30 CFU, per il quale ho già pagato la prima rata. A questa si aggiungono una seconda rata, le tasse d’esame, le marche da bollo ed eventuali spese accessorie. Complessivamente, stiamo parlando di circa 2.000 euro. Sommando questa cifra ai costi universitari precedenti, arrivo tranquillamente a 6.000 euro spesi in formazione, un terzo dei quali solo per l’abilitazione.

Cosa pensi della frammentazione del corpo docente e della mancanza di coesione nella categoria?

È il frutto di anni di politiche che hanno diviso la categoria con mille percorsi di reclutamento: PNRR, concorsi ordinari, straordinari, ecc. Questo ha generato una frammentazione identitaria che impedisce l’unità. Noi con il gruppo dei docenti PNRR stiamo cercando di costruire una coscienza collettiva, basata su solidarietà e riconoscimento reciproco. Anche il coinvolgimento di genitori e studenti è essenziale per far comprendere le cause profonde della crisi della scuola.

Quali sono le tue proposte concrete per superare il precariato scolastico?

Ne ho una, l’istituzione di un doppio canale di reclutamento. Oltre ai concorsi ordinari per i neolaureati, occorre istituire delle graduatorie a scorrimento per titoli e servizi finalizzate all’immissione in ruolo, dedicate a chi ha già maturato almeno tre anni di servizio, superato un concorso e ottenuto l’abilitazione. Solo così si può mettere un punto e porre fine una volta per tutte ad una precarietà cronica.

Che idea ti sei fatto dello scorrimento fino al 30% dei posti banditi e dell’introduzione degli elenchi regionali per il reclutamento dei docenti?

Sono dei palliativi, misure tampone nate per rispondere al raggiungimento del target dei 70.000 docenti previsti dal PNRR, ma che non risolvono il problema alla radice, cioè la stabilizzazione dei docenti precari.  Non rappresentano una soluzione strutturale.

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