Sei un’insegnante di sostegno, ergo, non conti affatto. Lettera

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Inviata da Silvia Tozzi – E un altro anno è iniziato, per noi insegnanti per il sostegno, e nuovamente ci viene ricordato perché nessuno vuole fare il nostro lavoro, soprattutto alla scuola dell’infanzia. Per me si tratta del terzo anno nello stesso IC. Due anni fa, primo giorno di scuola, sono stata messa in una sezione con tre bambini con disabilità.

Dopo tre settimane, ancora non sapevo quali due dei complessivi tre bambini avrei seguito. La scelta non spetta né a me né alle colleghe di team, ma dall’Autorità, un’astratta entità che varie persone fisiche si rimpallano tra loro, senza che nessuno si prenda la responsabilità di dire: “La scelta è mia”.

Quando ho chiesto quali bambini avrei seguito, o almeno che mi si confermasse che sarei stata in quella sezione (l’unica in cui sono stata per 20 giorni), l’Autorità replicò che si aspettava di completare l’organico per il sostegno, per decidere dove sarei stata assegnata.

Ora, perché tanti PEI sono fatti con i piedi? Non solo perché non vi è preparazione da parte di chi li redige, ma anche perché si arriva al 25 settembre (magari avendo preso servizio il primo del mese) e ancora non si sa chi si seguirà per tutto l’anno.

Ho sollevato l’eccezione dicendo: “Sì, ma io seguirò due dei tre bambini di questa classe, vero? Immagino infatti che non accadrà che, quando prenderà servizio la collega che manca, non sarò spostata su una sezione e su dei bambini che non ho mai visto, lo confermate?” L’Autorità restò basita: non ci aveva pensato.

Lo scorso anno, stavo frequentando il TFA. Al momento della presa di servizio, ricordai all’Apparato che tre pomeriggi alla settimana non avrei potuto lavorare perché dovevo essere in università. Mi fu risposto: “Vediamo che disponibilità ci dà l’assistente all’autonomia e poi decideremo il tuo orario”.

Al che feci presente: “Va bene, se quei tre pomeriggi non mi fate lavorare, vi darò 25 ore di lavoro effettivo su altre fasce orarie, se mi piazzate l’orario di lavoro in quei pomeriggi, prendo i permessi di diritto allo studio che mi spettano, lavoro meno di 25 ore a settimana e voi restate scoperte”.

Quest’anno, l’Apparato puntualizza di essere ben cosciente che ho la continuità sulla mia alunna dello scorso anno, però mi darà anche un altro alunno (ovviamente), ma in un altro plesso. Va bene, dico, anche se in anno di prova non è l’ideale avere il docente su due plessi differenti. In ogni caso, va bene.

“Adesso – aggiunge l’Apparato il primo giorno di servizio dopo il collegio docenti – vai nella scuola del bambino nuovo”. Io faccio notare che nella scuola in cui sarei in continuità devo allestire la stanza bisogni speciali (sono unica insegnante di sostegno in servizio sull’infanzia in tutto l’IC), mentre in quella in cui mi si sta mandando, che già conosco, so che non ve ne è la necessità a causa di una diversa, più funzionale disposizione e organizzazione degli spazi.

L’Apparato ribadisce che in quell’altra scuola devo andare. Per cui, quando tra due giorni la mia alunna arriverà a scuola, la stanza di cui ha necessità non sarà predisposta.

D’altro canto, non potrebbe usarla, perché molto probabilmente non ci sarò neppure io, quel giorno. La stanza? – spiega l’Apparato – Va beh, la disporrai mentre sei in servizio su di lei, togliendole un’ora o due, e che sarà mai?”.

D’altro canto, mangia da sola, perché io sono in servizio, ma il comune – sono solo un’insegnante di sostegno – non mi paga il buono, per cui, se voglio mangiare in mensa mi devo pagare il buono; se no mangio in corridoio e la lascio sola, oppure, infine, resto a digiuno. Io faccio il turno centrale, perché dalle 8 alle 9 e dalle 15 alle 16 non servo: sono un’insegnante di sostegno.

Domani la scuola ospiterà tutti i bambini di tre anni che tra un paio di giorni inizieranno a frequentare. Nel plesso dove io sono in continuità c’è un bimbo di 3 anni certificato, che arriverà domani a scuola e non troverà nessuna insegnante per il sostegno presente, perché io, unica docente per il sostegno in servizio, sono stata invitata a presenziare all’arrivo dei bambini di 3 anni nell’altro plesso, quello dove non vi sono bambini di 3 anni con disabilità.

Quando l’Apparato comprenderà che noi docenti per il sostegno contiamo come le altre, che abbiamo diritto ad un team, a conoscere la progettazione delle colleghe al fine di adeguarle alle esigenze dei bambini, che dobbiamo conoscere i genitori, di tutti i bambini nelle cui sezioni lavoriamo, che abbiamo diritto al pasto, come loro, almeno nel frangente in cui siamo sul secondo turno, che vorremmo conoscere i bambini, sapere chi sono, sapere con chi lavoreremo, avere orari condivisi e utili (al bambino e a noi, non all’assistente alla autonomia o alle colleghe), che meritiamo rispetto come tutti? La risposta, purtroppo è: accadrà in ogni caso troppo tardi.

 

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