Secondo lavoro non è incompatibile con il lavoro di pubblico dipendente, devo comunque chiedere l’autorizzazione? Ecco cosa dice la Cassazione

Un lavoratore, infermiere professionale, aveva impugnato il licenziamento intimatogli dall’Azienda per essere rimasto ingiustificatamente assente dal lavoro e per aver accumulato un debito orario di alcune ore, e per aver svolto, senza prima chiederne autorizzazione, attività extraistituzionali presso una cooperativa esterna (di cui era stato presidente del C.d.A.). La Cassazione civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 03/04/2024) 11/04/2024, n. 9801 afferma nel contenzioso in oggetto un principio di diritto che interessa tutti i dipendenti pubblici.
La questione
La Corte d’Appello ha affermato che in relazione all’incarico extraistituzionale in questione il lavoratore doveva chiedere l’autorizzazione al datore di lavoro. L’art. 60 del d.P.R. 3 del 1957, che si applica anche al personale della scuola, prevede: “L’ impiegato non può esercitare il commercio, l’ industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”.
L’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001, prevede dunque la decadenza dall’impiego, in ragione del previsto regime dell’incompatibilità assoluta, in ordine al quale non occorre valutare l’esistenza di riflessi negativi sul rendimento e sull’osservanza dei doveri d’ufficio, essendo sufficiente, per la preminenza dell’interesse pubblico, la mera potenzialità del conflitto, senza che rilevi l’eventuale conoscenza del fatto da parte dell’Amministrazione, stante l’indisponibilità della materia (Cass., n. 22188 del 2021). L’art. 61 del medesimo d.P.R. n. 3 del 1957, stabilisce: “Il divieto di cui all’articolo precedente non si applica nei casi di società cooperative (…)”. L’art. 61 ha escluso l’ incompatibilità assoluta prevista per gli incarichi conferiti dalle società con fine di lucro nel caso delle società cooperative. L’assunzione di cariche sociali in società cooperative è possibile, stante la finalità anche mutualistica, a prescindere dalla natura e dall’attività della cooperativa. Si rientra, dunque, nel campo di applicazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 – che richiama la legge n. 412 del 1991.
Il principio di diritto della Cassazione
L’accettazione di cariche sociali in una società cooperativa, nella specie presidente del consiglio di amministrazione di una “società cooperativa sociale”, non incorre nella incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 3/1957, in ragione della deroga prevista dall’art. 61 del medesimo D.P.R. Ciò, tuttavia, non esclude che il lavoratore debba chiedere l’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extraistituzionale al datore di lavoro. Trova applicazione l’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, che costituisce disciplina volta a garantire l’obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, si è inteso rafforzare il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Il lavoratore pubblico contrattualizzato concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, e la norma di riferimento per quest’ultimo, va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico extraistituzionale. Il carattere gratuito dell’attività non esclude la necessità della valutazione di compatibilità e dunque dell’autorizzazione, come stabilito dall’art. 53, comma 7, per gli incarichi retribuiti.