“Se non chiediamo ‘Come stai?’ ai nostri figli, di cosa parliamo?”, Il monito di Crepet su giovani, genitori e l’urgenza di un dialogo perduto

Gli ultimi femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella hanno riacceso il dibattito su un schema ricorrente: uomini incapaci di gestire la propria impotenza, che sfocia in violenza contro donne che ripongono in loro fiducia.
Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, sottolinea come le vittime siano quasi sempre donne, mentre i carnefici spesso non mostrano segni evidenti di pericolosità. “Non sono invisibili”, spiega Crepet, “ma mediocri: giovani senza sogni, che galleggiano nell’inconcludenza”. La società, secondo l’esperto, premia la mediocrità anziché incoraggiare il coraggio, qualità che invece molte ragazze dimostrano perseguendo obiettivi come lauree e carriere.
Educazione affettiva e responsabilità familiare
Crepet è scettico sull’efficacia dell’educazione affettiva a scuola: “Due ore a settimana non bastano a scardinare una cultura maschilista millenaria”. Racconta un episodio emblematico: una paziente picchiata dal compagno si sentì chiedere dal padre: “Che cosa gli hai fatto per spingerlo a ridurti così?”. Per Crepet, il problema è più profondo: mancano dialogo e ascolto. “Se non chiediamo nemmeno “Come stai?” ai nostri figli, di cosa stiamo parlando?”. Il divario generazionale, spesso additato come causa, è una scusa: “Una volta si parlava di musica diversa, ma si insegnava il valore della fatica. Oggi, invece, si evita ogni confronto”.
Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere: quali strumenti per la scuola?
La proposta di introdurre l’educazione affettiva nelle scuole come strumento per prevenire la violenza di genere divide esperti e opinione pubblica. Paolo Crepet, nell’intervista al Corriere della Sera, esprime scetticismo: “Due ore a settimana non bastano a scardinare una cultura maschilista millenaria”. Eppure, la questione rimane urgente: se la famiglia da sola non riesce a trasmettere modelli relazionali sani, quale ruolo può avere la scuola?
Modelli educativi efficaci: oltre le lezioni frontali
L’educazione affettiva non può limitarsi a nozioni teoriche. Esperienze internazionali, come i programmi nordici o quelli delle scuole finlandesi, mostrano che l’efficacia sta nell’approccio pratico: laboratori di role-playing, discussioni guidate su casi reali (adattati all’età), e un forte coinvolgimento emotivo. In Italia, alcuni istituti sperimentano percorsi con psicologi e mediatori culturali, ma manca un quadro nazionale organico.
Il nodo della formazione docente
Gli insegnanti sono spesso lasciati soli nel gestire temi complessi come il rispetto delle differenze o la gestione delle emozioni. Servirebbero corsi obbligatori non solo sulle competenze didattiche, ma anche su come riconoscere segnali di disagio – da un’eccessiva sottomissione a improvvisi scatti d’ira – e su quando attivare reti di supporto (psicologi scolastici, servizi sociali).
Dati e criticità
Secondo l’ISTAT, il 31% delle donne under 25 ha subito molestie, spesso da coetanei. Eppure, solo il 12% delle scuole superiori ha progetti strutturati sull’affettività. Il rischio è che, senza risorse e continuità, l’educazione affettiva si riduca a una parentesi moralistica, invece di diventare un’abitudine quotidiana, come lo sono l’educazione civica o quella ambientale.
La sfida, quindi, non è solo introdurre l’educazione affettiva, ma integrarla nella didattica, formare i docenti, e soprattutto coinvolgere i ragazzi in prima persona, perché riconoscere un’emozione può essere il primo passo per non trasformarla in distruzione.