“Se la Cina decidesse di occupare l’Italia, converrebbe andare a scuola a studiare il cinese”: il discorso di Silvio Berlusconi del 6 maggio 2023 e la scuola come metafora

I motivi per cui Forza Italia ha diffuso il discorso di Silvio Berlusconi del 6 maggio 2023, inviato a una convention di Forza Italia a Milano, non attengono di certo ad una riflessione sulla scuola, sebbene la battuta sul Cinese la rievochi. Il motivo è tutt’altro e riguarda il concetto cardine espresso da Berlusconi relativamente alla necessità di “una politica militare comune” e di “una forte cooperazione tra le forze armate di tutti i Paesi europei”. Il messaggio, rilanciato in questi giorni dal partito, richiama il concetto che “solo l’Europa può essere protagonista nelle grandi sfide globali”. Ma la scuola, vuoi o no, alla fine c’entra sempre, anche se, come in questo caso, utilizzata metaforicamente. Ma cosa intendeva dire il fondatore di Forza Italia citando la scuola? Cerchiamo di spiegarlo, chiarendo che ciò non corrisponderà ad una condivisione dei concetti contenuti nel discorso, né ad una critica. Il dibattito sulla politica militare europea appartiene a canali diversi e più consoni rispetto questo.
“Andare a scuola a studiare il cinese”
Il passaggio conclusivo del discorso contiene una frase provocatoria, utilizzata per sottolineare la debolezza dell’Europa priva di difesa. “Se la Cina – lo dico naturalmente per assurdo – un giorno decidesse di occupare l’Italia, e magari qualche altro Paese europeo”, affermava Berlusconi, “non sapremmo assolutamente contrastarla”.
Di fronte a questa ipotetica invasione, secondo l’ex premier, “la cosa migliore che ci converrebbe fare sarebbe quella di andare a scuola a studiare il cinese”. Questa affermazione utilizza l’immagine della scuola come metafora del crollo dell’autonomia culturale e politica: “studiare il cinese“ non viene proposto come gesto di apertura, ma come esito di una sottomissione inevitabile.
La scuola come termometro della sovranità
In questo discorso, l’istruzione non assume un ruolo centrale, come dicevamo nella intro dell’articolo, ma diventa indicatore della capacità – o nel caso specifico, dell’incapacità – di una nazione di preservare la propria indipendenza. La scuola diventa impossibilità di difesa, adattamento forzato, un’educazione che non è scelta, ma imposta dal contesto geopolitico.
Il linguaggio e la simbologia utilizzata diventa ribaltamento in cui l’istruzione diventa la prima vittima della mancanza di una strategia europea efficace.