“Scuole per genitori non ce ne sono”, Cecchettin svela il vuoto educativo che genera violenza. “Da 0 a 6 anni l’educazione è in famiglia, ma chi forma i genitori?”

Gino Cecchettin, padre di Giulia uccisa nel novembre 2023, risponde alle parole della premier Meloni sul femminicidio di Afragola: “Le leggi e gli strumenti ci sono, ma il tema è più grande di noi”.
Per il padre della studentessa veneta, la chiave è nell’educazione: “Chi commette quegli atti lo fa per incapacità ad accettare un no, a vedere un senso nella vita, a gestire l’emozione”, spiega a La Nazione. Una diagnosi che va al cuore del problema, identificando nell’analfabetismo emotivo e nella mancanza di strumenti per elaborare il rifiuto le radici profonde della violenza di genere.
Scuola e famiglia: il nodo dell’educazione affettiva
Sull’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, Cecchettin si mostra cauto ma determinato: “Non so dire se questo sia sufficiente. Ma è di certo necessario, assieme a tutta un’altra serie di attività da mettere in atto per abbattere gli stereotipi“. Il padre di Giulia sottolinea come gli stereotipi “esistono e devono essere notificati” per far nascere una “nuova coscienza civile“. Sul ruolo della famiglia, l’analisi si fa più complessa: “Da 0 a 6 anni l’educazione è quasi esclusivamente in capo alla famiglia. Il ruolo dei genitori è centrale e la formazione sarebbe utile anche qui”.
“Scuole per genitori non ce ne sono”
La riflessione di Cecchettin tocca un punto dolente: l’assenza di formazione per i genitori. “Scuole per i genitori sappiamo non essercene. In quest’ambito è già più complesso intervenire“, ammette con realismo. Una lacuna che evidenzia come la prevenzione della violenza richieda un approccio sistemico, che coinvolga non solo le istituzioni scolastiche ma anche la preparazione degli adulti al loro ruolo educativo.
L’urgenza di una genitorialità emotivamente competente
Mentre in altri Paesi europei, soprattutto nei modelli nordici, esistono programmi strutturati di accompagnamento alla genitorialità che vanno ben oltre i tradizionali corsi pre-parto, l’Italia si affida ancora prevalentemente ai consultori familiari e ai servizi territoriali, spesso sottoutilizzati o poco accessibili alle famiglie.
Il problema si radica nell’analfabetismo emotivo degli adulti stessi: come può un genitore insegnare a gestire la frustrazione, il rifiuto o la rabbia se non ha mai sviluppato queste competenze? La trasmissione intergenerazionale di modelli relazionali disfunzionali diventa così un circolo vizioso che perpetua l’incapacità di elaborare il “no” – quella stessa incapacità che Cecchettin identifica come radice della violenza. I programmi di parent training esistenti in Italia, seppur efficaci, rimangono frammentari e spesso riservati a situazioni già problematiche, perdendo la dimensione preventiva.
L’intelligenza emotiva come competenza genitoriale dovrebbe essere considerata prioritaria quanto l’educazione sanitaria o nutrizionale. I corsi pre-parto, attualmente focalizzati sugli aspetti medici della nascita, potrebbero evolversi in percorsi più ampi che includano la gestione emotiva del conflitto familiare, il riconoscimento dei propri stereotipi di genere inconsci e lo sviluppo di strategie comunicative non violente. Solo attraverso genitori emotivamente competenti si può sperare di interrompere quella catena che porta dall’incapacità di accettare un rifiuto alla violenza estrema.