Scuole Paritarie: i requisiti per l’esenzione IMU. Il punto della Corte di Cassazione

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La Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con l’Ordinanza n. 14317 del 25 maggio 2021, ha fatto il punto sull’esenzione IMU degli immobili adibiti ad attività scolastica. Roma Capitale si è rivolta alla Corte di Cassazione impugnando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Lazio dove, nella controversia relativa all’impugnazione di un avviso di accertamento per l’I.M.U. 2012 in relazione ad immobili destinati a scuola paritaria (scuola materna, elementare e media), aveva rigettato l’appello proposto da Roma Capitale nei confronti di un Istituto di Suore. Il giudice di appello aveva confermato il riconoscimento all’ente contribuente dell’esenzione da I.M.U. in relazione agli immobili destinati a scuola paritaria.

Le condizioni dell’esenzione

Secondo la giurisprudenza, le condizioni necessarie per beneficiare dell’esenzione da I.M.U. sono le seguenti:

  1.  gli immobili devono essere utilizzati da enti non commerciali (medesimo requisito soggettivo);
  2.  devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente indicate (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e di religione o culto);
  3.  le attività tassativamente indicate devono essere svolte con modalità non commerciali.

La destinazione degli immobili a scuola paritaria da parte del contribuente.

Il giudice d’appello, secondo la Cassazione, pur avendo accertato che l’entità dei ricavi non era marginale, aveva apoditticamente escluso che essa possa determinare un reddito riconducibile alla natura commerciale dell’attività svolta, sul rilievo che le rette sembravano in linea con quanto richiesto dal MIUR.

Le attività didattiche in modalità non commerciale

La Commissione dell’Unione Europea ha stabilito che si ritengono svolte con modalità non commerciali se sono soddisfatte alcune condizioni specifiche:

  • l’attività deve essere paritaria rispetto all’istruzione pubblica,
  • la scuola deve garantire la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni,
  • la scuola deve accogliere gli alunni portatori di handicap, applicare la contrattazione collettiva, avere strutture adeguate agli standard previsti e prevedere la pubblicazione del bilancio,
  • l’attività deve essere svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico, tale da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.

Quando l’istruzione ha natura commerciale

La Commissione UE ha precisato che non costituiscono attività economica i corsi offerti da determinati stabilimenti che formano parte del sistema dell’istruzione pubblica e sono finanziati, del tutto o prevalentemente, con fondi pubblici. La natura non economica dell’istruzione pubblica non viene in linea di principio contraddetta dal fatto che talvolta gli alunni o i loro genitori debbano versare tasse scolastiche o di iscrizione, che contribuiscono ai costi di esercizio del sistema scolastico, purché tali contributi finanziari coprano solo una frazione del costo effettivo del servizio e non possano pertanto considerarsi una retribuzione del servizio prestato. Tali principi riguardano la formazione professionale, la scuola elementare e gli asili nido privati e pubblici, l’attività d’insegnamento esercitata in via accessoria nelle università, nonché l’offerta di istruzione universitaria. Perciò, le rette di importo simbolico non possano essere considerate una remunerazione del servizio fornito.

La normativa nazionale

I requisiti dettati dalla UE sono stati recepiti dall’art. 4, c. 3, del D.M. n. 200/2012 (Regolamento I.M.U. per enti non commerciali): “Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se: a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni; b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio; c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”.

Le istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione I.M.U. per gli enti non commerciali

Hanno chiarito che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione allorquando il corrispettivo medio percepito dalla scuola paritaria, equivalente alla media degli importi annui che vengono corrisposti alla scuola dalle famiglie, è inferiore o uguale al costo medio per studente, secondo la tabella ministeriale per l’anno di riferimento.

L’accoglimento del ricorso

Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai principi enunciati nel valutare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento del beneficio tributario I.M.U., avendo ravvisato in modo incompleto la ricorrenza sia del requisito soggettivo (con la sola menzione della qualità di ente ecclesiastico) che del requisito oggettivo (con la negazione della “commercialità” dell’attività didattica) senza specificazione. Pertanto, annullando la sentenza con rinvio, il giudice di merito dovrà valutare l’osservanza dei criteri del D.M. n. 200/2012 per stabilire se le attività didattiche siano svolte con modalità “non commerciali”.

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