Scuole aperte ma aule vuote. Lettera

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inviata da Chiara Amico – Alle 8.20 la campanella continua a suonare ma 3 aule su 5 sono vuote. Le colleghe aspettano davanti al portone d’ingresso gli alunni che sono andati a fare il tampone (t0) dopo la notifica del caso di positività nella classe.

Quelli che si presentano con l’esito del tampone negativo si recano in aula aspettando che, durante la giornata, arrivi qualche altro compagno. In ritardo perché non ha avuto la fortuna di trovare subito la farmacia in cui effettuare il tampone o è rimasto in fila per ore nell’attesa di farlo.

I bambini in quarantena, perché contatti di caso o positivi, invece, si connetteranno da remoto avvisando la maestra grazie al rappresentante di classe.

Se durante la giornata i tamponi positivi risultassero due, gli studenti presenti torneranno a casa e attiveranno la Dad dal giorno seguente.

I presenti saranno bambini comunque fortunati, perché avranno avuto modo di salutare maestra e compagni, raccogliere il loro materiale e poter seguire da casa con i libri e i quaderni accanto.

Gli altri, i positivi, recupereranno il materiale appena possibile. Grazie all’accordo genitori-docenti che avverrà sempre tramite il rappresentante di classe dei genitori.

Con buona pace del lavoro del genitore che ricopre questo ruolo e dell’insegnante che, dopo aver atteso gli alunni, attenderà anche i genitori.

I Referenti Covid, anch’essi insegnati, non appena liberi dalla lezione, lavoreranno fino a sera per caricare i dati di ogni singolo bambino sul portale dell’azienda sanitaria (negativi e positivi).
Ieri nella mia scuola, un genitore è riuscito a dar notizia di positività del figlio al Referente Covid soltanto alle 01.05 della notte. E stamattina è stato il caos.

E’ una guerra al massacro. In due anni non hanno fatto nulla e adesso ci hanno proprio abbandonato: a noi insegnati e a noi genitori.

Bambini in classe e genitori al lavoro. Sacrosanto.
Ma, dopo le vacanze natalizie, mentre tutti gli scienziati chiedevano di posticipare l’apertura scolastica o di attivare la didattica digitale integrata per qualche giorno, in modo da far decollare la vaccinazione 5-11 anni, ci hanno rimandato ad occupare le aule e i luoghi di lavoro senza ascoltare i primi né predisporre o prevedere un obbligo di test prima del rientro.

Il lavoro dei docenti è decuplicato, tra supplenze per sopperire l’assenza dei colleghi che stanno cadendo come pedine nonostante la terza dose, e il caricamento dei dati, di ogni singolo bambino, sul portale dell’azienda sanitaria.

I bambini, sottoposti a tamponi zero e cinque per ogni compagno positivo, che vivono non soltanto la loro paura personale ma anche lo stress e la stanchezza dei maestri, cominciano ad essere sempre più fragili emotivamente.
Io li vedo i loro occhi dietro alle mascherine! Io li sento i loro timori prima di andare a fare l’ennesimo tampone! Io li ascolto mentre si chiedono spaventati il motivo dell’assenza di un compagno o di un docente.

Li stiamo condannando all’ansia oltre ad esporli al contagio.

Ci hanno abbandonato. Tutti.

Noi docenti stiamo lì, cerchiamo di consolarli e resistere mentre teniamo aperte queste baracche in cui le risate diminuiscono e le problematiche si moltiplicano.
Siamo quelli che vorremmo le scuole aperte, ma in sicurezza.

Non è stato fatto il possibile come raccontano.
Non ci hanno nemmeno provato: hanno solo ribadito l’inutile slogan “scuole sicure” così da non far nulla per renderle davvero tali.

La salute fisica e mentale di insegnanti e bambini non può essere sacrificata in nome della produttività.

Hanno salvato il Natale. Non la scuola.

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