Scuola superiore a 4 anni, la preside Ferrario: “Non è uno sconto ma un investimento in qualità. A 18 anni i ragazzi devono andare per il mondo a fare esperienze” [INTERVISTA]

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Proprio pochi giorni fa c’è stato il via al rinnovo e l’ampliamento del Piano nazionale per la sperimentazione di percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado. Si tratta di un modello di scuola, ancora sotto osservazione, che in molti casi sta fornendo indicazioni su come potrebbe essere l’istruzione superiore accorciata di un anno rispetto ai canonici 5.

Si tratta di un tema che ha costruito due schieramenti: i favorevoli e i contrari. Questi ultimi sono convinti che non sia una buona idea fare uno “sconto” alla scuola superiore. Ma per il primo schieramento, ovvero i favorevoli, non si tratta di una mera riduzione e compressione del percorso formativo, ma un vero e proprio modello educativo.

Ne è convinta di quest’ultima posizione Amanda Ferrario, dirigente scolastica dell’ITE Tosi di Busto Arsizio, praticamente una pioniera dei percorsi quadriennali. Ad Orizzonte Scuola spiega cosa sono veramente e quali vantaggi possa offrire agli studenti.

Lei è stata fra i primi dirigenti a sperimentare il percorso quadriennale. Cosa l’ha spinta a muoversi in questa direzione?

La scuola è molto cambiata nel corso degli anni. Non possiamo pensare, che uno studente che oggi vive una realtà fortemente europea, sia ancorato, invece, a un modello didattico statico da ormai oltre cinquant’anni. Inoltre, la riforma dell’università, tre più due, va nella direzione di una carriera scolastica differente. Si pensi alle opportunità post diploma: non solo università, ma anche percorsi innovativi come gli ITS, esperienze in atenei stranieri il tutto in linea con l’età dei coetanei degli altri paesi. Essere diplomati a 18 anni permette un indubbio vantaggio competitivo.

Per molti si tratta solo di uno “sconto” di un anno di scuola. Perchè lei invece sostiene che non è così?

Perchè ragioniamo sempre e solo quantità? Proviamo a ragionare in termini di qualità. Meno tempo scuola, ma più tempo dedicato a percorsi altamente innovativi. Che partono prima a settembre e terminano a fine giugno, ogni anno. Che nella loro proposta includono molto tempo in alternanza, learning week, esperienze formative all’estero, incontri con il mondo del lavoro e delle imprese, project work, sviluppo di competenze necessarie ad adattarsi a contesti difficilmente prevedibili adesso. I ragazzi non avranno uno sconto, ma un investimento in termini di qualità dell’apprendimento. Imparare ad apprendere sviluppando i propri talenti per adattarsi alle situazioni lavorative o di studio che si dovranno affrontare in futuro.

La scuola che dirige, l’ITE Tosi di Busto Arsizio, è al terzo rinnovo della sperimentazione. Quali sono i risultati che avete ottenuto fino ad oggi?

Ottimi. Il Tosi ha diplomato ben otto classi quadriennali finora, su due indirizzi diversi, amministrazione finanza e marketing e relazioni internazionali. I nostri alunni della prima ora sono già laureati, alcuni lavorano in contesti multiculturali europei, altri in grandi aziende del territorio nazionale. Altri ancora hanno vinto premi e riconoscimenti in contest internazionali di rilievo. Senza citare i livelli altissimi dei dati INVALSI e la motivazione allo studio. Tenere un uomo e una donna di 18/19 anni a scuola a frequentare l’ultimo anno di corso quando, per la legge, possono votare, guidare e sono cittadini a pieno titolo credo sia anacronistico. Trattati ancora come ragazzini, sottoposti all’interrogazione e alla verifica. Basta, a 18 anni devono andare per il mondo e fare esperienze. Ci chiediamo perchè le università facciano test di ingresso. Perchè il diploma vetusto che si propone ancora oggi è talmente variegato in tutto il paese da annullarne l’efficacia.

Una battuta finale sull’esame di Stato: deve cambiare struttura, essere abolito o tornare al modello pre-pandemia? E come eventualmente inserire il tutto nei percorsi quadriennali?

Basta con il vecchio modello. Basta ripropinare le stesse prove fatte come esercizio a maggio nella sessione d’esame di giugno. Il tema? Un modello superato. Certo che devono sapere scrivere. come devono saper parlare in pubblico, sostenere una tesi, confutarla. Ma crediamo davvero che un tema – identico per ogni indirizzo di studio dal professionale al classico – su argomenti spesso ignoti e non trattati in classe possa essere il metro di valutazione di un esame? Assolutamente no. Devono imparare a scrivere – e bene – durante il percorso di studi, dalla scuola primaria all’ultimo anno di superiore, ma l’esame finale deve indagare le competenze specifiche del percorso maturate dallo studente. Meglio presentare un bel progetto personalizzato a partire dall’esperienza del triennio e discusso in un orale che valorizzi i talenti dello studente. Il nostro problema è l’estrema parcellizzazione del sapere disciplinare frammentato in tanti rivoli. Basti pensare all’alzata di scudi dei cosiddetti intellettuali che difendono a spada tratta vecchissime tradizioni. Ecco, in classe, oggi, si fa ricerca e sviluppo. L’esame deve essere incentrato su questo. E permettetemi: chi non mette piede in classe o non l’ha mai messo, che non ci metta anche la lingua. 

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