Scuola senza voti, pareri contrapposti. Una docente: “Lo stress divora i ragazzi”. Un’altra: “Anche un 2 fa crescere, i voti servono”
Una scuola senza voti? La decisione di un liceo di Palermo fa discutere. Su La Repubblica due voci a confronto.
C’è chi dice sì
“Il voto numerico è eccessivamente semplicistico. Ogni studente rappresenta un mondo unico e una valutazione più articolata sarebbe preferibile.” Rossella Lo Bianco, architetto e docente di Progettazione e Produzione Moda all’Ipsia Medi di Palermo da 25 anni, sottolinea di aver scelto consapevolmente di lavorare in una scuola ritenuta difficile.
In merito all’esperimento di abolizione dei voti nella scuola superiore, Lo Bianco esprime il suo sostegno, ritenendo il voto numerico riduttivo. A suo avviso, l’interrogazione tradizionale e il voto che ne consegue risultano inaccettabili nel suo ambito disciplinare, che si basa principalmente su attività laboratoriali. La docente incoraggia gli studenti all’autovalutazione e ritiene che lo stesso approccio possa essere applicato anche negli istituti tecnici e nei licei.
Lo Bianco riconosce che molti colleghi si affidano a metodi di insegnamento più tradizionali, ma preferisce un approccio laboratoriale in cui gli studenti collaborano e crescono insieme. Nonostante sia obbligata ad utilizzare i voti, lo fa solo dopo mesi di lavoro su progetti che richiedono un lungo periodo di ricerca e progettazione.
La docente considera il voto numerico limitativo in quanto, negli istituti professionali, è richiesto di compilare Piani Formativi Personalizzati che descrivono l’evoluzione dell’alunno fin dal primo anno. Riassumere tutto ciò in un voto risulta eccessivamente semplificatorio.
Se possibile, Lo Bianco eviterebbe del tutto i voti, ritenendo che una descrizione scritta consenta di esprimere maggiori informazioni riguardo allo studente, ai suoi progressi e alla sua individualità.
C’è chi dice no
“È preferibile mantenere i voti nelle valutazioni scolastiche. Temerei che qualsiasi altra forma possa risultare più soggettiva e maggiormente contestabile da parte delle famiglie.” Francesca Gambino, insegnante di Francese presso l’Istituto Tecnico Marco Polo di Palermo, non ha dubbi al riguardo. Secondo la docente, eliminare i voti comporterebbe un aggravio di lavoro per il professore, obbligato a stilare giudizi descrittivi come avveniva nelle scuole medie.
L’alternativa potrebbe essere l’utilizzo di rubriche di valutazione, ma ciò aumenterebbe ulteriormente il carico di lavoro del docente. Gambino sostiene che gli studenti debbano comunque essere valutati e che sostituire i voti con parole potrebbe rivelarsi controproducente.
Pertanto, è meglio mantenere i voti. “Decisamente sì. Il voto è un messaggio chiaro e risolutivo. Ho avuto studenti che, grazie a voti bassi ricevuti nel primo anno, ne hanno tratto beneficio.”
Gambino racconta di una studentessa che, alla fine del quinto anno, le ha scritto una lettera commovente, ringraziandola per i voti bassi ricevuti in precedenza. La giovane ha compreso, con la maturità acquisita nel tempo, che quei voti non erano punitivi, ma servivano come stimolo per migliorare. La docente afferma che il voto, se spiegato all’alunno, svolge una funzione educativa.
Tuttavia, è innegabile che il voto possa generare ansia. “È vero che il voto crea ansia, ma contribuisce alla crescita personale. A mio avviso, sarebbe controproducente eliminare tutte le difficoltà che i giovani incontrano nel loro percorso formativo. Essi devono imparare ad affrontare i momenti di difficoltà e a superarli. Inizialmente, un voto insufficiente potrebbe non essere accettato e l’alunno potrebbe contestarlo, ma nella maggior parte dei casi, riflette su di esso e si impegna per recuperare. Ribadisco: i voti sono importanti.”