Scuola senza voti, Corsini: “Troppi docenti dicono ‘la scuola non è fatta per te’. La valutazione viene usata per garantire ‘la classetta buona’ dal terzo anno in su”

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L’annuncio della chiusura della “sezione finlandese” del Liceo “Morgagni” di Roma ha sollevato un acceso dibattito sull’approccio alla valutazione scolastica.

L’innovativa sezione, caratterizzata dall’assenza di voti numerici e dal focus su suggerimenti per il miglioramento delle competenze, ha visto la sua fine con una decisione controversa presa dalla maggioranza di un solo voto da parte del corpo docente.

Da una parte, la decisione è stata vista come un ritorno a una scuola più tradizionale, dove il voto numerico è ritenuto un importante indicatore del percorso scolastico dello studente. Dall’altra, alcuni la considerano un passo indietro, influenzato da un clima politico conservatore.

La valutazione numerica, tuttavia, è da tempo oggetto di critiche da parte degli esperti dei sistemi scolastici, tra cui Cristiano Corsini, docente di pedagogia sperimentale e autore del libro La valutazione che educa.

A Il Manifesto, Corsini sottolinea che la valutazione dovrebbe essere uno strumento per arricchire l’apprendimento, piuttosto che limitarlo. Egli critica l’uso della valutazione come mezzo per creare classi di “elite” e per scoraggiare gli studenti ritenuti meno capaci.

La resistenza a queste idee innovative nell’educazione è legata a una visione più conservatrice della scuola, che spesso ricorre a luoghi comuni anziché esplorare nuove metodologie didattiche. Corsini sostiene che una scuola incentrata sulla valutazione educativa, pur essendo più impegnativa, rende l’apprendimento meno tossico e più efficace.

Al centro del dibattito ci sono anche le prove Invalsi, che, secondo Corsini, dovrebbero servire a migliorare il sistema educativo nel suo complesso, anziché focalizzarsi solo sui risultati degli studenti individuali: “La persona competente è consapevole dei propri diritti, interviene sulla realtà modificandola e lo fa agendo con altre persone. Il problema è che se si afferma che una prova a scelta multipla come il test Invalsi misura le competenze, se ne impoverisce il significato”.

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