Scuola, riscopriamo i fondamentali. Lettera

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Inviata da Nicola Tenerelli – Le sette-otto settimane di chiusura delle scuole hanno già attraversato alcuni passaggi. Inizialmente i docenti sono stati presi da un senso di impotenza, come è ovvio di fronte alla drammaticità dell’evento, soprattutto perché catturati dall’horror vacui dell’impossibilità di portare avanti il progetto didattico con gli studenti.

Timore durato poco, gli strumenti digitali sono venuti per tutti in
soccorso; per alcuni più intraprendenti, con piattaforme google o windows per le lezioni on-line.

Una certezza nuova si è fatta largo durante l’epidemia: l’idea di Scuola come finora intesa ha subito una metamorfosi, tornando ai suoi fondamentali: Scuola è ovunque ci sia un docente che incontra i giovani per costruire assieme il sapere.
La nota del MIUR del 17 Marzo ha dato ulteriore forza alla validità giuridica del lavoro on-line: “Nella consapevolezza che nulla può sostituire appieno ciò che avviene, in presenza, in una classe, si tratta pur sempre di dare vita a un “ambiente di apprendimento”.
Quel senso di impotenza iniziale, che pur aveva catturato i docenti italiani, è stato mitigato dalla certezza di poter continuare a essere significativi. Con l’ausilio degli strumenti tecnologici, la rete, i computer, tanto bistrattati da una cultura resistente ai cambiamenti, la trasmissione di sapere e
valori ha potuto continuare, impedendo che il tempo del coronavirus divenisse il tempo del nulla.

Lo sforzo iniziale l’hanno dovuto fare anche gli studenti di tutte le età che, più degli adulti, si sono resi conto di come i mezzi informatici, per lungo tempo considerati una forma di svago e di rifugio giovanilistico a ogni forma di impegno concreto, non siano di loro completa padronanza se utilizzati per lavorare.

Il ritorno ai fondamentali della Scuola di cui si diceva – una specie di reductio ad unum tra docente e discente- inevitabilmente ha escluso parte degli attori del mondo scolastico, così come era stato sovrastrutturato negli ultimi decenni. Alcuni, però, non hanno rinunciato al proprio presenzialismo, ritornando a condizionare il lavoro dei docenti: si consideri, per esempio, il dibattito strumentale (cui prodest?) intorno alla possibilità per gli insegnanti di apporre la propria firma e registrare le
lezioni svolte sul famigerato Registro Elettronico (paventando addirittura il reato di Falso Ideologico, art. 479 c.p., sic!). Il MIUR, nel DPCM dell’8 aprile u.s. art. 2 comma 3, ha decisamente sanato il dilemma kafkiano: “[…] il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici e tecnologici a
disposizione”. Con tale disposizione il ministro ha ratificato lo stato dell’arte, prendendo atto dell’impegno degli insegnanti comunque realizzato, quindi, implicitamente obbligando studenti (e famiglie) a ottemperare all’impegno scolastico realizzando il programma a cui sono invitati dai loro docenti.

Ma non è finita. Giorni or sono, ospitata dal quotidiano La Repubblica, è stato pubblicata una lettera aperta al Ministro da parte di un gruppo di “genitori con figli di varia età scolare e prescolare” che hanno denunciato:
“[…] impreparazione digitale di docenti e alunni, mancanza di infrastrutture pubbliche adeguate […] inadeguatezza dell’insegnamento a distanza [realizzato] in evidente contraddizione con la Costituzione italiana […] In questa prospettiva sorge per le famiglie la preoccupazione di
dover far fronte a un vero e proprio abbandono dei figli per gran parte della giornata, tenuto anche conto che moltissime famiglie non potranno più fare affidamento sulla presenza e sull’aiuto dei nonni (fascia di popolazione maggiormente esposta a rischio Covid) e che il costo di una babysitter
per tutto il corso della giornata sarebbe per molti insostenibile”.
Tale articolo, oltre che averci aiutato a comprendere quali siano alcune delle ‘forze esterne’ che minano autonomia e autorevolezza della classe docente, ha messo in evidenza come venga interpretata la Scuola nell’immaginario di molte famiglie, dimentiche che i giovani siano i soli destinatari del servizio pubblico e dell’impegno di tanti professionisti: per tali signori la Scuola
italiana è un surrogato a buon mercato di nonni e baby-sitter, non rendendosi conto di avere il diritto-dovere istituzionale di compartecipare alla formazione dei propri figli. È sotto gli occhi di tutti, quanto i desideri delle famiglie siano presi spesso in eccessiva considerazione dalla politica
partitica –l’articolo succitato è esemplare- condizionando azioni e decisioni di docenti e dirigenti, piegati al volere e agli interessi dei singoli (non sono interessi della collettività quelli mossi, in modo seppur condiviso, da un presupposto egoistico).

In questo periodo di Covid-19, sono tanti i soggetti che si arrogano la possibilità di offrire al Ministro il proprio parere: quando ritornare alle lezioni in aula, se fare turni doppi oppure lezioni blended, magari separare i banchi con fogli di plexiglas; eppoi, se valgono le assenze anche se fatte
on-line, come valutare gli studenti, la modalità degli esami di Stato…
Anche i docenti italiani avrebbero almeno una richiesta da fare al Ministro: desidererebbero essere tutelati e garantiti normativamente, in modo chiaro e univoco, rispetto al lavoro didattico svolto a distanza e alle valutazioni che ne conseguiranno. Il timore è che si ritorni a quell’horror pleni che
caratterizza da decenni il lavoro scolastico, fatto di interferenze, burocratismi, formalità, ricorsi.

Insomma, dopo aver dimostrato di essere capaci di autonomia e impegno, i docenti chiedono di ‘tornare ai fondamentali’ della Scuola, impedendo l’intromissione dei tanti ‘agenti esterni’ e censurando ogni funzionalità ulteriore all’esigenza di formazione dei giovani.

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