Scuola primaria all’aperto, un apprendimento che parte dal gioco e dalla sperimentazione. Un esempio: “cosa facciamo (anche Coding), come impostiamo la didattica” [INTERVISTA]

“Il Covid ha portato in tante scuole l’attività ludica all’aperto, noi invece abbiamo fatto didattica all’aperto”, ci racconta la maestra Rita, insegnante della Scuola nel bosco di Pavullo nel Frignano, un comune a 682 metri sul livello del mare, in provincia di Modena. La sezione di scuola nel bosco fa parte del plesso della scuola dell’infanzia Fratelli Tonini, ma la sua sede si trova nel plesso della scuola primaria “E. De Amicis”, ora convertito in due corsi, uno dei quali, a 40 ore, si svolge all’aperto. Come si legge nel blog della scuola, la mattina, dopo l’accoglienza di ispirazione montessoriana, i bambini indossano giacca o tuta da pioggia, stivali e comincia la giornata all’aperto.
Merenda, cerchio dell’appello, attività didattiche avvengono fuori: pinetina della scuola, palazzo ducale, torricella, centro paese; dipende dalle condizioni atmosferiche. Pranzo a scuola, riposo e attività pedagogiche, merenda, infine a casa. “Ed ogni giorno si chiude con gioia, la stessa con cui ritorniamo il giorno dopo”, aggiungono le maestre. L’emergenza del Covid, la conseguente chiusa delle scuole, l’isolamento “ci ha imposto di allontanarci e distanziarci fisicamente, ma ci ha portato ad approfondire e coltivare i legami”. Con altri mezzi: “ovviamente ci riferiamo a quelli digitali che in questo caso si sono dimostrati validi ed efficaci. Il blog della scuola nel bosco nasce dall’esigenza di star vicino ai bambini e alle famiglie in modo leggero … dove per leggerezza intendiamo quella di Italo Calvino che ci permette di vedere le cose dall’alto senza avere macigni sul cuore”.
L’esperienza della scuola all’aperto di Pavullo ha radici lontane nel tempo. Alcuni anni orsono, “alla fine del 2015 circa, abbiamo sentito il bisogno profondo di creare a Pavullo e all’interno della scuola statale una sezione dedicata interamente all’educazione all’aperto”, spiegano i responsabili. L’allora dirigente scolastica Rossana Poggioli “ci ha incoraggiato e spinto ad andare avanti così come l’attuale dirigente, Annalisa Mazzetti, è riuscita a concretizzare la nostra idea dando vita alla scuola. E là ci siamo formate in modo specifico seguendo vari corsi accreditati e proposti da realtà italiane all’avanguardia. Proprio studiando e formandoci abbiamo visto che molte di esse si rifacevano e andavano sottobraccio con la pedagogia di Maria Montessori; e cosi abbiamo anche deciso di formarci su questo versante. La nostra pratica comincia a settembre del 2019 quando abbiamo cominciato la nostra avventura”.
L’iniziativa ha ricevuto l’appoggio dell’amministrazione comunale di Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena. Il Comune di Pavullo “ha da sempre sostenuto l’esperienza plurisensoriale in natura – spiegano dal Municipio – coinvolgendo le educatrici dei nidi. Nel 2019 è partita la prima proposta di una sezione dell’infanzia statale ispirata alla scuola nel bosco presso l’edificio De Amicis, riadattando il piano terra per i bambini più piccoli. Questa sperimentazione è stata graduale, favorita dall’entusiasmo e dalla dedizione delle insegnanti, della dirigente scolastica, dalla condivisione dei genitori e dei bambini; sostenuta da corsi di aggiornamento per tutti gli insegnanti del distretto che continuano tutt’ora con docenti universitari ed altri esperti. Nel gennaio 2020 le numerose iscrizioni hanno richiesto una seconda sezione ispirata a questa nuova metodologia. Il sopraggiungere dell’epidemia poi ha confermato questa linea innovativa con Indicazioni ministeriali e dell’Ufficio Scolastico Regionale. Non si realizza una scuola all’aperto semplicemente uscendo dall’edificio, scoprendo gli spazi esterni per la ricreazione e lo sport. L’ambiente naturale diventa maestro di esperienze, del fare, del manipolare, del sentire, del movimento, offre spunti di riflessione, di progettazione, di condivisione che possono strutturarsi in percorsi educativi di apprendimento e di esperienza. La didattica “Outdoor Learning” ormai è una diversa modalità di insegnamento e apprendimento. E’ aperta alla collaborazione di varie associazioni: volontariato locale, Riserva di Sassoguidano, Ente Parchi, con guide naturalistiche e faunistiche”. Gli spazi interni agli edifici scolastici, spiegano in Comune, sono e restano importanti, quelli esterni divengono complementari come luoghi di apprendimento, vanno pertanto rivisti e riprogettati. Per tutte le scuole d’infanzia sono stati scelti arredi esterni: armadietti adatti per cambi d’abito, portastivali, tavoli da esterno, sedie, panche, piantonaia per la semina e attività di giardinaggio, carrelli, per un totale di 20mila euro con Fondi Strutturali Europei”. Nell’anno scolastico che volge al termine al De Amicis ci sono state 3 sezioni statali dell’Infanzia più una classe prima della primaria, ispirate alla scuola nel bosco per un totale di 68 bambini. L’epidemia di Covid 19 ha accelerato i cambiamenti della società, ma non solo. Secondo gli amministratori comunale di Pavullo il modo “tradizionale” di fare scuola evolverà sempre più verso la didattica digitale, l’uso di dispositivi elettronici, valorizzerà la didattica del fare. Al contempo includerà e coinvolgerà sempre più il bambino nel rapporto con la natura. L’ambiente sarà occasione di innovazione educativa e di formazione del futuro cittadino”.
La maestra Rita Bertacchi cura l’ambito umanistico, assieme alla collega Giulia Codipietro che si occupa anche di coding della scuola all’aperto di Pavullo
Maestra rita Bertacchi, come nasce questa idea?
“L’esperienza, di cui siamo molto orgogliosi ha avuto una genesi dal basso, dalle insegnanti. Siamo partiti tempo fa con la scuola dell’infanzia, grazie all’appoggio della dirigente scolastica Rossana Poggioli, poi la nuova dirigente Annalisa Mazzetti l’ha estesa alla primaria. Prima era dedicata solo al comparto dell’infanzia poi si è allargata, per richiesta dei genitori. La dirigente ha creduto e ha costituito la prima primaria decidendo di convertire il plesso De Amicis a due corsi, uno a 40 ore e l’altro a 27. Prima erano tradizionali, ora il corso a 40 ore è un progetto all’aperto con 20 bambini. Le nuove classi a 40 ore saranno in futuro all’aperto fino ad avere un ciclo completo di 5 classi sperimentali”.
Lei preferisce chiamarla scuola all’aperto, più che scuola nel bosco. Perché?
“La classe nel bosco colloca la propria attività proprio nel bosco e quindi ci vuole un luogo che lo permetta. La scuola all’aperto consente di farlo anche in città, l’accezione è dunque meno stringente e questo favorisce una possibile estensione dell’esperienza agli altri plessi di Pavullo a livello di classi parallele. La dirigente ha investito assieme al Comune nell’acquisto di tavoli per ogni plesso in modo che in tutte le scuole di Pavullo si possa fare scuola all’aperto. Anche se non hanno il bosco vicino”.
Tuttavia, nel bosco ci andate
“Nel bosco ci andiamo lo stesso, certo. Ci rechiamo nel parco cittadino, il Parco ducale, in centro, andiamo al campo di aviazione. I bambini, grazie a questo tipo di scuola, conoscono il territorio. Ogni tanto sono proprio loro, i bambini, a proporre dove andare. Ogni ambiente permette di svolgere attività didattiche specifiche. Si tiene conto dell’interesse dei bambini, i bambini si ispirano in base all’interesse. I nostri panorami, peraltro, richiamano la loro verve poetica, oggi declamavano le bellezze della natura. E devo dire che li vediamo crescere anche a livello di espressione linguistica. Certo, sono privilegiate le osservazioni scientifiche, abbiamo alberi secolari, castagneti, abbiamo la castagna come coltura privilegiata”.
Qual è il vero valore aggiunto della scuola all’aperto?
“I bambini vengono incentivati a essere osservatori dell’ambiente che li circonda. Loro si definiscono naturalisti, coltivano il senso dell’osservazione scientifica, della classificazione, cercano di capire il mondo che vedono. Hanno un approccio interessato, dietro c’è una grande motivazione. Il processo di apprendimento ne risente positivamente. Sono protagonisti attivi del processo di apprendimento: significa che sanno che stanno lavorando per loro stessi. Con le loro richieste ad esempio sono molto consapevoli. Ci sono metodologie attive e loro sono coinvolti attivamente nelle metodologie didattiche, tra l’altro ognuno con le proprie specificità. Ognuno mette a disposizione del gruppo le proprie risorse. Applicando la metodologia del gioco ogni bambino schiera le proprie risorse, la differenza diventa un valore. Mentre al chiuso l’alunno tende a omologarsi, nella scuola all’aperto ogni bambino gioca il proprio ruolo sulle proprie specificità che mette a disposizione della squadra. E così, in automatico, avviene un lavoro di gruppo. In classe questo si ottiene con il cooperative learning. All’aperto avviene automaticamente”.
Faccia degli esempi pratici
“Per esempio, quando si fa un’osservazione ognuno dice la propria. Così, uno dice: si devono contare gli anelli del tronco dell’albero. Un altro aggiunge: mia mamma dice che dai gusci si riescono a contare gli anni. Insomma il sapere viene condiviso. Oppure facciamo dei giochi: si fanno delle squadre, e si fa una gara di analisi grammaticale cercando in ambiente il nome comune di una cosa e ogni squadra deve cercare in ambiente il nome di una cosa, o di un animale. Allora in quel caso un bambino che ha difficoltà con i concetti di grammatica e di analisi compensa con la propria agilità per arrivare per primo a trovare un oggetto anche grazie a un lavoro di squadra su cosa andare a prendere. Quando abbiamo fatto le sillabe giocavamo a ruba bandiera. Io pronunciavo la parola pero e si doveva creare una coordinazione tra chi diceva pe e chi ro. Si lavora a 360 gradi sulle competenze relazionali e sulle soft skills, e se c’è un leader che vuole primeggiare viene riassorbito nel gruppo”.
Le famiglie sono soddisfatte?
“Le famiglie sono contentissime, anzi sono state delle sostenitrici a priori. Alcune di loro avevano fatto il percorso già all’infanzia, altre venivano dal tradizionale. Alcune erano partite un po’ scettiche, c’erano molti dubbi, e noi chiedevamo ai genitori quali fossero le paure. C’erano delle aspettative di benessere: tutte riconoscevano che il sistema sarebbe stato più attento alle necessità fisiologiche del bambino, alcune manifestavano dubbi sugli apprendimenti e sulla salute, anche se ormai si sa che stando fuori ci si ammala di meno. Ma anche coloro che sembravano più scettici all’inizio, ci hanno poi detto che fare scuola all’aperto è meglio. Riconoscono che queste scuole hanno un metodo, non sono senza metodo, come si potrebbe immaginare pensando a un progetto all’aperto. Invece ci sono molte regole, le regole sono anzi reali per preservare il benessere proprio e quello degli altri”.
E loro, i bambini, come la prendono?
“Sono felicissimi. Fanno sempre metadescrizione, si narrano molto, loro nell’esempio di stamattina lo sapevano che stavano declamando le bellezze, a loro piace guardarsi dall’esterno. Non mi è mai successo di non andare a scuola volentieri, dicono. Il leitmotiv della nostra scuola è il divertimento”.
Già, ma come si troveranno questi bambini quando saranno alle medie e dovranno scontrarsi con una realtà completamente diversa?
“Secondo me si troveranno bene, poiché la versatilità che imparano all’aperto insegna loro che ogni contesto ha la propria risposta. Loro vedono ad esempio che ogni stagione richiede un abbigliamento diverso, un’attività differente. E dunque percepiscono che ogni contesto richiede un comportamento sempre nuovo. E quindi immagino che questo li abituerà a rispondere meglio davanti a un contesto diverso, adattandosi meglio. Ed è un adattamento basato sulla consapevolezza. Questo sistema incentiva la consapevolezza e loro sapranno interpretare i contesti diversi dal proprio e si adatteranno”.
Ma ci sarà qualcosa che questi bambini si perdono mentre tanti altri coetanei stanno in classe?
“Quel che si perdono è il meccanismno, il fatto di abituarsi a degli esercizi ripetitivi. Un bimbo che sta otto ore in classe esercitandosi su esercizi configurati prende più dimestichezza con la logica e il lessico di quegli esercizi. Un bambino abituato così non deve comprendere la scheda. Invece i nostri bambini devono comprendere la scheda perché non hanno il meccanismo”.
E questo è un bene?
“Dipende, certe volte è un bene. Il lato positivo è che si abituano a ragionare sulle cose, ad attivare processi logici”.
Il lato negativo?
“Il lato negativo è sui meccanismi perché da studenti dobbiamo attivare in breve tempo delle scorciatoie cognitive. Io confido che pian piano acquisiranno queste competenze, infatti con la nostra generazione lavoravamo a domande aperte e poi all’università abbiamo poi dovuto fare altre cose e abituarci alle novità”.
E ve la caverete con le prove Invalsi?
“Spero bene, faremo una preparazione specifica per prepararsi al linguaggio dell’Invalsi e alle strategie”
Come vi vedono i docenti delle classi parallele?
“Sono incuriositi, fanno domande pratiche, ad esempio su quando piove, oppure sull’autonomia dei bambini. Ma i bambini sono autonomi, si mettono da soli la salopette. Un bimbo allaccia le scarpe a un altro bimbo: se lo fa un docente fa capire al bambino che non è adeguato, gli suggerisce che non è capace. Se lo fa un altro bimbo significa: tu lo fai prima, ma poi io lo imparo da te. Non sapere una cosa non significa non saperla, significa poterla imparare. Sembra banale, ma non lo è. Quando scoprono qualcosa che non sanno – e che scoprono con l’osservazione – sono contentissimi. L’errore nasconde delle potenzialità, mi fa riflettere su una cosa che non ho imparato. La semplificazione dei libri è desolante. Se non capiscono qualcosa sul lessico, loro chiedono sempre. E allora perché semplificare?”
Insomma, siamo alla fine dell’anno, si può dire che le competenze programmate sono state acquisite?
“Si, certo. Anzi, secondo me anche più in profondità, con competenze sedimentate al punto che non diamo compiti per le vacanze. Dare compiti per le vacanze è un portare fuori dalla scuola un meccanismo che fa parte della quotidianità scolastica e in questa quotidianità è fondamentale la presenza dell’insegnante. E quindi quando esporti dalla scuola una pratica, dando dei compiti a casa senza il riscontro a posteriori dell’insegnante – settembre è troppo tardi – diventa un esercizio fine a se stesso che il bambino deve gestire da solo o con i genitori. Io e la mia collega confidiamo nella sedimentazione degli apprendimenti tanto che se i concetti sono sedimentati loro non li dimenticano e quindi – se non non sono stati capiti – questi tre mesi servono a noi per capire e per lavorarci meglio, il resto va rispolverato. Noi diamo solo da leggere. Un lettore deve diventare un lettore profondo, i bambini si devono prendere il tempo della vacanza per accudire l’animaletto che è la propria lettura. E anche perché poi diventa una compagna della loro estate”.
L’approfondimento
A colloquio con Michela Schenetti, professoressa associata di Didattica generale e pedagogia speciale dell’Università di Bologna. INTERVISTA
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