Scartoffie, fonte di frustrazione per i docenti. Gilda: “Più carte, più motivi di ricorso per i genitori”
di Eleonora Fortunato – “Pensano che serva contro i ricorsi, in realtà più si scrive più si creano ‘bachi’”. Il sondaggio Talis dell’Ocse, che negli ultimi giorni ha quantificato in un preoccupante 20% la quota del lavoro dei docenti destinata al disbrigo di pratiche burocratiche, riporta l’attenzione su un sondaggio commissionato lo scorso anno dalla Gilda alla Swg e condotto su un campione di 3000 insegnanti.
di Eleonora Fortunato – “Pensano che serva contro i ricorsi, in realtà più si scrive più si creano ‘bachi’”. Il sondaggio Talis dell’Ocse, che negli ultimi giorni ha quantificato in un preoccupante 20% la quota del lavoro dei docenti destinata al disbrigo di pratiche burocratiche, riporta l’attenzione su un sondaggio commissionato lo scorso anno dalla Gilda alla Swg e condotto su un campione di 3000 insegnanti.
“Era emerso già allora che per i docenti una delle principali fonti di frustrazione e di insoddisfazione – ci ha detto Fabrizio Reberschegg del centro studi Gilda – fosse rappresentata dalla burocratizzazione sempre più spinta del mestiere”. E con questo il delegato Gilda si riferisce all’enorme quantità di verbali, relazioni, progetti che un docente è tenuto a redigere nel corso dell’anno nella consapevolezza che nulla di quanto faticosamente elabora avrà poi una reale utilità e una positiva ricaduta sul suo insegnamento.
“Il nostro sondaggio aveva evidenziato che per ben il 71% degli intervistati la scarsa considerazione sociale di cui godono gli insegnanti è al secondo posto tra le problematiche ritenute più gravi dalla categoria. Questo dato, però, ci ha fatto riflettere anche su un’altra cosa: che la stragrande maggioranza di loro vorrebbe una partecipazione più attiva ai processi decisionali della scuola. I docenti, cioè, non vogliono essere trattati dai dirigenti scolastici come meri esecutori di attività calate dall´alto, alla stregua di impiegati”.
Ma che cosa c’è all’origine di questa deriva così accentuata verso la burocratizzazione della professione docente? “E’ semplice – continua Reberschegg – tutto questo si fa al solo scopo di evitare contenziosi con i genitori degli alunni. Si parte dall’idea che producendo un numero elevato di relazioni o verbalizzazioni si creino delle prove che un domani potrebbero servire per difendere il proprio operato, ma non si riflette però sul fatto che più si scrive più in realtà si creano ‘bachi’ che potrebbero essere utilizzati dalla controparte”.
“Se restiamo in tema di quantità, le dirò anche che un progetto che si sviluppa in 30 pagine spesso può essere meno valido di una altro che viene presentato su un paio di facciate”. E già, perché non c’è solo la burocrazia standard (registri, registri elettronici, verbali dei collegi e dei consigli) ma c’è quella extra che, per così dire, riguarda l’ ‘indotto’ dei progetti, delle attività complementari “e in più la pressione dei dirigenti a che tutto venga formalizzato per iscritto in modo che risulti sempre monitorato, catalogato. Invece bisognerebbe riflettere una volta per tutte su quello che si vuole dagli insegnanti: se devono offrire un servizio in cui contino empatia e creatività non si può poi chiedere loro di riportare tutto a una dimensione autoreferenziale”.
Reberschegg ci fa infine riflettere su un altro controsenso: spesso le relazioni che si scrivono durante e al termine dei progetti si dice servano a documentare l’effettivo coinvolgimento della classe e la riuscita o meno dell’iniziativa sul piano didattico, “mentre invece si dovrebbe ricorrere a ben più utili sondaggi di gradimento anonimi tra gli studenti”.