“Sbagliato parlare di ondata di violenza a scuola”, ecco perché. Licenziata per aver mostrato il nudo del David? “USA, paese di paradossi”. INTERVISTA al prof De Masi

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“ Siamo in un momento storico in cui abbiamo l’abitudine di estendere, anche più del dovuto, tutto quello che i media ci propongono. Anche per gli episodi di violenza nelle scuole che diventano, erroneamente e di riflesso, ondate di violenza. Quello che invece sappiamo con certezza è che la scuola risente, chiaramente, del contesto sociale in cui si trova. Perciò può accadere che nelle scuole dei ricchi si litighi per chi possiede l’ultimo modello di telefonino e negli istituti di periferie degradate si porti una pistola nello zaino”.

Patrizi e Plebei tra le nuove generazioni di studenti e, in ogni caso: “sbagliato generalizzare”. È perentorio su questo Domenico De Masi, il professore emerito di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma dove è stato preside della facoltà di Scienze della comunicazione.

Sociologo, studioso e ricercatore dei metodi e delle tecniche della ricerca sociale, con particolare attenzione alle indagini previsionali. Un’esperienza infinita maturata tra libri, studio e Università e adesso l’approccio ad una nuova avventura, questa volta via web. Da poco, infatti, è diventato direttore della scuola de Il fatto quotidiano.

Ad Orizzonte Scuola, poco prima di una sua lezione via web, ha commentato i recenti episodi di violenza accaduti a studenti e inseganti.

Professore, partiamo dalla professoressa picchiata da una mamma, fino agli studenti aggrediti da coetanei fuori la scuola di Firenze passando per l’allontanamento della docente americana accusata di favorire la pornografia per aver fatto studiare il David di Michelangelo ai suoi ragazzi. Cosa sta succedendo a scuola?

Intanto, mi lasci ribadire un concetto: non si può parlare di ondate di violenza sulla base del trasporto emotivo scatenato dai media dopo singoli episodi. Oggi manca, purtroppo, un’analisi seria che dovrebbe essere fatta dalle facoltà di sociologia, pedagogia o filosofia. E poi c’è l’Istat, che pure è di grande aiuto ma, al momento non abbiamo abbastanza dati, oggettivi, per ragionare in modo scientifico su quanto è accaduto. Nel napoletano, purtroppo, episodi di violenza verso gli insegnanti, specie in alcune scuole di periferia ci sono sempre stati: alcuni studenti nello zaino hanno la pistola al posto del diario”.

Come spiega allora questa recrudescenza?

Intanto analizziamo un dato: agli inizi del Novecento si laureavano 6 mila persone all’anno e a scuola andavano in pochissimi, dunque non c’era violenza verso i propri insegnanti.

E cosa mi dice di quanto accaduto negli Stati Uniti per aver voluto spiegare agli alunni il David di Michelangelo, l’opera d’arte che il mondo ci invidia.

Gli Stati Uniti sono una superficie vasta 33 volte l’Italia: e vanno da città come San Francisco, dove la sessualità è qualcosa di particolarmente spinto fino alle sette del Ku Klux Klan, c’è davvero di tutto. Il nudo nell’arte è sempre esistito e lasciava sottintendere la sensualità anche omosessuale proprio guardando un corpo maschile. Essere allontanati dall’insegnamento per aver proposto un’opera d’arte come il David è certamente un’assurdità ma parliamo degli Stati Uniti, paese dei contrasti e dei paradossi.

L’ultima nostra chiacchierata è avvenuta durante il Covid, lei era guarito da poco, tutti erano in smart-working e gli studenti in Dad. Cosa è cambiato da allora?

Lo smart- working non c’è più. Grazie al ministro Brunetta che ha riportato tutti in ufficio, mentre prima di lui una donna giovane e digitalizzata ( la ministra Dadone , ndr) aveva mostrato i vantaggi di questo modo differente di lavorare, che avrebbe dovuto essere mantenuto e invece….

Cosa ci ha insegnato allora questa lunghissima pandemia?

Abbiamo compreso che viviamo tutti in un unico villaggio globale: un virus viaggia dalla Cina al Giappone, alla Svezia in pochissimo tempo e non lo puoi contenere. Abbiamo imparato che abbiamo dei medici eccellenti, spesso nel pubblico ancor più che nel privato, abbiamo capito che il Sud non mette i vecchi a deposito nelle Rsa come accaduto al Nord ma ci convive nella stessa casa.

E nella scuola?

Abbiamo capito che la didattica a distanza, anche se è stata difficile, è stata una delle esperienze di massa più grandi che siano mai state fatte a scuola. Certo ai danni della socialità, che però era preclusa dal virus e che è tornata come prima e più di prima appena le distanze del Covid si sono, prima, ridotte e poi azzerate.

Lei adesso è a capo di una scuola, ma la dirige non come farebbe un vecchio preside. Che esperienza è dirigere una scuola digitale?

Un’esperienza incredibile: cosmopolita nel vero senso della parola. Siamo una scuola on-line e dove si insegna educazione civile, si insegna a diventare bravi cittadini. Ai corsi partecipano da tutte le parti d’Italia e d’Europa. I costi variano dipende dalle ore di lezione ma per i meno abbienti abbiamo messo a disposizione 75 borse di studio a cui si accede presentando domanda in base all’Isee. Per insegnare anche a chi non può permettersi di pagare un corso.

Professore lei ha insegato anche nelle Università tradizionali, ha ancora senso oggi in Italia accedervi col numero chiuso?

Se parliamo di Università dove il numero di potenziali iscritti supera di gran lunga la capienza dei posti, si. Ma in Italia non è così. Vede, abbiamo il 23 per cento di laureati, a fronte del 48 per cento europeo, e del 79 per cento degli Sati Uniti. Mi lasci dire che da noi il numero chiuso proprio non serve.

A cosa sta lavorando, qual è il suo prossimo progetto?

Un libro, che uscirà per Einaudi nei primi mesi del 2024. Sarà un testo su come evolve la cultura. In Italia siamo indietro con la scolarizzazione, una deminutio che va colmata. E voglio ricordare anche un altro dato: siamo appena 34esimi su una classifica di 170 paesi nell’indice di felicità. Siamo dietro a Francia, Germania e ovviamente ai paesi del Nord.

Quali sono i parametri per misurare la “ricerca della felicità” di un paese?

Sono di carattere, ovviamente, economico ma si valutano anche il livello di istruzione, la bassa corruzione e il tasso di occupazione . Parametri su cui in Italia c’è ancora da lavorare.

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