Sasso risponde a D’Avenia: “La scuola brucia, ma siamo pronti ad intervenire. Ascolteremo tutti”

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Il sottosegretario all’Istruzione, Rossano Sasso, risponde allo scrittore Alessandro D’Avenia che sul Corriere della Sera ha pubblicato delle riflessioni sul mondo della scuola.

“Ho letto il suo intervento di oggi sul Corriere della Sera dal titolo “La scuola brucia” e desidererei ringraziarla pubblicamente e condividere alcune riflessioni. Non solo lei ha fornito molteplici spunti, ha soprattutto parlato di scuola oltre l’ordinario, il consueto, la cronaca e ha tratteggiato una visione, un disegno che in larga parte mi sento di sposare. Da ormai due anni si parla di scuola necessariamente per l’urgente, dimenticando l’indispensabile”, scrive Sasso.

“Scuole aperte o chiuse, quarantene o impianti di aerazione, banchi a rotelle o tamponi salivari: da marzo 2020 la scuola è sì al centro dell’agenda politica ma non come lei né io né gran parte della comunità scolastica vorremmo. Mi sono formato sui libri di Dewey, per cui per me la frase “quel che i genitori migliori e più saggi desiderano per i propri figli, la comunità lo deve desiderare per i propri ragazzi” è diventata una filosofia di vita, sia in quella precedente bellissima di educatore sia in quella attuale di sottosegretario all’Istruzione”, spiega.

E ancora: Ebbene, ammetto con molta amarezza che oggi non riusciamo ad offrire quel che i genitori migliori desidererebbero per i propri figli e le cause di ciò non sono ascrivibili esclusivamente alla pandemia. Lei ne ha citate alcune storiche: dalla eccessiva democratizzazione post-sessantottina della scuola, che l’ha resa una macchina di disuguaglianza, alla scarsa retribuzione dei docenti, aspetti entrambi legati a quel lento ma inesorabile processo di decadimento della figura dell’insegnante. Sono nipote di insegnante, figlio di maestro elementare e dirigente scolastico, insegnante anch’io da 20 anni, di cui la metà trascorsa da precario. Da sottosegretario riconosco come spesso al decisore politico manchino una visione e la consapevolezza dell’importanza del mestiere più importante del mondo, che un tempo era anche il più bello e che ha a che fare con un capitale non economico ma invisibile: quello umano”.

Poi: “Da padre di due bambine che vanno a scuola sarei certamente più tranquillo se i docenti delle mie figlie non fossero precari, mal retribuiti, distanti 1.000 chilometri da casa e quindi potessero essere più sereni, non vittime di burnout, propensi all’aggiornamento e alla voglia di educare. In fondo quel “condurre a sé” è il sale della missione educativa, che è molto più che un lavoro. Ma, purtroppo, problemi mai del tutto affrontati oggi sono definitivamente deflagrati con la pandemia. La scuola brucia, è vero, ma forse se riuscissimo a mettere su una squadra di pronto intervento potremmo innanzitutto spegnere questo incendio e poi ricostruirla. Una occasione sarà certamente quella rappresentata dal Pnrr e dai miliardi a nostra disposizione, ma oltre alle mura, alle palestre e alle mense dobbiamo pensare a ricostruire l’anima della scuola, della nostra comunità. Apprezzo l’idea della disobbedienza civile, della protesta culturale, dell’opera di sensibilizzazione: bene! Cercherò di dare una mano nel mio piccolo: verrò io da voi per ascoltare e recepire le istanze di docenti e studenti e trasformarle in proposte concrete da condividere con tutti i colleghi di Governo, nessuno escluso. Il minimo che io possa fare è dare voce a chi quotidianamente vive e lavora nelle nostre scuole. Il riconoscimento sociale parte da qui: dal non continuare a ignorare le mille voci della nostra comunità. E unire a queste la mia, ovviamente non dal palco di Sanremo ma dalla mia scrivania di viale Trastevere. E questo non da uomo di partito, ma da uomo di scuola e da papà. Facciamolo”.

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