Traduzione dal latino e dal greco, è attività da svolgere in presenza “quintessenza delle competenze” [INTERVISTA]
Tra le attività laboratoriali che necessariamente vanno svolte in presenza, il Ministero dell’Istruzione non ha pensato di includere la traduzione dal latino e dal greco nel Liceo Classico.
La Delegazione di Roma dell’Associazione Italiana di Cultura Classica fa proprio l’appello della Professoressa Mariella De Simone (https://www.aicc-nazionale.com/novità/) a un intervento normativo del MIUR volto “a salvare la traduzione, quintessenza delle competenze”. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Mosconi, docente di lingue classiche nel Liceo Classico Statale “Vivona” di Roma e Vicepresidente della Delegazione capitolina.
Professor Mosconi, perché la verifica della capacità di volgere un testo dal latino o dal greco all’italiano non può essere fatta a distanza?
“Sarò schietto: perché, come sa ogni docente di tali discipline (ma, evidentemente, non il MIUR), ogni testo fra quelli proposti come ‘brani di versione’ è ormai reperibile on line con una traduzione scolastica già disponibile. Il rischio, all’italiana, è quello di premiare i furbi a scapito degli onesti, ma un docente non dovrebbe mettersi in tali condizioni, né i propri alunni in questa situazione, in nome di una malintesa generica fiducia. Perché ciò costituirebbe una forma di diseducazione civica, al pari di quella che avverrebbe in uno Stato in cui le imposte fossero pagate senza alcuna verifica da parte delle autorità, o con continui condoni, e in cui quindi i furbetti fossero liberi di frodare il fisco (ogni riferimento è puramente non casuale).
Certamente – si potrebbe obiettare – è pur sempre possibile confezionare ex novo nuovi brani, ed attingere a testi greci e latini meno battuti, da autori tecnici o specialistici fino, ad esempio, a testi del latino rinascimentale o moderno; ma è evidente che questa soluzione non è realmente praticabile. Non solo perché richiede un lavoro preparatorio tanto più complesso quanto minori sono le conoscenze e competenze già acquisite dagli studenti (si pensi a riscrivere un testo greco o latino riadattandolo alle competenze di un alunno che, ad esempio, ancora non conosca con sicurezza i pronomi oppure il congiuntivo e la sua sintassi), ma soprattutto perché c’è il rischio di proporre agli studenti testi che, per lessico, concetti, struttura, ecc., appaiano ad essi molto più difficili (si provi a far tradurre loro un brano dei Vangeli, che pure hanno sintassi molto semplice). Altre soluzioni – far scrivere un riassunto in latino, proporre domande di comprensione – vanno bene sì per acquisire un voto ‘valido per lo scritto’, ma non testano la capacità fine di comprensione del testo, e potrebbero esse pure mettere in difficoltà gli alunni (quanti hanno mai prodotto un riassunto). Il rischio, poi, che lo studente si procuri un aiuto ricevuto ad hoc in occasione della verifica è sempre presente, e dubito che la telecamera di un pc eviti il problema. Il punto è che la traduzione dalle lingue classiche, nei Licei con le lingue classiche e nel Classico in particolare, è troppo importante per rinunciarvi”.
La traduzione è, nella tradizione scolastica italiana, un lavoro solitario, profondamente individuale. Questo contraddice forse alcuni paradigmi della nuova didattica (penso al cooperative learning, per esempio).
“In realtà si può far tradurre anche attraverso il cooperative learning, ma, come in tutte le attività, il rischio in tali casi è che si creino dinamiche in cui alcuni fanno, ed altri assistono passivi. E, poi, non dimentichiamolo, alla fine la formazione è formazione dell’individuo, non di un gruppo: è bene che ogni studente affronti i propri limiti personali, per conoscerli e proprio per questo per superarli. Insomma: bene il cooperative learning, ma come strumento per giungere ad una capacità personale di comprensione dei testi (e del reale, se è per questo)”.
Nella lettera si evidenziano con efficacia tutti gli aspetti che dovrebbero indurre anche i più profani a considerare la traduzione come una delle attività che meglio promuovono lo sviluppo simultaneo di tutte le abilità considerate alla base di un apprendimento significativo. Eppure si continua ad avere l’impressione che la ‘scuola delle competenze’ non solo non abbia compreso appieno il valore dell’esercizio traduttivo, ma che lo consideri la reliquia di un modo vecchio di fare scuola.
“Con una battuta, non lontana dal vero, mi verrebbe da dire che il modo vecchio di fare scuola è quello che insegue le mode, e ripete acriticamente formule ormai vecchie assolutizzandole, e con ciò tradendole. A chi avesse dubbi sul valore della traduzione dalle lingue classiche come elemento integrante, se non fondante, di una ‘scuola delle competenze’, risponderei con le osservazioni di scienziati come Luca Cavalli Sforza e Guido Tonelli, che hanno ribadito, forti della loro esperienza di ricerca, come l’attività traduttiva dal greco e dal latino, sia quanto di più vicino ci sia stato all’esperienza della ricerca scientifica nella loro formazione scolastica”.
La lettera marca un altro importante rilievo: le materie umanistiche appaiono come sempre maggiormente sacrificabili, almeno a giudicare dalle deroghe previste per gli istituti tecnici e professionali. Tuttavia questa prima iniziativa ‘ufficiale’ arriva dopo mesi di Didattica a Distanza, come si spiega questo silenzio così prolungato?
“Banalmente come conseguenza della speranza che la DAD totale di marzo-giugno fosse una parentesi, e che, con qualche limitazione, il presente anno scolastico fosse tutto in presenza, anche se parziale. Diciamo che la possibilità di salvare la traduzione nel Liceo classico è legata al potenziamento dei mezzi pubblici…”.
Che destino vede per le prove scritte di latino e greco delle maturità dei prossimi anni?
“Mi limito ad una sola parola: combattuto. Sicuramente, se vi sarà un declino delle competenze dei nostri alunni per effetto di questa situazione, la traduzione – che costituisce la vera prova difficile delle nostre scuole, come ricordava tempo fa Luca Ricolfi – sarà vista come un ostacolo insuperabile. E la soluzione non sarà quella di potenziare gli atleti (i nostri studenti) ma di abbassare l’asticella”.
Il filosofo francese Montaigne imparò il latino da un istitutore tedesco che parlava solo in latino e nel suo famoso saggio sull’educazione riporta la motivazione per cui il padre si risolse a quella decisione: “Gli dicevano che tutto il tempo che noi mettiamo a imparare le lingue che agli antichi non costavano nulla era la sola ragione per cui noi non potevamo arrivare alla grandezza d’animo e di dottrina degli antichi Greci e Romani” (Michel de Montaigne, “Saggi”, Bompiani 2018). La lingua tutt’uno con la dottrina: forse oggi l’interesse per il latino e il greco va scemando perché il mondo di valori che essi descrivono appare irrimediabilmente lontano? Come reagire, se è così, a un declino che sembra irreversibile?
“Non parlerei di valori: la parola è scivolosa. Io stesso, da antichista, non intendo difendere lo studio del mondo antico (compreso in esso quello delle lingue classiche) nella formazione preuniversitaria, con la motivazione che esso sia un modello per i suoi ‘valori’. Quali valori? Pericle che esalta la democrazia ateniese o Aristotele che giustifica la schiavitù e Platone precursore dello Stato totalitario? La curiosità etnografica di Erodoto o il disprezzo per i barbaroi? Afrodite o le donne semirecluse nelle case di Atene? L’humanitas o gli spettacoli gladiatori? Il principio di Archimede o il frequente disinteresse per le applicazioni tecnologiche delle scoperte?
Il punto è un altro (e mi scuso per ripetere concetti già detti da molti): come sfogliando un album di famiglia, rileggendo il mondo antico rivediamo la nostra storia. Non per una generica, sterile e spesso ingiustificata nostalgia, non (solo) per un apprezzamento estetico, ma soprattutto, capiamo meglio in che modo (per quali vie, concetti, vicende, percorsi, errori) siamo arrivati qui dove siamo arrivati. E, attraverso analogie e differenze, cogliamo meglio il mondo contemporaneo più ancora che l’antico. Come diceva uno dei più grandi storici novecenteschi del mondo antico, Moses I. Finley, mettendo a confronto democrazia degli antichi e dei moderni, “ciascuna società può aiutarci a comprendere l’altra”. E ci par poco?”.