Saluto i miei alunni di quinta. Lettera

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Inviata da Domenico D’Aguì – Carissime e Carissimi, ho esitato molto prima di scrivere queste righe: avevo (ed ho) paura di essere retorico, banale o, ancora
peggio, melenso. In ogni caso, non posso non pensare che lo scorso lunedì è stata l’ultima occasione in cui ci siamo ritrovati
tutti insieme. Ma, in fondo, è questo ciò per cui, le vostre Maestre ed io abbiamo lavorato: rendervi capaci di affrontare senza il nostro aiuto nuove sfide, nuove esperienze… Non dubito che ne sarete, ognuno a suo modo, sicuramente capaci.

Ringraziare voi e i Vostri Genitori per il pensiero che avete voluto riservarmi è il meno che possa fare ma il regalo più grande è stato il tempo passato insieme, le occasioni in cui, anche al centro di una pandemia devastante, siamo riusciti a ridere e sorridere. E se questo ha in qualche modo reso meno gravosa la vostra fatica di crescere (perché crescere è difficile e complicato), dentro di me non posso che sentirmi soddisfatto. Non so quanto sia stato capace di insegnarvi; mi auguro solo di essere riuscito a farvi comprendere che la nostra mente e il nostro cuore sono le armi più potenti che possediamo: usatele bene perché vi renderanno liberi.

Io appartengo ad una generazione che sognava la rivoluzione, immaginava un mondo migliore, in cui tutti avessero le stesse opportunità…

Purtroppo non è stato così: oggi le diseguaglianze sono aumentate, la democrazia e la pace sono più che mai in pericolo. Non possiamo infatti definire davvero democratica una realtà in cui, anche nel nostro “progredito” Paese, c’è chi rinuncia a cure mediche indispensabili perché non può sostenere il costo dei ticket sanitari, non c’è democrazia quando la DAD vede alcuni alunni poter contare su computer potenti e connessioni veloci mentre altri devono accontentarsi del piccolo display di un cellulare collegato ad una instabile e lenta rete mobile.

Non basta affermare il principio dell’uguaglianza: occorre che a tutti siano garantite davvero le stesse opportunità.

Voi siete un presente alla ricerca del suo futuro.
Il passato è davanti a noi, ciò che sarà è ancora tutto da immaginare e costruire.
Bene, mi auguro che voi riusciate ad essere migliori di noi, che sappiate realizzare quelle che sono rimaste buone intenzioni: belle idee che però non hanno retto alla prova del tempo.
La Scuola (sbagliando) spesso vi propone domande che altri hanno pensato per voi, alle quali rispondere con le parole che altri hanno già scritto.

Quello che vi chiedo, invece, è di non smettere di chiedervi il perché di quanto vi accade attorno, di continuare a farvi domande, di non smettere di cercare risposte. Non c’è altro modo di crescere, perché, attraverso quelle domande, cercherete e, prima o poi, troverete voi stessi.

Non me ne importa nulla se non ricordate i nomi dei sette re di Roma (che, tra l’altro, non furono sette…) ma le mie parole non saranno state inutili che avrete capito che ognuno di quei re rappresenta un periodo della Roma monarchica; poco conta se rammentate bene i nomi dei triumviri ma è fondamentale avere compreso che la crisi della Repubblica è il fallimento della politica che, incapace di risolvere le tensioni sociali e attenuare le diseguaglianze economiche, porta gli abitanti della Città eterna a desiderare un uomo solo al comando che, da solo, risolva una volta per sempre conflitti per i quali non si sa immaginare una ragionevole via d’uscita.

Pensate al nostro presente e capirete che qualche somiglianza con quanto accadeva duemila anni fa sulle rive del Tevere esiste…

Forse non tutti saprete dirmi quanti sono esattamente gli abitanti della Lombardia (e allora?) ma spero che almeno qualcuno sappia cos’è un vulcano, una linea di faglia, cosa intendiamo per deriva dei continenti, quali sono i rapporti tra le risorse, le caratteristiche di un territorio e le attività dell’uomo.

Il resto è nulla: serve solo a creare degli scemi da salotto in grado di stupire i presenti sciorinando date, dati e nomi ma incapaci di un pensiero proprio ed originale.

Ecco, quello che ho avuto l’ambizione di fare è rendervi capaci di pensare, di ragionare da soli su fatti e fenomeni, perché è la sola strada che ci porta ad essere davvero liberi. E conta poco se vi diranno che avete idee stravaganti o siete dei ribelli pronti a contestare tutto e tutti: è successo anche ai grandi del passato come Leonardo, Copernico, Pasteur, Wegner, Gandhi…

Vincere non ha nulla a che fare con la ricchezza o la notorietà: è riuscire ad essere se stessi, è sentirsi bene nella propria pelle, riconoscersi nelle scelte che si fanno.
Perciò, restare sempre aperti al nuovo e l’inconsueto, cogliete le possibilità impreviste che ci offre il caso, fate di un errore un’opportunità (ricordate come è stata scoperta la penicillina?).
Non smettete di essere ostinatamente curiosi.
Ora le nostre strade si separano, ed è giusto che sia così, ma non credete e non abbiate timore di essere da soli nel vostro cammino: c’è qualcosa di me che, nel bene e nel male, rimarrà sempre in voi, come voi resterete sempre una parte importante di me.

Comunque, io ci sarò sempre, e i mezzi per mettervi in contatto con me certo non vi mancano…
Perciò, scusandomi se qualche volta non sono stato all’altezza del mio compito e ringraziandovi per avermi reso più ricco con le vostre domande e più felice con i vostri sorrisi, di avermi insegnato, anche attraverso i vostri errori, come far meglio il mio mestiere, riconoscente per avermi dato la voglia e la forza di trovare il fiato necessario per continuare a parlarvi anche quando questo mi mancava, vi abbraccio forte ancora una volta.
Che il Nome Benedetto vegli su di voi, vi protegga e vi tenga lontani dai pericoli.

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