Saluti di inizio anno scolastico del dirigente scolastico. Lettera

Inviata da Nazario Malandrino – Da pochi giorni ho assunto l’incarico come Dirigente Scolastico reggente di questo Istituto e desidero far arrivare, ad
ognuno di Voi, Alunni, Genitori, Personale Docente e Ata, il mio saluto ed un sincero augurio di buon anno scolastico, in particolare alla DS Palombo a cui estendo i ns migliori auguri per l’avvio di questa sua terza fase della vita. A Lei il mio più sentito ringraziamento per l’assetto organizzativo e amministrativo che mi lascia e a tutto il personale scolastico, docenti ed Ata, che fin dal ns primo incontro agli esami di Stato mi hanno accolto facendomi sentire a casa.
Confesso che avrei voluto incontrare ciascuna componente e in primis il Consiglio di Istituto… ma siamo tutti persone di scuola, attori della scuola italiana e sappiamo che tra una sola settimana si andrà in scena e c’è da mettere a punto alcune scenografie, fare qualche prova, anche predisporre il costume di scena… in termini di immagine che la scuola offrirà di sé al
territorio.
Non c’è dunque molto tempo per presentarmi e farmi conoscere, lo faremo in seguito, nondimeno voglio approfittare dell’occasione per provare a fare innanzitutto una promessa ai docenti, dalle cui fila provengo con orgoglio, quella di restare umano e giovane dentro: doni che solo il lavoro più bello del mondo ci ha finora riservato.
Chi come me ha scelto di dedicare la propria vita alla scuola, ereditando un’antica passione tramandata nella mia famiglia da tre generazioni, chi ama la scuola come molti di noi, vuole che la scuola cambi, non resti come essa è.
È naturale nella logica dell’amore che l’amante non riesca ad accontentarsi di ciò che ama e al contrario vuole che l’amato
cambi, divenga amante egli stesso, gli corrisponda: spero che alla fine del ns percorso insieme, la scuola che costruiremo ci
corrisponda un po’ di più, ci assomigli di più, nel nostro amare le discipline che insegniamo, nel viverle e trasmetterne la
passione.
In ogni realtà scolastica ci sono, ahimè, docenti che spiegano dando le spalle alla classe e riempendo lavagne o inviando
tutorial e assegni senza mediazione, senza parola, muti… e altri che invece profumano, ne hanno il sapore, “sanno” della
disciplina che insegnano, di cui sono intrisi e competenti al punto da innamorarne chi entra in contatto con loro.
Un filosofo contemporaneo lo spiega partendo da un modo tutto suo di tradurre il termine Filosofia: non solo come Amore del Sapere, ma anche come Sapere dell’Amore, sapere del legame… e io spero che in questa esperienza insieme resterà alla fine anche a Sora un po’ del mio segno, accanto a quello dei miei predecessori, e sia questo: una scuola che si occupi anche di Didattica dei legami, del senso e della passione per i legami, perché i legami sono cosa diversi dai contatti in rubrica o sui social.. una didattica che dunque sappia ripartire dal legame con le discipline e la conoscenza e attraverso le discipline e i loro statuti epistemologici, arrivare a generare competenza…
Come denunciava anche il compianto educatore Sir K. Robinson spesso, troppo spesso, più che promuovere le attitudini degli studenti e aiutarli a crescere, l’Istruzione sembra essere volta a inscatolare le menti per riempirle di quante più nozioni possibili, mettendo gli studenti in competizione per qualcosa (il voto) di meramente simbolico e neutralizzando la loro curiosità e voglia di imparare.
Non stupisce quindi che per la maggior parte dei ragazzi la scuola sia un peso, e un peso tale da causare spesso sofferenza psicologica e crolli dell’autostima. Ragazzi del linguistico che abbandonano le lingue straniere, dello scientifico che odiano la matematica, che odiano se stessi perché hanno sbagliato a scegliere o ne hanno perso motivazione, quando invece statisticamente ciò che più detta il successo degli studenti sono la motivazione e la loro stessa aspettativa.
Allora, come scuola, dobbiamo anche noi imparare a recuperare un alfabeto, magari metacognitivo, per insegnare ai nostri ragazzi come trovare e proteggere le proprie motivazioni, ma anche come rigenerarle di fronte alle difficoltà di un’epoca in cui “il futuro non è più quello di una volta”; un’epoca in cui accade che la persona perda il posto di lavoro e non abbia più un ruolo sociale riconosciuto, ha disistima di sé e vive situazioni difficili.
Mi chiedo: questo futuro minaccioso non apparirà ancora più ineluttabile a quell’allievo che, già nel presente, vive la Scuola come il luogo dove ha disistima di sé e vive situazioni difficili?
Non è dunque paradossale che, proprio mentre i Servizi per l’Impiego si stanno sempre più appropriando di questa pedagogia della motivazione (con l’empowerment e il bilancio di competenze, tentando di reinserire quei drop-out, la cui dispersione ed espulsione dai processi lavorativi e formativi resta il vero assillo europeo) la Scuola invece stenti ad assumere un ruolo chiave? Ruolo peraltro richiesto a gran voce da un’Europa che cerca a tutti i costi di ristrutturarsi ad Economia della Conoscenza e del Long Life Learning.
A mio parere, la Scuola assume questo ruolo cruciale se impara a prendersi cura, certo, non solo delle discipline, ma delle “personalità” che è in grado di e-ducare proprio ricorrendo alle discipline e alla didattica orientativa; in questo i docenti Orientatori e i nuovi tutor giocheranno un ruolo importante, riavvicinando la scuola alle famiglie e ai progetti di vita.
Questo spazio va presidiato e rinforzato, oggi che viviamo un grande fraintendimento tra la personalizzazione dell’offerta formativa e la personalizzazione del servizio on demand nelle offerte di cibo, di serie TV, di telefonia, di video reel… fraintendimento che genera confusione sui ruoli, sui valori, sulla vita vera.
I ragazzi hanno gusti diversi e offerte così diverse da far appassire il loro desiderare, il loro appassionarsi, il loro sacrificarsi per… se non desiderano diventare medico, ingegnere, etc etc è forse perché questa Economia ha portato, loro e noi, ad accettare che potrà capitare, anzi quasi certamente capiterà loro, di dover cambiare lavoro nel corso della propria vita, che le conoscenze acquisite diverranno velocemente obsolescenti e dunque importanti sono le soft skills e adattarsi ai cambiamenti.
Come dire che Aristotele aveva torto e che l’Eudaimonia, la felicità non sta nella realizzazione di sé e della propria potenzialità, ma nel saper cambiare obiettivi e adattare la meta… In questo cambio di paradigma anche noi abbiamo esaltato la capacità di cambiare meta al viaggio e contribuito a disfare la trama di significati e senso dell’apprendimento su cui noi stessi ci eravamo formati. Nel fare questo, nell’essere prima noi gli Ulisse e le Penelope della Scuola italiana, abbiamo generato un Telemaco – o forse dovremmo dire un TelemaTIco – condannato al nomadismo e alla precarietà e non più desiderante, incapace di elaborare progetti di vita basati sulla fedeltà alla scelta.
Perché il pensare di fare lo stesso lavoro e realizzarsi in esso tutta la vita è ormai utopia… ma anche perché il nostro modello di scuola, la gerarchia dei saperi che nel frattempo non siamo riusciti a contaminare, ha atrofizzato in molti studenti proprio quello di cui oggi c’è più bisogno: la creatività.
Una scuola che contribuisca a combattere lo spreco in epoca di transizione ecologica e di agenda 2030, deve combattere innanzitutto lo spreco che essa stessa genera, lo spreco di creatività come diceva Ken Robinson. La creatività non è il contrario della disciplina.
Al contrario, in ogni campo la creatività richiede un’approfondita conoscenza dei fatti e un alto livello di competenze pratiche.
Un bravo docente si riconosce da questo, dal legame che costruisce con i propri studenti, tale da metterli in condizione di incuriosirsi e di imparare davvero, di diventare creativi, unendo l’immaginazione alla capacità di implementare nuove idee.
Dobbiamo quindi prima noi insegnanti restituire questo legame di senso e questa capacità orientativa alla nostra didattica.
E nel riprendere a farlo, anche noi insegnanti dobbiamo imparare qualcosa, anche noi dobbiamo imparare a ricostruire
legami, recuperare relazioni in una collegialità compromessa… è così in tante scuole, dove il senso delle attività aggiuntive e
funzionali è percepito come molestia burocratica, come un’inevitabile insensatezza a cui purtroppo soggiacere…
Vi chiedo invece di approfittare anche di questo cambiamento di dirigenza per riattivare senso e significato alle nostre pratiche, non tenere più i remi in barca e chiudersi in classe con i nostri ragazzi, ma pensare anche al resto del fare scuola, con
protagonismo e partecipazione: perché quando le componenti della scuola tornano a condividere obiettivi, attività, procedure,
responsabilità, quando cioè si sentono parte attiva nella costruzione dell’identità della scuola o nel superare un problema, esse tornano “Comunità educante”. È questo che trasforma l’azione dirigenziale in leadership di scuola e l’offerta formativa in un servizio di qualità.
Ci credo molto e voglio ripeterlo, la Scuola tornerà ad essere riconosciuta se saprà insegnare, con il proprio esempio quotidiano, a costruire legami.
Cerchiamo di capire un po’ di più questa generazione, di cui sembriamo non avere il libretto di istruzione, soprattutto osserviamo quelli che non parlano, che mettono il cappuccio, che coprono i tagli… facciamo rete intorno a loro. Ancora di più approfittiamo della straordinaria risorsa della rappresentanza studentesca e genitoriale; i decreti delegati degli anni ’70 introdussero forme di partecipazione organizzata e di rappresentanza delle famiglie e degli studenti negli organi collegiali: non rinunciamo a quelle conquiste.
Era una stagione di contestazione collettiva, ma ora che invece siamo nella stagione del contenzioso e del ricorso individuale, pur di difendere la nostra prole, mi chiedo come abbiamo fatto, a passare dalla prima generazione che ha disobbedito ai padri, alla prima che ha obbedito ai figli.
Rinnoviamo il patto di corresponsabilità educativa con le famiglie, perché ci aiutino a presidiare il senso del limite e le regole, ammettano che i figli possano cadere, per imparare a rialzarsi: la Società deve ritornare ad avere fiducia nella scuola, negli insegnanti, nelle interrogazioni, nelle prove di verifica… nel fatto che i figli abbiano l’occasione di incontrare il proprio
limite, la propria difficoltà personale, farne esperienza …
Da questo punto di vista, il Liceo Leonardo da Vinci di Sora, che non ha ceduto all’ubriacatura da alternanza scuola lavoro e
alla scuola azienda, rappresenta un valore, proprio perché ha saputo preservare ciò che della scuola più serve per affrontare il
futuro e un presente disorientante.
E se domani scoprissimo che la scuola delle discipline è paradossalmente la più adatta a compensare quell’attenuazione della capacità adulta di presidio delle regole e del senso del limite, di cui parlano finanche i documenti ministeriali?
Avremo il coraggio di puntellarla e custodirla come sensato? Se la Resilienza, con cui affrontare i cambiamenti futuri, avesse a che fare direttamente con la Resistenza alla fatica mentale e allo studio?
Una scuola che ovviasse alla morte del Padre o al proliferare di genitori elicottero pronti a rimuovere ogni ostacolo sulla strada dei propri figli, una scuola che ritrovasse autorità, per dare regole di comportamento o per richiamare gli studenti all’impegno e alla serietà degli studi, e autorevolezza perché capace in prima persona (quale comunità educante) di praticare quotidianamente quel lavorare insieme, quella corresponsabilità e collegialità che tentiamo di insegnare (anche attraverso il PCTO e un’idea riformata di Orientamento)… una scuola di questo tipo non testimonierebbe la sua funzione proprio riprendendo a “funzionare”?
Una scuola che funzioni è condizione davvero necessaria per dare attuazione all’art. 4 della Costituzione, che non parla solo
di diritto al lavoro, ma anche di dovere a cui i ns giovani saranno chiamati, a svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
È questa la chance che abbiamo anche per recuperare ruolo e funzione sociale per la nostra professione: non li recuperiamo
perché una legge renderà insindacabile il giudizio del docente – come pare voglia fare il Governo – ma perché una società
intera avrà preso consapevolezza di quello che è diventata: una società ‘della pantofola’ protesa a preservare i giovani da ogni
sforzo, con la conseguenza che gli psicologi chiamano “psicastenia”, cioè mancanza di resistenza alla fatica mentale,
ragazzi “peluche” che alla prima difficoltà si accartocciano su sé stessi.
In una società in cui il futuro non è più quello di una volta, in cui le giovani generazioni sentono il futuro come minaccia
piuttosto che come promessa, in un’epoca in cui il minimo comun denominatore delle giovani generazioni è rappresentato
dalla fragilità, dalla dispersione e dalla discontinuità negli impegni, la Scuola deve ritornare a formare personalità forti dal
punto di vista della volontà, persone capaci di Volere, che accettano le sfide della responsabilità connesse ai ruoli sociali,
che sanno lavorare con gli altri, sviluppare relazioni costruttive, sormontare l’ incertezza, perseguire uno scopo sapendo
affrontare appunto gli ostacoli che si frappongono a questo scopo.
Persone che non sappiano solo affrontare con Resilienza i cambiamenti traumatici della propria vita, ma che abbiano sviluppato Resistenza alla fatica mentale: perché sappiamo tutti che non c’è conquista che non richieda capacità di affrontare la fatica; in questo modo anche i ragazzi avranno occasioni in più per dare valore al loro desiderare, oggi così dissipativo, per capire che non c’è felicità nelle cose ottenute per diritto, “senza essere conquistate, senza essere chieste, senza passare attraverso una frustrazione assolutamente positiva” (come sostiene anche A. Polito nel suo libro “Contro i Papà”).
Il diritto nasce dal dovere compiuto, e se su questo non avete dubbi, non abbiate neanche timore a bussare alla porta del
Preside, quando avrete bisogno di parlarmi: scoprirete che quella porta, il più delle volte, resta sempre aperta, come lo era
quella della mia aula quando insegnavo.
L’augurio che dunque rivolgo alla comunità educante del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Sora (Docenti, Ata, Genitori, ma anche gli studenti con il loro esempio, perché chiunque abbia capacità di educare, ha il dovere di educare!) è che la nostra esperienza culturale impatti sul territorio, generi corresponsabilità educativa e valore aggiunto da restituire al territorio.
Ed ora mettiamoci al lavoro, buon anno scolastico!