Rutelli: poveri insegnanti, in che modo vivono? Detengono chiave della nostra felicità
Dopo Pierluigi Bersani, è il turno di Francesco Rutelli. I politici si accorgono degli insegnanti e del loro lavoro prezioso.
“L’insegnante che insegue un ragazzo per tenerlo a scuola è l’eroe dei nostri tempi”, ha spiegato Bersani di recente. “Indebolire la scuola pubblica – ha precisato l’ex ministro del Governo Prodi – vuol dire rubare il futuro ai più deboli”.
Nel suo bel volume intitolato “Contro gli immediati. Per la scuola, il lavoro, la politica” (Ed La nave di Teseo), Rutelli attacca gli “effimeri vincitori di oggi, coloro che rifuggono la mediazione, vogliono demolire ciò che è intermedio, agiscono all’istante, senza mediazione nè condivisione”. Dobbiamo metterli all’angolo, esorta Rutelli, “per tornare a scommettere sul tempo medio, il domani, nella vita politica e in quella quotidiana, nelle istituzioni e nelle azioni personali. E abbiamo bisogno di insegnanti, di valenti formatori; di chi costruisce nuove possibilità…”.
E “se vogliamo condurre una battaglia che sarà lunga, molto difficile – poiché moltissimo come vediamo milita a favore degli immediati, prosegue Rutelli nel capitolo intitolato Insegnare – bisogna cominciare con gli insegnanti”.
Poveri insegnanti, ma in che modo vivono? si chiede l’ex sindaco di Roma. “Come possono aggiornare la formazione, con questi cambiamenti pazzeschi? Tutte le figure tradizionali dell’ordine passato, dell’autorità di prossimità, sono in estinzione: portieri dei caseggiati, bigliettai e controllori su metrò e bus, casellanti, pattuglie in circolazione salvo quando o dove sia allerta terrorismo. Controllo telematico, elettronico, telecamere collegate per fortuna nei molti luoghi in cui servono per ragioni di prevenzione e sicurezza sono ovunque e irreversibilmente in crescita. Con parallela, inesorabile diminuzione della spiegazione diretta, del consiglio dialettico, del colloquio diretto con i nostri simili. Restano il professore, la maestra, il docente, a trovarsi davanti per molte ore delle persone, tutte per loro. Se genitori e famiglie – e le altre istituzioni – fanno male il proprio lavoro di costruzione, il loro lavoro è ancora più difficile”.
Rutelli rievoca a tratti il passato studentesco della propria generazione di studente. “Ricordo negli anni dell’adolescenza il dibattito sulla educazione sessuale verso noi ragazzi; gli insegnanti del tempo, si sosteneva, avevano una formazione tradizionale e dalla cattedra non sapevano come indirizzarci di fronte a una trasformativa rivoluzione dei costumi. Cinquant’anni dopo il rapporto tra la dimensione virtuale cui i bambini accedono senza mediazioni con il porno Internet e quella reale delle esperienze affettive e sessuali rende per gli insegnanti i problemi di competenze, metodologie, dialoghi estremamente più complicati. Più in generale non è un caso se una delle maggiori discussioni aperte tra famiglie, insegnanti e governo riguarda l’accesso e l’accensione dei cellulari in classe: i docenti di oggi debbono imparare ogni giorno per insegnare”.
Un mestiere del passato? No, deve essere il primo mestiere del futuro. Domanda e risposta danno il titolo, per esteso, a un ulteriore, significativo capitolo del libro. “Accrescere formazione (e stipendi) di chi insegna – vi si legge – vale ad attrezzare e motivare meglio questa funzione sempre più cruciale. Una funzione di mediazione e per lo sviluppo di approcci dialettici, letture interdisciplinari, spirito critico. Insegnamento e apprendimento valorizzano l’investimento della società, di noi tutti, sul tempo medio, anziché spargerci nell’oceano pretenzioso dell’immediatezza. La migliore esperienza ci insegna che quando una nazione deve esprimere riconoscenza verso chi si è sacrificato, lo fa con la formazione.
E ancora, nel bel capitolo intitolato “Chi insegna può detenere la chiave della nostra felicità” Chi insegna, l’autore esprime il timore che “da soli, non potremmo farcela, ricadendo infine soltanto nel più facile, nel meno difficile, il più immediato”. La differenza, scrive Rutelli, sta anche “nel saper insegnare sia ad adoperare che ad esplorare: insegnante veramente bravo è quello che riesce dapprima a far apprendere direttamente gli strumenti pratici poi in quelle dell’esplorazione. Una responsabilità enorme, cui vanno formati i formatori: veri propri medici di prossimità per ciascuno di noi, altrimenti sbalzati da trasformazioni che difficilmente avremo i mezzi per comprendere, tantomeno padroneggiare”.
Altro che infimo prestigio sociale, quello dei docenti. Emerge semmai il grande ruolo dei docenti, nelle parole, nelle frasi, nelle considerazioni, nei ragionamenti di Francesco Rutelli. Che parla di scuola come fattore di riequilibrio ed equità sociale.
La nostra epoca, precisa poi, non si deve misurare solo sugli approcci al consumismo, ma su conoscenza, esplorazione, comprensione, interrelazioni. “Chi può aiutarci a contenere emotività, aggressività, vanità, se non i nostri insegnanti?” Ma non si può fare “a mani nude, senza strumenti adatti, o con la sola persuasione etica, destinata a breve attenzione, e a ancora più breve vita, se non corredata dalla potenza di un terribile, misurabile esempio”.
E occorre smetterla, come Italiani, di piangersi addosso, sembra voler spiegare l’autore, che allude alla pratica diffusa, nella quale siamo campioni irraggiungibili,di dimenticare i pregi che animano l’agire storico anche recente delle nostri grandi e diffuse intelligenze. “Del resto, abbiamo abbiamo molto da insegnare, noi italiani. È stato notato che il metodo didattico di Maria Montessori – elaborato cento anni fa – ha prodotto in America alcuni alunni interessanti”. Da qui un elenco che più efficace (immediato!) non avrebbe potuto essere: Larry Page e Sergey Brin (fondatori di Google), Jeff Bezos (fondatore di Amazon), Jimmy Wales (fondatore di Wikipedia). Eppure, secondo l’autore, si continua a essere poco superbi Italia, ma davvero, “non sarebbe sarebbe male, però, provare a sminuire meno noi stessi”.