Ritorno a scuola e dad. Lettera

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Inviato da Lorenzo Bergerard – Apprendo che il CTS si è recentemente espresso a favore della conferma delle attuali misure di profilassi anche per il prossimo anno scolastico. Ciò significa: “ancora distanziamento”, il che a sua volta significa: “ancora Dad”, dal momento che nulla si è fatto per reperire nuovi spazi o per diminuire il rapporto studenti/professori.

Non mi devo dilungare sui danni della didattica a distanza, sia pure integrata, perché è lo stesso Ministero ad ammetterne implicitamente il fallimento: qual è infatti il motivo dei continui appelli all’indulgenza che ci sono stati rivolti nelle settimane precedenti gli scrutini? E perché, per il secondo anno consecutivo, non si sono svolte prove scritte? Del resto lo stesso CTS ha già più volte segnalato i rischi della didattica a distanza.

Leggo, ad esempio, ne la Repubblica del 5 novembre 2020, queste dichiarazioni dei dottori Villani e Richeldi: “[gli adolescenti] hanno già subito un forte impatto nel periodo finale dello scorso anno scolastico [’19-’20 ndr]. Bisogna garantire la frequenza in presenza: è fondamentale non solo per la formazione scolastica, ma anche per il benessere psicofisico”. Si può solo aggiungere che il suddetto benessere psicofisico è – secondo la definizione dell’OMS – uno degli elementi costituitivi della nozione di salute, la quale non consiste nella “semplice assenza di malattia”.

E’ anche noto che la malattia Covid 19 colpisce il giovani in modo lieve, se non addirittura asintomatico: sul sito dell’ISS troverete i dati e vedrete che la letalità nella fascia 0-19 è infima (si tratta di casi-limite, relativi a soggetti purtroppo già gravemente malati). Né sembra che la diffusione delle famigerate varianti abbia mutato il quadro della letalità generale. E’ però altrettanto noto che i ragazzi possono, anche da asintomatici o paucisintomatici, contagiare gli anziani e i fragili.

Sostanzialmente, la chiusura delle scuole è stata motivata dal timore che lo studente-untore contagiasse il nonno e ne determninasse il ricovero in terapia intensiva ed eventualmente la morte. Confesso che tale narrazione non mi è mai piaciuta, perché ha il sapore del ricatto morale e, soprattutto, perché dà per scontato che tutti gli studenti vivano nella stessa casa coi nonni o abbiano contatti quotidiani con loro, il che è palesemente falso. Né alcuno si è mai preso la briga di chiedere ai “nonni” se fossero d’accordo con misure così lesive dei diritti dei nipoti.

Adesso, però, c’è un fatto nuovo che dovrebbe modificare radicalmente la situazione: i nonni sono stati vaccinati, e dunque sono protetti almeno rispetto all’eventulaità di contrarre dai nipoti (o da chiunque altro) la malattia in forma grave. Problema risolto dunque. O dobbiamo forse credere che i vaccini siano inefficaci? Ma ci viene ripetuto ossessivamente il contrario!

“Alcuni anziani non si sono voluti vaccinare” – obietta qualcuno. Replica: è una loro libera scelta; gli anziani non vaccinati prenderanno le precauzioni che riterranno opportune, ma non penso che possano determinare il terzo anno consecutivo di Dad.

“Ma gli studenti non sono ancora vaccinati! Ma alcuni professori non sono ancora vaccinati” – obietterà qualcun altro. Su questo punto vorrei essere chiaro: il diritto allo studio non può essere subordinato all’accettazione di un trattamento terapeutico preventivo che, nella fascia di età relativa alla popolazione scolastica (ma non solo), ancora può destare legittime perplessità in ordine alla sicurezza. Più in generale, quanto sta accadendo in Israele e in Gran Bretagna sembra dimostrare che i vaccini proteggono dalla malattia o ne attenuano gli effetti ma non impediscono il contagio e la trasmissione, sicché, quand’anche tutti gli studenti e i professori fossero vaccinati, sarebbe comunque possibile avere dei casi di positività (tanto più che le attuali tecniche di analisi, basate su cicli di amplificazione successivi, riescono a individuare anche minime tracce di materiale virale – magari anche innocuo).

E allora? Vogliamo continuare con la Dad fino a zero contagi? Vogliamo aspettare che il virus scompaia? Ma perché dovrebbe scomparire? Ma perché non si può convivere con questo virus e con questa malattia come conviviamo da sempre con virus e malattie altrettanto se non più pericolose? Tanto più che l’Ema ha annunciato che a ottobre avremo a disposizione cinque terapie, grazie alle quale la letalità della Covid dovrebbe diventare come quella di un’influenza.

La sensazione è quella che l’asticella del ritorno alla normalità (a scuola e in generale) venga spostata sempre più in alto: le mascherine, le distanze, il green pass, il vaccino, gli anticorpi monoclonali… Sembra che non basti mai; sembra che l’obiettivo sia quello di un mondo asettico, di un mondo a rischio zero.

Un obiettivo che – come si vede – è spostato sempre più in avanti, in un futuro sempre più remoto: “normalità nel 2021”; “no, nel 2022″; anzi, nel 2023”; “no, nel 2024”. Il filosofo Massimo Cacciari ha recentemente parlato di “costante e paranoica domanda di sicurezza”. Ecco, forse la chiave è questa: forse dovremmo ricominciare ad ascoltare i filosofi, oltre che gli scienziati.

Negli ultimi 15 mesi la politica, per giustificare le sue (discutibili) scelte, si è infatti nascosta dietro alla Scienza, come se quest’ultima fosse una verità assoluta e indiscutibile, insomma un dogma. Ma la filosofia del Novecento ci ha insegnato che le affermazioni scientifiche non sono mai assolutamente vere, semmai sono “falsificabili”, nel senso che la loro scientificità consiste proprio nella possibilità che vengano confutate. E ciò è ancor più vero nel campo della medicina.

E infatti non sono mancati scienziati contrari a una gestione della pandemia basata sulle chiusure e sulla limitazione della libertà di movimento: si tratta di scienziati forniti di curricula di tutto rispetto ma che non hanno avuto la ventura di essere arruolati dal circo politico-mediatico.

Constato che tra i colleghi è diffuso un atteggiamento di passività rassegnata, che si potrebbe sintetizzare in questi termini: “Ancora un anno di Dad! Non se ne può più! D’altra parte, se gli scienziati hanno detto che dobbiamo fare così”. Ma dobbiamo capire che le decisioni non le prendono gli Scienziati (e del resto questi ultimi, come ho cercato di spiegare, non rappresentano un’unica comunità perfettamente coesa e portatrice di una verità inconfutabile): le decisioni le prende la Politica. E la Politica, in un regime democratico, non assolutizza nessun diritto, non assolutizza nessuna istanza, bensì media tra vari diritti e varie istanze.

E’ chiaro che da quasi due anni il diritto all’istruzione (specie quello dei ragazzi delle superiori: chissà perché) è stato sacrificato al diritto alla salute. E’ chiaro che le istanze degli studenti, dei genitori e dei professori sono state sacrificate in nome della preservazione della vita. Questo può andar bene in uno stato di emergenza, ma l’emergenza non può protrarsi sine die; altrimenti, viene da pensare che – al di là della pandemia attuale e di quelle già paventate – la ‘nuova normalità’, cioè l’esistenza asettica, distanziata e controllata, sia non un mezzo temporaneo bensì un fine, insomma, parafrasando il titolo di un recente saggio di Baricco, che essa sia quello che si stava cercando.

Tornare alla normalità (autentica) significa capire che la VITA, come spiega Giorgio Agamben, non è il mero bios, cioè la nuda vita, la mera sopravvivenza biologica: essa è zoé, ossia il complesso delle relazioni umane, affettive, culturali e sociali, insomma quelle relazioni che non si possono coltivare davanti a uno schermo, inchiodati alla propria postazione solitaria. Summum crede nefas propter vitam vivendi perdere causas, diceva Giovenale.

In conclusione, l’istruzione è un diritto, la socialità è un diritto: esse possono essere sacrificate per periodi limitati di tempo e in presenza di pericoli reali, il che vuol dire che la dad e le chiusure, già paventate per i prossimi mesi, non possono più essere giustificate da dati opachi ed enfatizzati istericamente da un sistema mediatico che non conosce pluralismo, insomma dati non verificabili da parte del cittadino e dei quali comunque sarebbe difficile capire l’effettivo significato medico: quanti sono i falsi positivi? quanti sono gli asintomatici? quanti ricoveri in terapia intensiva sono determinati direttamente ed effettivamente dal SarsCov2 e in quanti casi, invece, la positività è stata scoperta successivamente mentre il ricovero è stato determinato da altre cause? Qual è il reale nesso tra positività al Sars-Cov2 e morte o ospedalizzazione in pazienti ultraottantenni e già affetti da più patologie?

Stare in classe è un DIRITTO. Se dobbiamo starci a un metro di distanza, lo Stato ha il DOVERE di renderlo possibile, così come ha il DOVERE di rendere i trasporti sicuri. Da parte nostra, dovremmo superare il tabù della settimana lunga e dei doppi turni. Usciamo dal sonno dogmatico! La paura di essere tacciati di “complottismo” o “negazionismo” da parte di chi forse ha interesse a che questa situazione si perpetui, non deve impedirci di esercitare la libertà di critica né di rivendicare diritti e libertà. Dopo il terzo anno di Dad pensate davvero che ‘prima o poi’ si tornerebbe alla normalità?

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