Riforma voto in condotta, lo psicoterapeuta Lavenia: “Soluzione facile a un problema complesso”

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L’approvazione del Ddl sul voto di condotta da parte della Camera ha riacceso il dibattito sull’efficacia di questo strumento nella gestione del comportamento degli studenti. Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta ed esperto in adolescenza, nonché presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche, Gap e Cyberbullismo ‘Di.Te’, ha espresso forti riserve su questa misura, definendola una “soluzione facile a un problema complesso”.

Lavenia ha dichiarato all’Adnkronos Salute: “Come se bastasse un numero a domare i tumulti dell’adolescenza. Ma davvero crediamo che un voto sul comportamento possa risolvere il caos emotivo di chi sta imparando, ogni giorno, a fare i conti con se stesso e con il mondo? Il rischio è che il voto diventi una sorta di ‘cartellino rosso’, qualcosa che sanziona senza educare. Ma un numero non spiega, non insegna, non fa crescere.”

Secondo Lavenia, i ragazzi non cambiano per paura della punizione, ma attraverso la comprensione delle conseguenze delle proprie azioni. “L’educazione non è una questione di punizione, ma di comprensione. La scuola dovrebbe essere prima di tutto un luogo dove si impara a capire le conseguenze delle proprie azioni, non solo a temerle. Il voto in condotta, se usato come strumento isolato, rischia di essere un intervento superficiale. Non basta etichettare un comportamento; bisogna entrarci dentro, capire da dove nasce, e fornire gli strumenti per affrontarlo.”

Il Ddl prevede diverse novità per la scuola, tra cui la bocciatura con il 5 in condotta, il ritorno della valutazione numerica sul comportamento alle scuole medie e le multe per le aggressioni al personale scolastico. Inoltre, nella scuola primaria, verranno reintrodotti i giudizi sintetici, da “ottimo” a “insufficiente”.

Lavenia ha espresso preoccupazione per il rischio di trasformare la scuola in una corsa al risultato, dove l’obiettivo diventa ottenere giudizi positivi per evitare di essere considerati insufficienti. “Stiamo rischiando di trasformare la scuola in una corsa al risultato, dove l’obiettivo è essere ‘ottimo’ o ‘buono’ per evitare di essere considerati ‘sufficienti’ o, peggio, ‘insufficienti’. E in questo processo, alimentiamo una cultura della competizione che lascia indietro chi ha bisogno di più tempo, di più ascolto, di più supporto.”

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