Riflessioni sulla Buona Scuola dopo le elezioni amministrative. Lettera

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Dopo  le elezioni ammistrative si sta riaccendendo il didattito sulla Buona Scuola. Non entro nel merito degli aspetti politici legati alla Legge 107, ma cerco di analizzare, libero da ogni pregiudizio,  gli aspetti pedagogici che dovrebbero contraddistinguere ogni tentativo di cambiamento in ambito scolastico.

Dopo  le elezioni ammistrative si sta riaccendendo il didattito sulla Buona Scuola. Non entro nel merito degli aspetti politici legati alla Legge 107, ma cerco di analizzare, libero da ogni pregiudizio,  gli aspetti pedagogici che dovrebbero contraddistinguere ogni tentativo di cambiamento in ambito scolastico.

Ogni riforma, infatti, non può non avere come elemento fondante e caratterizzante “L'educativo”. Nel progetto di riforma è evidente, invece, la marginalità dell' educativo e la centralità dell'organizzativo e gestionale che, seppur importante, poco incide sul concetto di “scuola di qualità” in grado di garantire uguaglianza di opportunità, diritto all'apprendimento e successo scolastico.

L'educativo si può solo intravvedere in una sorta di delega in bianco al dirigente scolastico che può, in tutta autonomia e coadiuvato dalla sua squadra, “individuare percorsi formativi  e iniziative  per un maggior coinvolgimento degli studenti nonché una valorizzazione del merito scolastico  e dei talenti…”.

Evito di soffermarmi sulle non secondarie implicazioni – positive e negative – legate ai superpoteri del preside, tra l'altro già ampiamente evidenziati, per soffermarmi su questioni prettamente educative e didattiche.

Ogni riforma dovrebbe contenere una precisa idea di educazione e definire il ruolo della funzione docente che non è competenza esclusiva dell'insegnante, bensì un rapporto che esige l'alunno come interlocutore e, pertanto, è l'elemento trainante del complesso
processo di insegnamento-apprendimento.

L'attuale riforma, come del resto le precedenti, propone un rinnovamento di facciata e non fornisce esaustive risposte in merito ai sempre più complessi e rilevanti impegni della scuola.

In pratica, nonostante i ripetuti interventi normativi per migliorare la qualità e l'efficacia degli interventi educativi e didattici e i costanti richiami alla centralità dell'alunno, la scuola, per vari motivi, ha ancora difficoltà ad attualizzare il principio rogersiano della superiorità  dell'apprendimento sull'insegnamento –

“L'insegnamento uccide l'apprendimento” – , a farsi carico di funzioni sempre più ampie e diventare titolare di uno spazio esclusivo, quello educativo, nell'ambito del sistema sociale.

Del resto,  tempo fa, il Papa parlando a docenti e dirigenti,  ha chiaramente detto che per imparare i contenuti è sufficiente un computer, ma per capire come si ama, per capire quali sono i valori e quali abitudini sono quelle che creano armonia nella società, ci vuole un buon insegnante. E un buon insegnante è colui che riesce a dare senso alla scuola, allo studio, alla cultura e contribuisce attivamente alla costruzione di relazioni educative autentiche.

Nella “Buona Scuola” si parla di risultati, di merito, di incentivi, ma l'illustre assente  è la “Funzione Docente”, è la “Scuola”, è l' “Educazione”.

Poco o niente si parla di scuola come struttura complessa, condizionata da variabili indipendenti e da situazioni  contingenti che sfuggono ad ogni immediato riscontro di qualità, efficacia e valore dell'azione educativa e di interventi per rimuovere tali ostacoli.

Il riferimento è ai tanti casi difficili e problematici presenti in ogni classe. Se gli insegnanti si occupano solo di quelli che sono ben educati che merito hanno? Ce ne sono di quelli che fanno perdere la pazienza, ma quelli bisogna amarli e seguirli di più.

La scuola deve, in pratica,  per risultare decisiva e determinante deve riappropriarsi della “Cultura pedagogica”, la sola che può consentire la trasformazione dell'insegnamento da contenuto in “Funzione” .

Fernando Mazzeo Docente Scuola Secondaria di primo grado

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