Regionalizzazione, stipendi più alti solo se si lavora oltre le 18 ore
Nel mezzo del cammino verso la regionalizzazione (anche dell’Istruzione), leggi anche autonomia differenziata, si cominciano a fare calcoli sugli effetti concreti nel mondo della scuola.
Che cosa ne sarà dei docenti e quale stipendio avranno (cioè se è vero che guadagneranno 400 euro in più o se invece non è vero che i docenti del sud guadagneranno di meno) sono le domande che arroventano il dibattito con un seguito sui social.
Il Messaggero riporta che oltre un quinto del totale degli insegnanti potranno scegliere di diventare dipendenti regionali anziché statali.
Per il momento si tratta solo di stime e proiezioni, perché il testo è ancora tutto in itinere, anche per gli effetti dal punto di vista del personale. Per il momento sono le bozze presentate dalle regioni Lombardia e Veneto quelle su cui si articola maggiormente il dibattito.
I nodi principali da sciogliere riguardano il personale già in servizio (dipendente dello Stato) e quello che invece entrerà alle dipendenze delle Regioni e soprattutto con quali livelli di stipendio. Al momento si parla di salvaguardare il contratto nazionale e lasciare alla contrattazione di secondo livello gli aumenti dichiarati che spesso sono giustificati da un tenore di vita più dispendioso al Nord rispetto al Sud.
La contrattazione di secondo livello avrebbe base territoriale e riguarderebbe le ore di straordinario (e la mobilità). In buona sostanza, la base retributiva rimarrebbe uguale per tutti; farebbe cioè riferimento a quella stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale, mentre le ore lavorate in più saranno stabilite (anche a livello di retribuzione) dagli accordi regionali.
I docenti dunque potrebbero guadagnare di più di quelli delle altre regioni solo ed esclusivamente se, oltre all’orario normale, accetteranno di lavorare delle ore in più.
Come già scritto anche da Orizzonte Scuola, nel nuovo ruolo regionale potrebbero confluire sia i titolari di cattedra, sia i precari. E per vincolare maggiormente il docente al territorio, il punteggio conseguito a livello regionale non verrà riconosciuto a livello nazionale. Tuttavia come viene precisato anche su Italia Oggi “Il passaggio non comporterà perdite economiche, immediate. Perché ai soggetti che eserciteranno l’opzione per i ruoli regionali sarà garantito l’attuale importo dello stipendio, probabilmente, con assegni ad personam“.
“Tale previsione – è la considerazione elaborata dal quotidiano economico – lascerebbe intendere che la maturazione dei gradoni, per chi opterà per il passaggio, sarà riportata indietro nel tempo (alla classe 0) come se si trattasse di neoimmessi in ruolo. Dunque, il danno economico potrebbe consistere nella impossibilità di maturare i gradoni di fine carriera. Quelli cioè, che si maturano con 21, 28 e 35 anni di anzianità. E non è chiaro se si avrà diritto alla ricostruzione di carriera oppure no“.
Tradotto in numeri, in Lombardia fra dirigenti scolastici e docenti (fissi e precari) sono 95.975 (1.129 presidi e 94.846 su posto comune); in Veneto, invece, si contano 572 presidi e 48.117 insegnanti. Ci sono poi quelli di sostegno che fra ruolo (22.768) e non di ruolo (9.346) fanno in totale 32.114. Si potrebbe continuare con il dettaglio delle altre tipologie di impiego scolastico, dai docenti di religione al personale Ata. Il tutto per dire che il numero di lavoratori interessati da un cambiamento così radicale del datore di lavoro è molto alto.
I cambiamenti avranno ripercussione, oltre che a livello di singola persona, anche a livello di bilanci pubblici sia statali, sia regionali.
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