Regionalizzazione scuola, il Veneto rompe gli indugi: “Chiediamo l’autonomia differenziata da subito”

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“Il Veneto chiede l’autonomia delle scuole da subito”. Così l’assessora regionale all’istruzione del Veneto Elena Donazzan è intervenuta in occasione della riunione della decima commissione della conferenza Stato Regioni Istruzione, Università e ricerca dedicata al tema del dimensionamento del personale della scuola.

“È necessario ragionare all’interno del sistema delle regioni – continua – ma poi il confronto dovrà essere con il ministro Valditara, che ha già rassicurato sul fatto che non si riduce il numero dei docenti ma si deve mettere mano all’organizzazione delle autonomie. Ed il Veneto, che ha già operato in tal senso negli anni passati, non deve temere nulla da tale riorganizzazione”.

“Non ci spaventa assumere delle decisioni per il bene della nostra scuola. Qualche anno fa, rispettando la normativa, facemmo un rigoroso dimensionamento, riducendo in maniera significativa anche i dirigenti scolastici”.

Donazzan sottolinea come la riorganizzazione “viene imposta dentro il PNRR in termini di contenimento della spesa. Il nostro dimensionamento è già rispettoso dei parametri, ma chiediamo maggiore autonomia”.

La manovra del Governo, rileva, “oggi non riguarda la riduzione di docenti, plessi e servizi ma riguarda esclusivamente la questione delle autonomie, ossia dei dirigenti. La nostra posizione è quella che su dirigenti e autonomie possano decidere le Regioni. Ovvero, dato il contingente nazionale per singole regioni, starà poi alla regione stessa, con l’ufficio scolastico regionale di quel territorio, decidere se in quella precisa città si può avere un istituto comprensivo o un istituto sovra dimensionato rispetto agli attuali numeri con un dirigente per poter, magari, salvaguardare dimensioni minori ma in territori svantaggiati. Insomma, si tratta di concedere una scelta di autonomia responsabile”.

Donazzan ricorda che il Ministero ha accolto le preoccupazioni del Veneto per quanto riguarda la difesa delle scuole di montagna e delle piccole isole. “La battaglia per il Veneto è di non rinunciare a difendere le piccole scuole e le piccole classi – commenta ancora –. È un terreno di battaglia in cui combatto da sempre, in una situazione aggravata nel tempo da una denatalità spaventosa Ricordo che negli ultimi tre anni non si sono iscritti al primo anno delle scuole primarie in Veneto 20mila  bambini. Ciò significa che una cittadina come Thiene è scomparsa. Sulla maternità e sulla natalità l’Italia non ha fatto nulla da troppi anni. Non è un problema né di destra né di sinistra, né del nord né del sud. Volenti o nolenti, il tema della presenza degli studenti riguarderà tutti e le scuole in particolare. Per questo va adeguatamente trattato”.

BOZZA [PDF]

Il dossier della Camera

Lo scorso settembre un dossier della Camera aveva ripreso la questione facendo il punto della situazione.

L’articolo 116, terzo comma della Costituzione – si legge sul documento della Camera – prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma).

L’ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia concernono: tutte le materie che l’articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente;

un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna: gli accordi preliminari

Bisogna però partire dall’inizio e tornare al 2017, quando il tema dell’autonomia regionalizzata ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è sorto a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Dopo aver sottoscritto tre accordi preliminari con il Governo a febbraio 2018, su richiesta delle tre regioni, il negoziato è proseguito ampliando il quadro delle materie da trasferire rispetto a quello originariamente previsto. Nel frattempo altre regioni hanno intrapreso il percorso per la richiesta di condizioni particolari di autonomia, che hanno dovuto però interrompere le iniziative a causa del covid.

Quattro settori coinvolti

Per alcune materie, tra cui l’Istruzione (non quella professionale), servirà la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Allo stato attuale ogni regione potrà chiedere che nella propria intesa le venga riconosciuta una più forte autonomia in materia (salvo le prerogative che sono in capo alle singole scuole).

Sono quattro le materie coinvolte: la scuola, la sanità, l’ambiente e le politiche del lavoro, materie sulle quali verrà aperta la trattativa. Alle Regioni virtuose sarà consentito di ottenere un aumento delle somme destinate alle prestazione. Si ipotizza di prevedere un monitoraggio ogni tre anni. Non verrà erogato un solo euro in più: tanto lo Stato spende, tanto lo Stato darà.

La bozza del disegno di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” risulta completa, in questa nuova formulazione, con alcune modifiche rispetto alla bozza elaborata dal ministro Maria Stella Gelmini nell’aprile 2022.

All’articolo 3 si parla anche di scuola. I livelli essenziali di prestazione sono applicati, infatti, anche in questo settore. Ad esempio, entro il 2027, ogni Comune dovrà mettere a disposizione il 33% dei posti negli asili nido per i bambini di fascia 0-3 anni e fissare i numeri di alunni e docenti per ogni scuola e classe.

Si legge: “Nelle materie di cui all’articolo 117, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, della Costituzione e nelle materie della tutela e sicurezza sul lavoro, dell’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale, e della tutela della salute, (…) il trasferimento delle competenze legislative o delle funzioni amministrative e delle risorse corrispondenti ha luogo a seguito della definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”

Con la proposta di regionalizzazione, dunque, si rischia un vero e proprio processo separatista per la scuola: programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e meccanismo di finanziamento differenziati. Migliaia di docenti transiterebbero, secondo quanto segnala il quotidiano, nei ruoli della Regione con effetti sulla contrattazione nazionale e possibili differenziazioni salariali territoriali.

La proposta di legge, si specifica, non significa che una Regione potrà modificare il programma didattico o svolgere attività di insegnamento, che rimane riservata allo Stato. Ciò su cui l’autonomia potrà incidere è l’organizzazione. L’obiettivo a cui mirano le Regioni è iniziare un anno scolastico con i docenti assegnati alle classi fin dal primo giorno. Non è in discussione l’autonomia delle scuole nel fissare i programmi, né i concorsi per le assunzioni. I livelli essenziali di prestazione saranno fissati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.

Prima del trasferimento di competenze lo Stato dovrà approvare i livelli essenziali delle prestazioni, entro un anno secondo la bozza

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