Regionalizzazione dell’istruzione: una catasfrofe da evitare

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inviato da Eugenio Tipaldi – Il nuovo testo costituzionale 3/2001,voluto dal centrosinistra per contrastare le idee secessioniste della Lega Nord di Bossi, ha aperto comunque spazi per future, costanti e striscianti sovrapposizioni nell’esercizio di competenze legislative.

Come sembra già dimostrare la primissima fase applicativa che ha visto un alto tasso di conflittualità giudiziale innanzi la Corte costituzionale ,e ancora di più, se dovesse essere approvato il DDL sull’autonomia del Veneto e delle altre regioni settentrionali (la Lombardia in primis, ma si accoderebbero anche il Piemonte e l’Emilia-Romagna). Un’Italia federale segnerebbe la fine dello Stato nazionale italiano così come era stato conquistato da Cavour, Mazzini e Garibaldi e così come disegnato dalla nostra Costituzione del 1946.Ci si richiama per il modello federale a Cattaneo e alla sua proposta di riforma liberale dello Stato sul modello degli Stati Uniti e della Svizzera. La legislazione e la amministrazione dei tipici servizi sociali (la istruzione, la cura della salute, i trasporti) fanno capo ai soli governi periferici quando non sono di regola demandati all’iniziativa di comunità locali o, spesso, di organizzazioni private o ecclesiastiche. Il governo centrale non ha il potere di imporre una imposta diretta sui redditi, che serva a ridistribuire in qualche modo la ricchezza per avvicinare le posizioni economiche di tutti i cittadini dell’unione.

Ma il problema storico dell’Italia e della sua debolezza è che è stato sempre divisa in piccoli stati, nonostante avesse una cultura e lingua comune. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” già declamava il nostro sommo poeta Dante Alighieri nel secolo XIII. Si dovevano perciò unire i piccoli staterelli italiani e formare un popolo, non unire debolezze a debolezze.

Cattaneo lo si può citare anche come precursore, insieme a Mazzini, dell’idea degli Stati Uniti d’Europa che sarà ripresa da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel manifesto di Ventotene del 1941 il cui sogno, realizzato parzialmente (l’Unione Europea che è più una confederazione di stati che una federazione) ha consentito agli stati europei di vivere in pace per più di 70 anni dopo che si erano combattuti a vicenda nella prima e seconda guerra mondiale, con milioni di morti.

La disgregazione dell’Europa Unita voluta dai movimenti neo-nazionalisti detti anche “populisti” ci riporterebbe indietro nella storia, così come la proposta autonomistica della Lega.

Altra cosa è l’autonomia scolastica. Intendiamoci: una cosa è il decentramento che mantiene un’unità nazionale nei programmi (indicazioni nazionali) e nelle retribuzioni professionali; altra cosa è avere tante scuole regionali differenti nella programmazione e nello status professionale.

Nella proposta autonomistica della Lega si rischia di sostituire al centralismo nazionale un “centralismo regionale” a scapito dell’autonomia scolastica che pur si era affermata.

I provvedimenti che aboliscono la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici e gli ambiti territoriali a favore di un potenziamento degli uffici scolastici provinciali ricostituisce di fatto un centralismo: se nazionale o regionale si vedrà. Nell’ultima ipotesi, ci potrebbero essere regioni che negano la frequenza scolastica ai figli di immigrati irregolari che dalla legislazione nazionale è garantita, così come qualche comune con sindaco leghista ha tentato di vietare la mensa ai bambini extracomunitari con richieste burocratiche di ulteriore documenti. Stiamo parlando del comune di Lodi che aveva cambiato il regolamento di accesso alle agevolazioni per le mense scolastiche chiedendo alle famiglie straniere di fornire documenti originali e traduzioni dai paesi di origine, circostanza che escludeva di fatto molti bambini stranieri dalle tariffe agevolate. Il tribunale di Milano ha stabilito che anche i cittadini non appartenenti all’Unione europea devono poter presentare la domanda per accedere alle prestazioni sociali con il modello Isee alle stesse condizioni dei cittadini dell’Unione europea; e con un’ordinanza ha chiesto al Comune di Lodi di modificare il regolamento.

E’ un esempio di quello che potrebbe accadere con legislazioni regionali differenziate. Per fortuna c’è la Costituzione del 1948 a difenderci da queste aberrazioni, a meno che non venga anch’essa modificata.

Già con il governo Monti (2011-2013) si è cercato di rivedere la riforma 3/2011, a causa dei crescenti conflitti dinnanzi alla Corte costituzionale. Si è proposto di integrare il primo comma dell’art. 117 in questo modo: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, con la precisazione: “Il legislatore statale adotta gli atti necessari ad assicurare la garanzia dei diritti costituzionali e la tutela dell’unità giuridica od economica della Repubblica” .

Nel caso di conflitti tra stato e regioni, si stabiliva quindi la supremazia dello Stato. La nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, disporrebbe che “nelle materie di legislazione concorrente le Regioni esercitano la potestà legislativa nel rispetto della legislazione dello Stato, alla quale spetta di disciplinare i profili funzionali all’unità giuridica ed economica della Repubblica stabilendo, se necessario, un termine non inferiore a centoventi giorni per l’adeguamento della legislazione regionale”.

Inoltre, l’art. 127, comma 1, nella proposta di riformulazione, ammetterebbe la possibilità di impugnazione governativa anche in seguito all’ “inutile decorso del termine fissato ai sensi dell’ultimo periodo del terzo comma dell’articolo 117”.

Per qualcuno era una controriforma del Titolo V, ma si trattava di inserire nel campo della legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che erano precedentemente considerate della legislazione concorrente: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia.

Il successivo governo Renzi ha ripreso il disegno di legge Monti riproponendolo nella proposta di riforma costituzionale detta anche “riforma Boschi”. La riforma, nata con un disegno di legge presentato dal Governo Renzi l’8 aprile 2014, si prefiggeva «il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Il testo di legge costituzionale approvato dal Parlamento italiano il 12 aprile 2016 è stato bocciato dal referendum popolare confermativo il 4 dicembre 2016. Così è rimasto il problema della conflittualità stato-regioni e la possibilità di attribuire alle regioni le materie spettanti allo stato fino al limite estremo del federalismo, con le conseguenze che abbiamo descritto. Sono visioni legittime entrambe: la supremazia statale con alcune funzioni decentrate ; la decentralizzazione delle funzioni statali a livello regionale creando di fatto uno stato federale. Occorre capire di cosa ci sia bisogno nella dialettica stato-regioni riconosciuta dalla nostra stessa Costituzione.

Si tratta, secondo noi, di attribuire alla legge statale un ruolo più duttile ed ampio nell’area della legislazione concorrente, prevedendo che spetti alla legge dello Stato non più di stabilire i problematici “principi fondamentali”, bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica, pena una sua frantumazione. Consideriamo l’unità d’Italia un bene fondamentale per la crescita economica ,culturale e sociale del Paese.

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