Regionalizzazione, ecco come le regioni autonome toglierebbero risorse alle altre. [DOCUMENTO UFFICIALE]
Critiche al percorso per la regionalizzazione giungono dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Passaggio parlamentare
Non basta l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo.
“È con legge ordinaria dello Stato – leggiamo nel documento – che possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Si tratta di una legge ordinaria “rinforzata”, in quanto l’articolo 116, terzo comma, Cost. prevede che sia approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.”
“Nell’ambito dell’iter in corso di svolgimento per le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, – si legge nel documento – è prevalsa l’opzione interpretativa che riconosce in capo al Governo la titolarità dell’iniziativa legislativa. Tuttavia, non può escludersi che, specie in caso di inerzia da parte dell’Esecutivo, le Regioni interessate assumano l’iniziativa legislativa, presentando alle Camere una proposta di legge ai sensi dell’articolo 121, secondo comma, Cost., sulla base dell’intesa conclusa con il Governo.”
“Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento, assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese.”
Maggiori risorse alle regioni “autonome” del Nord a discapito delle altre
Su come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto riuscirebbero ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni, il documento dedica una sezione specifica che riportiamo integralmente
L’articolo 5 degli schemi di intesa prevede che l’attribuzione delle risorse finanziarie alle Regioni sia basata, nelle more della definizione dei fabbisogni standard per ogni singola materia, sulla spesa storica riferita alle funzioni trasferite e destinata a carattere permanente, a legislazione vigente, dallo Stato alla Regione interessata.
Inoltre, in considerazione delle difficoltà riscontrate nella definizione dei fabbisogni standard, gli schemi di intesa prevedono un meccanismo alternativo di determinazione delle risorse finanziarie per l’ipotesi in cui, trascorsi tre anni dall’entrata in vigore dei decreti attuativi, non siano stati ancora definiti i fabbisogni standard (articolo 5, comma 1, lett. b), degli schemi di intesa).
La previsione di tale meccanismo alternativo non risulta, tuttavia, condivisibile per le ragioni che seguono.
Innanzitutto, deve considerarsi che, nei termini attuali, la previsione in esame vincola lo Stato alla determinazione dei fabbisogni standard, disponendo al contempo che, nell’ipotesi di mancato adempimento dell’obbligo assunto per il tramite dell’intesa, l’ammontare delle risorse da assegnare alla Regione sia determinato secondo un metodo di calcolo che, in chiave (incomprensibilmente) sanzionatoria per lo Stato, produrrebbe un aumento delle somme da trasferire rispetto alla modalità di calcolo basata sul costo storico.
Nello specifico, tale modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti, che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse.
Per effetto di tale metodo di calcolo, in caso di perdurante assenza dei fabbisogni standard, le Regioni destinatarie di autonomia differenziata – che in base alla ratio sottesa all’articolo 116, terzo comma, Cost. dovrebbero, almeno di norma, essere regioni “virtuose” nei settori in cui richiedono le più ampie condizioni di autonomia – riceverebbero, per mero effetto del decorso di tre anni, un ammontare di risorse pari almeno al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale (e quindi presumibilmente maggiore della spesa storica di riferimento per quella Regione). L’applicazione di tale criterio è, dunque, suscettibile di determinare via via, negli anni, uno spostamento verso l’alto del valore medio nazionale pro-capite della spesa statale, posto che il valore della spesa da destinare alle Regioni ad autonomia differenziata verrebbe a coincidere con la media nazionale, e non più con il minore costo storico in quella Regione: fino ad un progressivo appiattimento in prospettiva, nell’ipotesi di aumento del numero delle Regioni ad autonomia differenziata, del valore medio nazionale sul costo storico corrispondente alla Regione meno virtuosa.
Esemplificando: se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale, l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della popolazione).
Risulta dunque agevole comprendere come un tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva).