Raiola: nuovo concorso è moralmente indecente. Eternità 10 anni per assorbire graduatorie. Che dovremmo fare? Suicidarci in massa con tante scuse?
dp – Parole dure quelle di Marcella Raiola (Movimento nazionale Precari uniti contro i tagli), con la quale abbiamo realizzato una intervista fiume che affronta alcuni aspetti della politica scolastica di questi ultimi anni, con particolare riguardo alle problematiche del precariato. Un punto di vista critico e costruttivo: si all’organico funzionale, ma pone dei paletti; sì alla formazione dei docenti presso le Università, ma descrive il concorso un metodo puerile che privilegia il nozionismo da Bignami
dp – Parole dure quelle di Marcella Raiola (Movimento nazionale Precari uniti contro i tagli), con la quale abbiamo realizzato una intervista fiume che affronta alcuni aspetti della politica scolastica di questi ultimi anni, con particolare riguardo alle problematiche del precariato. Un punto di vista critico e costruttivo: si all’organico funzionale, ma pone dei paletti; sì alla formazione dei docenti presso le Università, ma descrive il concorso un metodo puerile che privilegia il nozionismo da Bignami
Partiamo dalle immissioni in ruolo previste per il 2014/15. 15mila posti comuni e 13mila di sostegno e c’è da considerare che 7mila andranno al prossimo concorso. Numeri che vi soddisfano?
Ogni anno vengono stipulati circa 120.000 contratti a tempo determinato in tutta Italia, a precari che sono tali da più lustri (io, per esempio, sono precaria da 13 anni). Questo significa anche che da più lustri gli studenti sono privati di una “tecnologia” senza la quale né tablet né altri strumenti presuntamente “modernizzanti” possono sortire effetti, vale a dire la continuità didattica.
La legge 449/97, che vincola le assunzioni al parere favorevole del MEF, ha creato un ingorgo gigantesco, allargando l’organico “di fatto” e sfruttando lavoro precario per risparmiare sulla Scuola, nonché per avere una “clientela” ricattabile, in un paese dove si è in perenne campagna elettorale… 15.000 assunzioni su tutte le classi di concorso e su tutto il territorio nazionale garantiscono l’uscita dal “purgatorio” al massimo ai primi due insegnanti in Gae di ogni graduatoria, considerando la necessità di rispettare il criterio del 50/50 tra graduatorie di merito/concorso e Grad. ad esaurimento, e considerando il fatto che il ministero ha scientemente e sciaguratamente moltiplicato non solo i canali di reclutamento, balcanizzando il corpo docente, ma anche gli aventi titolo all’assunzione, creando le premesse per una marea di ricorsi e controricorsi che destabilizzano la Scuola.
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Mi riferisco, in particolare, al decreto 356 emesso il 23 maggio a mezzanotte, a poche ore dalle elezioni europee, che, dopo il termine fissato per le operazioni di aggiornamento e trasferimento, conclusesi il 17 maggio, ha retroattivamente modificato il bando del concorsone di Profumo già espletato, creando dal nulla una nuova lista di “idonei” al ruolo. Non si può andare avanti per blitz, concessioni interessate e guerre senza quartiere all’ultimo posto!
“Mettere al centro” la Scuola, come i vari governi che si sono susseguiti hanno proclamato di voler fare, dovrebbe significare anzitutto sganciare dall’andamento economico-finanziario del paese il diritto all’istruzione, che non può essere garantito desultoriamente o condizionato dalle congiunture economiche! Siamo i soli, invece, su 31 paesi, insieme all’Estonia, che dall’inizio della crisi hanno tagliato sulla Scuola anziché investirvi.
Sei tra coloro che ritengono che bisognerebbe esaurire le graduatorie prima di bandire concorsi?
Se ci sono graduatorie che scoppiano di personale avente titolo all’assunzione e dolosamente precarizzato, che da decenni, a prezzo di sacrifici e perdite notevoli, manda avanti il sistema-scuola; se si sono fatti tagli per 150.000 posti accorpando e dimensionando classi e istituti e tagli all’orario (due anni complessivi di vita scolastica dalle elementari alle superiori) senza alcun riguardo per la qualità della didattica e per la sicurezza; se, infine, si prevede di accorciare il percorso di studi superiori degli studenti riducendolo a 4 anni, con un’ulteriore perdita di 40.000 cattedre (il capo di Dipartimento del MIUR, Dott. Luciano Chiappetta, anzi, ai precari da lui ricevuti il giorno 11 aprile, in occasione dello “sciopero precario” lanciato dal Coordinamento nazionale dei precari e indetto dall’Usi-Ait, dalla Cub e dallo Slai Cobas, dichiarò che i licei a 4 anni avrebbero determinato esuberi per circa 25.000 docenti di ruolo!), non è politicamente ragionevole né moralmente decente indire nuovi concorsi, che si configurano, nel momento in cui la Scuola viene usata come “bancomat della crisi”, come una vera e propria truffa.
Il “concorsone a quiz” di Profumo, umiliante, inutile e costoso, del resto, conferma questa lettura: i vincitori, infatti, che per buona metà sono stati lasciati a casa a settembre, hanno già svolto due manifestazioni di protesta per la loro promessa e mancata assunzione. Tengo molto a dire, inoltre, che c’è un pesante equivoco di fondo nell’alternativa, posta dalla domanda, tra assunzioni da Graduatoria ad esaurimento o da concorso: chi è in graduatoria ad esaurimento non è un abusivo “parcheggiato” in una lista senza meriti né titoli, in attesa di un pietoso pescaggio, ma ha superato un concorso (o più di uno!) e/o una selezione (SSIS) equiparata in tutto e per tutto alla procedura concorsuale (Legge 306/2000, art. 6 ter), sicché ha titolo e diritto al ruolo tanto quanto chi supererà i nuovi concorsi! Le Scuole di specializzazione, quando furono istituite, accogliendo una legge europea, vennero presentate come la più valida alternativa alla obsoleta formula del concorso, il quale dava adito a fenomeni clientelari e non garantiva l’accertamento della preparazione a livello pedagogico e didattico.
Il concorso è stato riesumato ed è tornato in auge per l’esigenza propagandistica di motivare i tagli al personale con la necessità di arruolare i “meritevoli” e i “giovani” (ma vengono lasciati in cattedra fino al 2018, inchiodati dalla riforma Fornero, 4.500 docenti che hanno maturato diritto
alla pensione nell’agosto 2012, per i quali non si trovano 40 milioni di euro, pari a soli 5 anni di stipendio di un supermanager di Stato!).
I media mainstream hanno ripetuto ossessivamente che “non si facevano concorsi dal 2000” per rimandare l’idea dello “svecchiamento” della Scuola e del “dinamismo” governativo, ma la verità è che il concorso si è regolarmente celebrato, dal 2000, con cadenza biennale, solo che aveva cambiato veste, essendo stato soppiantato da un percorso selettivo e formativo diverso, ritenuto dall’intelligencjia più funzionale alla formazione “olistica” (disciplinare e pedagogica) dei docenti.
Però, senza concorsi i giovani aspiranti docenti rimarrebbero fuori per i prossimi 10 anni, se dobbiamo dare ascolto a chi sostiene che in quest’arco di tempo si esauriranno le graduatorie.
La ministra Giannini parla di 10 anni per l’assorbimento delle graduatorie, ma 10 anni sono un’eternità per chi vi è iscritto da altrettanti o più anni! Non è possibile mandare dei lavoratori in pensione da precari! Occorre un piano straordinario di “normalizzazione” del reclutamento, nel rispetto dei diritti acquisiti… Non sono stati i precari a determinare l’attuale situazione di stallo drammatico. Ritengo ignobile attribuire ai precari 40enni (entrati anch’essi in graduatoria da “giovani”) che chiedono la loro sacrosanta stabilizzazione, peraltro anche in ragione della direttiva 70/1999 della Comunità Europea, che l’Italia disattende sistematicamente, la “colpa” di essere ancora precari e di inibire, così, l’assunzione dei 30enni. Che dovremmo fare? Suicidarci in massa con tante scuse, per lasciare il posto ai “giovani”, ora che siamo nel pieno della maturità professionale? I concorsi, inoltre, restano mera propaganda e strumento di pressione elettorale se non si scorporano le classi-pollaio, se non si ripristina il modulo alle elementari, se non si istituisce, come sarebbe obbligatorio, l’ora alternativa a quella di religione (si creerebbero 25.000 cattedre nuove, secondo stime Cobas!) e se non verrà rifinanziata, in generale, l’istruzione. L’ultimo concorso, del resto, era rivolto ad abilitati con decenni di servizio e a laureati col vecchio ordinamento non abilitati. Non c’è volontà di assumere i giovani, dunque, ma di intimidire e intimorire i docenti per costringerli ad accettare un contratto di bassissimo profilo (il lavoro come “grazia”, come “favore”!), per imporre un modello aziendalistico e deideologizzato di scuola e per plasmare nuovi futuri precari destinati a cambiare 20 volte mestiere in vita loro.
Come vedi la costituzione di un organico funzionale? Da più parti i precari sembrano avere delle aspettative, se non altro si aggirerà l’assurda distinzione tra organico di diritto e di fatto. Anche se, pare che scuole e dirigenti possano assumere un ruolo attivo nella gestione del personale. Uno scotto da pagare?
Bisogna intendersi sul termine “funzionale”. Se la “funzione” da espletare è quella di tappare buchi per tre anni nelle scuole di un intero distretto per poi ritrovarsi precari punto e a capo, allora non ha senso. Meno che mai è accettabile l’utilizzo del personale di ruolo per la copertura delle supplenze, tagliando altri posti (la Giannini ha confuso, in qualche sua dichiarazione, l’organico di fatto con quello funzionale)…
Se parliamo di unità aggiuntive da assumere a tempo indeterminato da parte di ogni istituto per svolgere stabilmente attività extracurricolari (potenziamenti/recuperi, progetti contro la dispersione etc.), allora, forse, ci sarebbe un incremento di assunzioni, ma il terreno è minato, appunto, perché sfocia nel discorso relativo alla creazione di “albi” regionali per approdare ai concorsi per “reti di scuole” e alla paventata chiamata diretta, che decreterebbe la fine della libertà di insegnamento e della trasparenza nel reclutamento. Per quella che è la mia formazione, tendente a vedere nella norma oggettivante e vincolante per tutti, ovvero nel valore condiviso e proclamato, una garanzia di “tenuta” democratica, la tendenza alla soggettivizzazione e personalizzazione della gestione della Scuola è deleteria e molto inquietante.
Del resto, una politica che fa leva sul carisma del singolo leader ormai non può che postulare l’estensione analogica di questo semplificante e semplicistico modello a tutti i settori. Sta di fatto, però, che la Scuola non è un settore “produttivo” qualunque, perché la conoscenza non è merce ma processo e diritto inalienabile, il docente non è servo ma libero pensatore e “artigiano”, e il discente non è cliente da soddisfare ma coscienza e mente da potenziare secondo le sue attitudini e propensioni. Ecco perché cambiare la gestione significa cambiare la funzione della Scuola: i governi ultimi, da Berlusconi in poi, hanno millantato di voler modificare (“efficientizzare”) l’amministrazione della Scuola, ma in realtà applicare il paradigma aziendal-competitivo al comparto Scuola significa manomettere la libertà di espressione e fare tabula rasa del pluralismo.
Cambiamo argomento futuro reclutamento. 3+2+concorso. Ammettiamo che le graduatorie si esauriscano veramente e si avvii questo nuova modalità. Vedi una valida alternativa a quello che è adesso il percorso per diventare insegnante? Anzi, alternativa ai percorsi?
Credo che l’osmosi Università-Scuola sia da salvaguardare e promuovere, perché penso che domandarsi cosa significhi insegnare, a livello teorico, confrontare modelli ed esperienze, ripensare i “canoni” e calcolare il coefficiente di incidenza dei singoli fattori (quello empatico, quello metodologico etc.) che entrano in gioco nell’interazione didattica per ogni materia o blocco di materie, sia fonte di reale progresso nell’approccio alle classi e agli alunni.
Scarterei, perciò, il concorso, che trovo puerile e manchevole, nella sua pretesa di certificare una conoscenza “universale” privilegiando per forza di cose il nozionismo da “Bignami”. L’idea di strutturare il percorso universitario in modo da “incanalare”, abilitandolo, chi volesse scegliere la professione di insegnante mi pare buona, sia perché si abbatterebbero i costi, oggi alti, dei corsi post-lauream, sia perché in tal modo si conferirebbe dignità autonoma a un lavoro che spesso viene intrapreso per “ripiego” dopo il fallimento di vari tentativi di accesso al mondo della ricerca (precluso ai più) o del lavoro autonomo (troppo rischioso, remunerato in modo incostante o reso impossibile dai monopoli e dalle baronie). Non mi azzardo a proporre alternative “strutturate” perché non sono un’esperta della formazione, ma credo che un 4+2 sia più funzionale e realistico, per raggiungere l’obiettivo di una buona formazione, del 3+2.
Da tutto ciò, però, viene tagliata fuori l’esperienza sul campo per la formazione dei docenti.
Non direi che i docenti siano stati “formati” sul campo prima di abilitarsi. Semmai, sono stati sfruttati nelle Scuole paritarie o private, col miraggio della “raccolta punti”, beneficiando, poi, di “sconti” sui percorsi formativi che hanno creato attrito tra le diverse categorie di precari. Credo sia auspicabile che il docente esordiente lavori in un quadro di garanzie contrattuali certo. Il mito della “pratica” che scalza e smentisce la teoria è un frutto avvelenato del pragmatismo “all’americana”, che sopravvaluta l’esperienza singola e i precedenti. Questo non vuol dire, ovviamente, che, come in ogni professione, l’esperienza non sia un valore aggiunto.
Vorrei andare oltre la questione del reclutamento e affrontare una tendenza che acquista sempre più consensi, cioè il modello anglosassone. E’ notizia di pochi giorni fa la richiesta da parte dell’ADI di scuole sul modello Academies. Vuoi commentare questa tendenza?
C’è poco da commentare. E’ una tendenza allo sfascio dell’unità culturale del paese, alla trasformazione del diritto allo studio in un “servizio on demand” da calibrare in relazione alle disponibilità economiche del “fruitore”, alla riproposizione della scuola di classe, all’asservimento dei docenti, allo snaturamento del ruolo costituzionale della Scuola italiana. Come per l’Invalsi, ripudiato con tardivo ma significativo “mea culpa” da quanti lo hanno inventato (Diane Ravitch, per esempio, consulente per l’istruzione di Bush), scimmiottiamo per provinciale esterofilia i paesi che ci paiono paradigmatici e “vincenti” perché protagonisti sulla scena politica ed economica internazionale, ma dimentichiamo che Usa e Inghilterra, da cui mutuiamo modelli come quello in oggetto, attuato da Blair nel 2000, sono pieni di “cervelli” italiani “in fuga”, dotati di una preparazione spesso consolidata nella Scuola e Università pubblica italiana.
Io credo che la nostra Scuola e la nostra democrazia saranno vive e vitali fino a quando professori e studenti potranno liberamente chiedersi quale sia il complesso di valori sotteso allo sviluppo e al progresso di un paese, e se valga o no la pena invidiarne o imitarne la “paideia”.