Ragazzi che studiano e fanno sport? “Mentalizzati, forte capacità organizzativa e guardano all’essenziale”. INTERVISTA al professore Guido Boni

“Poiché mi allenavo alle 5 e mezzo di mattina, arrivando con i capelli bagnati i miei professori erano già prevenuti – dice Lorenzo Zazzeri – Mi interrogavano il lunedì pur sapendo delle gare: le solite cose che fanno i professori che vogliono remare contro gli studenti atleti”. Aggiunge Matteo Restivo: “Ho avuto esperienze molto varie, da professori che stimavano il mio doppio impegno a docenti apertamente contrari alla pratica agonistica: ripetevano che la competizione era uno dei mali del mondo e sottolineavano come fosse uno spreco di tempo, ignorando il fatto che lo sport invece è utilissimo”.
E ancora: “Questa foto la dedico alla mia professoressa di liceo che disse a mia madre: suo figlio o sceglie lo sport o sceglie la scuola”, spiega Damiano Tramontana. Tutti e tre sono dei campioni mondiali di diverse discipline. Tutti e tre sono stati coinvolti da noi nella nostra sulla dual career. I primi due sono poi andati alle Olimpiadi di Parigi. Tramontana, proprio due sere fa ha vinto ancora una volta il titolo mondiale di kick boxing battendo ai punti a Francofonte, in provincia di Siracusa, lo spagnolo Kabiri Mohamed Rida. Tutti e tre hanno in comune anche il fatto che si sono pure laureati, uno di loro addirittura in medicina con lode, a dimostrazione che la doppia carriera, quella scolastica e quella sportiva – che spesso diventa tripla, se si hanno anche altri interessi come l’arte, nel caso di Zazzeri – è possibile. Possibile e priva di eccessivi sacrifici in tutti i casi nei quali la scuola venga incontro alle esigenze degli studenti sportivi.
Gli atleti di alto livello, quelli che a tutti piace festeggiare quando vincono alle Olimpiadi, tanto per intenderci, ma anche tanti altri, godono da qualche anno del diritto di avere un PFP, un progetto formativo personalizzato, stilato dal Mim e inviato dallo stesso ministero ogni anno alle scuole, grazie al quale i docenti del consiglio di classe programmano le interrogazioni e le verifiche. Una volta conosciuti gli impegni comunicati dal rispettivo tutor sportivo e cercano di venire incontro ai loro bisogni applicando delle misure che è possibile adottare per aiutarli. Il progetto fino a due anni orsono era sperimentale, ora è strutturale. Sulla base del progetto, le scuole verificano ogni anno la presenza di studenti atleti che rientrino nelle graduatorie previste – ad esempio, negli sport individuali, come il tennis o il ciclismo, e fatte le debite eccezioni, hanno diritto al PFP solo i primi 36 alunni classificati. Non sono privilegi, si tratta semmai di mettere gli studenti atleti nelle condizioni di massimizzare i risultati.
Non sempre le cose vanno per il verso giusto, tanto che Zazzeri e Restivo hanno prodotto un podcast intitolato Sportiva Mente. Nelle intenzioni dei due campioni-dottori è palese l’obiettivo di fare divulgazione e di creare consapevolezza sull’importanza e sulla delicatezza della doppia carriera: “Vogliamo scardinare gli stereotipi che accompagnano la dual career – dicono i due campioni – e dare spunti ed esempi di come sia possibile conciliare lo studio e lo sport. Un docente che sa come sostenere un atleta-studente può fare davvero la differenza. Il nostro progetto coinvolge il mondo dello sport, vogliamo andare a portare il nostro modello di doppia carriera con l’esempio di chi ha fatto e fa tuttora sport e studia. Tra gli obiettivi del nostro progetto di divulgazione è di riunire persone sensibili al tema con l’idea che se si riesce a far fronte unito si potrebbero cambiare le cose potrebbero venire fuori delle idee e delle iniziative per cambiare le cose”.
Il concetto di dual-career, secondo la definizione data dall’Unione Europea, consiste nel “dare agli atleti la possibilità di avviare, sviluppare e terminare con successo un percorso sportivo di alto livello, in combinazione con il perseguimento di obiettivi legati alla formazione, al lavoro e ad altri obiettivi importanti”. Gli atleti, nel corso del loro percorso professionale, “devono affrontare la sfida di coniugare la loro carriera sportiva con l’istruzione o il lavoro. Il successo ad alti livelli nello sport, infatti, richiede allenamenti intensivi e competizioni in patria o all’estero che possono essere ardui da conciliare con le richieste e le restrizioni del sistema educativo e del mercato del lavoro”. Per evitare circostanze in cui giovani talenti siano costretti a scegliere tra istruzione o sport e tra lavoro o sport, non bastano alti livelli di motivazione, impegno, resilienza e responsabilità da parte dell’atleta, ma sono necessari specifici accorgimenti. Tali accorgimenti, detti di doppia carriera, “dovrebbero agevolare la carriera sportiva degli atleti consentendo loro istruzione e lavoro, promuovendo la realizzazione di una nuova professionalità dopo quella sportiva e proteggendo nonché salvaguardando la posizione lavorativa degli atleti”.
I progetti riguardanti la doppia carriera sono stati introdotti solo di recente nella maggior parte degli Stati membri e delle discipline sportive. Negli Stati membri in cui questi dispositivi sono sviluppati, mancano, a volte, solidi accordi tra il sistema sportivo ed il settore dell’istruzione. Da qui la necessità di alcune Linee guida che agevolino il percorso degli studenti atleti, che si trovano a dover affrontare la sida della doppia carriera, nella speranza di non dover essere costretti a sceglie o una o l’altra. Il MIM prevede infatti da un po’ di anni il Progetto intitolato “Studenti atleti di alto livello” che prevede diverse agevolazioni per gli studenti atleti e una crescente sensibilizzazione del corpo docente.
Abbiamo già intervistato gli atleti, che denunciano di avere incontrato, nel recente passato, ostacoli di “ordine scolastico” durante la loro attività sportiva. Ma cosa dicono gli insegnanti? “Per fortuna, qualcosa oggi si sta muovendo” – spiega Guido Boni, 52 anni, docente di Scienze motorie presso il Liceo delle Scienze umane “Sigonio” di Modena nonché allenatore nazionale della pallacanestro – Con il progetto Studenti atleti di alto livello del Ministero dell’Istruzione si stanno ottenendo due risultati molto importanti. Intanto un aiuto concreto a questi ragazzi che, mediamente, hanno giornate stremanti. E in secondo luogo una sensibilizzazione importante del corpo docente. Nella mia scuola, ad esempio, non dico che tutti siano sintonizzati, sarebbe una bugia, ma una buona parte certamente”. Detto questo, prosegue Boni, un passato come giocatore nelle file Juniores della Burgy in serie B e attualmente allenatore della MoBa di Modena, “devo fare i complimenti ai ragazzi che decidono di fare scuole impegnative nonostante siano atleti importanti. Per esperienza diretta posso dire che la maggior parte di loro sono vere e proprie macchine da guerra“. Hanno capacità organizzative ed etica del lavoro che la stragrande maggioranza degli altri studenti si sogna.
Guido Boni, come stanno le cose?
“Io devo dire che questi ragazzi sono estremamente mentalizzati. Hanno una capacità organizzativa di base clamorosamente migliore rispetto a quelli che non fanno sport. Non si perdono in cose superflue. Parlo in generale, ci saranno pure delle eccezioni. Per la mia esperienza, e riferendomi soprattutto agli studenti della mia scuola, la maggior parte di loro non avrebbe problemi anche se non avessero i PFP”.
E questo perché?
“E’ la vita li costringe. Se non riuscissero a ottimizzare gli spazi e i tempi per conciliare studio e impegni sportivi non riuscirebbero. La loro motivazione è molto forte e loro sanno che lo studio è importante per la loro vita, visto che sono pochi quelli che sanno di poter avere un reale sbocco nel mondo dello sport. Ma è importante anche lo sport. Allenarsi tanto vuol dire riuscire a organizzare la giornata, azzerare i tempi morti. Quelli che fanno nuoto ad esempio si allenano al mattino prima di arrivare a scuola”
E se arrivano a scuola con i capelli bagnati qualcuno li rimprovera, o li rimproverava, pare di capire dagli interessati
“Non ho notizie dirette di questo tipo. Ci saranno dei professori strani, certo. In questa scuola noi abbiamo fatto negli anni un salto di qualità importante nell’accogliere i bisogni di questi ragazzi. Noi di casistiche difficili in questi anni abbiamo avuto una sola ma solo perché faceva la pallavolo con tre campionati e in più frequentava il liceo musicale, con i tempi pomeridiani richiesti per lo strumento. Nei grandi numeri può capitare. Ma se hai qualche problema si risolve”. La battuta di un docente che dice all’alunno atleta dovresti fare altro rientra nella intelligenza dell’essere umano, può capitare, ma noi li aiutiamo. Io stesso quando ero adolescente mi sono trovato in quelle situazioni”.
Racconti pure
“A fine anni ‘80 giocavo a pallacanestro, facevo campionato nazionale di categoria, mi allenavo e mi trovavo a fare due allenamenti al pomeriggio dalle 17 alle 21, a Modena, tra campionati juniores nazionali e serie B. Ed ero pure pendolare perché abitavo a Sassuolo, ho giocato nella Burghy Modena, prima B1, poi A2. All’epoca non era previsto nessun aiuto e frequentavo un istituto tecnico con 36 ore settimanali. Ero pendolare sia per gli allenamenti, sia per la scuola”.
Non sentivate il bisogno di avere un aiuto dalla scuola?
“Non lo avvertivamo neanche, dovevano conviverci. Poi, certo, avevo dei professori più aperti di mentalità che riuscivano a venirci incontro, nei limiti del possibile, e altri che dicevano le solite stupidaggini ai genitori: il ragazzo o fa una cosa o l’altra, o studia o fa sport. C’era una consapevolezza diversa in merito al legame tra lo sport e la vita, per alcuni dei docenti sport, vita e scuola erano strade che si incrociavano a fatica. Adesso si sta facendo un grosso passo avanti”.
Quant’è importante conciliare lo sport con la vita, dal suo punto di vista di docente di Scienze motorie e di allenatore nazionale?
“In questo periodo notiamo come con il post covid moltissimi studenti e studentesse hanno smesso di fare attività sportiva. Con le restrizioni si erano fermati e non hanno più ripreso. Sono tanti coloro che non fanno attività sportiva extrascolastica. Come scuola cerchiamo di fare qualcosa con il gruppo sportivo. E quando al gruppo sportivo vediamo arrivare questi studenti che avevamo perso per noi è un successo, perché non è obbligatorio partecipare al gruppo”.
Del resto la scuola oggi è molto attenta al benessere e alla salute degli studenti e cura tanti progetti.
“E’vero. Io stesso sono referente, nella mia scuola, per i progetti legati alla salute e al benessere, che vanno dalla prevenzione dei tumori alla mammella, al collo dell’utero, agli organi genitali maschili, al melanoma, ai vari tipi di dipendenza, agli interventi per salvare una vita. Con le classi seconde puntiamo molto sull’affettività”.
Quanto è importante fare sport?
“E’ importantissimo, a livello fisco, ma anche a livello mentale. Ti dà delle regole e ti abitua a fare fatica per ottenere un risultato e a lavorare e collaborare con i compagni. Non è un caso che le grandi multinazionali spesso chiamano allenatori – si pensi a Velasco – per fare conferenze in cui spiegano ai gruppi di lavoratori a operare in squadra, Questo perché lo sport queste a queste cose ti abitua, te le chiede in continuazione. Da solo il risultato non lo ottieni, neanche negli sport individuali, per forza devi collaborare con qualcuno. Anche il semplice collaborare con il fisioterapista è un modo per ottenere il risultato. Si pensi a Sinner, ha ringraziato il suo staff per un risultato che da solo non avrebbe mai ottenuto, anche se il tennis è uno sport individuale. Se automatizzi queste cose nello sport, le automatizzi nella vita”.
Nella sua scuola quanti sportivi di alto livello frequentano?
“Davvero tanti. Lo scorso anno ne abbiamo certificati 27”,.
Addirittura ventisette?
“Sì, sono tanti e praticavano tanti sport: dal golf all’equitazione, arrampicata, pallamano, scherma, calcio, wushu. In quest’ultimo sport, lo scorso anno abbiamo avuto la campionessa europea Veronica Piccinelli. Una ragazza che è andata ai mondiali lo scorso anno è stata campionessa europea di pallavolo, Stella Cornelli e quest’anno è stata bronzo ai nazionali under 17 di pallavolo. Ma lei è solo un caso, ci sono tutti gli altri. Qualcun altro non fa domanda perché non ne sente il bisogno”.
Come ci si muove nella pratica con la gestione di questi alunni?
“Come scuola ci attiviamo appena ci arriva la comunicazione dal Ministero circa il Progetto studenti atleti di alto livello. Prima era sperimentale. Da due anni a questa parte è strutturale e possono cambiare i parametri di ingresso”
Quali sono i parametri?
“Variano da sport a sport. Per gli sport individuali come la scherma o il ciclismo devi essere tra i primi 36 migliori italiani dei campionati italiani. Alcuni sport individuali come tiro al volo prevedono un numero più basso. Oppure, sempre negli individuali, devi essere un atleta in preparazione olimpica o di interesse nazionale: ad esempio è un atleta infortunato però è di alto livello e la Federazione di riferimento lo fa rientrare nella rappresentativa nazionale. E’ sempre la rispettiva Federazione a stabilire se il ragazzo rientri nei parametri per partecipare al progetto. Certifica cioè che lui o lei sia di interesse nazionale”.
Trentasei in tutta Italia sembrano un po’ pochini. E se un atleta è classificato al trentasettesimo posto che fa? Cessa di avere diritto al PFP?
“E’ un problema sì, perché oggettivamente si allenano tanto e ne avrebbero diritto. Ci sono delle discipline di ballo sportivo: ad esempio, in quei casi alcuni balli entrano e altri no, sono considerati non meritevoli. Eppure io lo scorso anno avevo come studentessa la campionessa italiana di ballo caraibico, Veronica Falcone, e non ne aveva diritto”.
Per lo sport di squadra le cose cambiano?
“E’ diverso. Perché si cambia abbastanza da sport a sport. Per esempio, per quanto riguarda il calcio, lo studente atleta rientra se gioca in un campionato professionistico oppure se fa parte del settore giovanile di una squadra professionistica. Ad esempio, per restare nella provincia modenese, tutti i ragazzini che giocano nel settore giovanile del Carpi, serie C, o del Sassuolo o del Modena, serie B, rientrano nel progetto ministeriale e hanno diritto al PFP. Ora anche la serie D vi è rientrata. Comunque per sapere tutto nello specifico è sufficiente consultate il documento della Direzione Generale del Mim per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico – Ufficio V – Politiche sportive scolastiche, intitolato Requisiti di ammissione al Progetto Studente ‐ atleta di alto livello a.s. 2023‐2024 validi per tutte le Federazioni Sportive e Discipline Sportive Associate riconosciute da CONI e CIP”.
Che cosa si perdono, tanti ragazzi e tante ragazze, nel non fare attività sportiva, anche se non agonistica?
“Si perdono tutti quei momenti ludici e divertenti che si creano in uno spogliatoio, molte amicizie sportive sopravvivono per tutta la vita. Questi momenti sono impagabili, poi te li ricordi. Ti insegnano a gestire le tensioni, le paure, le ansie, che per questi ragazzi stanno diventando gravi. Ogni giorno abbiamo le ambulanze nelle scuole per attacchi di panico. Lo sport ti aiuta a gestire queste paure di vario tipo perché la competizione ti chiede di abbattere dei muri che hai attorno a te se vuoi stare bene con gli altri. La gestione dell’ansia nello sport è importantissima. Quelli che devono fare un compito in classe se avessero fatto sport gestirebbero meglio le ansie e le paure, che spesso continuano all’università”.
E’ vero che lei si reca tutti i giorni a scuola in bicicletta arrivando da fuori Modena?
“E’ vero. Faccio Villanova-Modena e ritorno. Tredici chilometri”