Quota 103: flop di adesioni. Tra paletti e penalizzazioni, la flessibilità in uscita resta un miraggio

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L’attesa per la prossima Manovra e il futuro delle pensioni è alta, ma intanto arriva un primo bilancio di Quota 103 che sa di flop. Il mantra della flessibilità in uscita, cavallo di battaglia della Lega, si scontra con la realtà dei numeri e con la volontà del ministro Giorgetti di contenere gli aggravi per i conti pubblici.

Le domande per la nuova Quota 103, che prevede 62 anni di età e 41 di contributi, sono ferme a 7.000, la metà di quelle stimate dalla Legge di Bilancio. Un dato destinato a rimanere basso, complice la stretta sul ricalcolo contributivo dell’assegno prevista dal 2024. A pesare sulla scarsa adesione sono soprattutto le penalizzazioni economiche e la poca convenienza in termini di anticipo rispetto all’uscita con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne).

Secondo fonti vicine alla maggioranza, così come segnala Ansa, la conferma della misura sarebbe possibile con uno stanziamento ridotto del 70% rispetto all’anno precedente. Una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato, ma un segnale chiaro della bassa appetibilità di Quota 103.

Ma cosa rende la misura così poco attraente? In primis, il ricalcolo contributivo dell’assegno, che penalizza soprattutto chi ha avuto una carriera in crescita con aumenti salariali consistenti negli ultimi anni di lavoro. In secondo luogo, l’anticipo sull’uscita effettiva risulta minimo: appena un anno e sei mesi rispetto ai requisiti della pensione anticipata tradizionale. Un divario che si riduce ulteriormente per i lavoratori pubblici e per le donne.

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