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Questa meravigliosa pausa didattica ignorata da molte scuole

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di Antonio Fundarò***  –  È la Circolare Ministeriale del 7 agosto 1996, la numero 492 avete come oggetto “Interventi didattici ed educativi integrativi nella fase iniziale dell’anno scolastico 1996/97. Indicazioni operative” ad introdurre chiaramente e, per fortuna, efficacemente, la così detta “pausa didattica”, tanto utilizzata in altri contesti educativi e formativi europei (e non solo), e poco, molto poco in Italia (ancor di meno nelle scuole del ciclo di base).

L’esperienza di alcune scuole (in molte di esse), e in maggior numero nelle scuole del Meridione italiano, ha messo in luce la presenza di problematicità e limiti (strutturali e organizzativi) ma anche, nel contempo, di una ricchezza di responsabilità e di idee prodotte proprio a partire dagli accresciuti spazi di flessibilità e di autonomia concessi dalla normativa scolastica e dalla flessibilità del calendario scolastico, sempre più proporzionato alle esigenze territoriali, culturali e sociali delle diverse regioni e delle diverse autonomie previste dalla nostra Costituzione.

Soprattutto, innanzi ai numeri, talvolta mortificanti (in molti casi sconvolgenti), pubblicati dall’OCSE, va avvertita una maggiore coscienza in ordine al fatto che il fallimento chiama in causa le motivazioni di fondo degli studenti nei confronti della scuola, spesso della sua inadeguata articolazione, e dello studio (delle tecniche e della abilità), talvolta incapace di dare risposte alle mutate esigenze delle nuove generazioni.

Ciò spiega e giustifica un’efficace azione di lotta all’apatia, talvolta eccessivamente manifesta, di certa classe docente “aggrappata” a stereotipate forme di didattica atavica e troglodita.

Ci si deve rendere conto, infatti, che non sono sufficienti singoli progetti “aggiuntivi” (ma a che servono, poi!) ma necessita riconsiderare l’intera progettazione didattica ed educativa -comprendente l’offerta formativa extra (in quanto aggiuntiva) – secondo i realizzabili bisogni di una scienza dell’insegnamento diversificata che tenga conto, stavolta seriamente, dei bisogni di recupero come di quelle di approfondimento.

Cosa bisogna fare? Cosa fanno alcune virtuose realtà scolastiche? Chi deve attuarle? Il Dirigente scolastico? Il collegio dei docenti?

Se volessimo trovare un conforto a questa scelta necessaria e dare risposte ad alcuni degli interrogativi potremmo richiamare l’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 17 marzo 1997, n. 63, S.O. che, al comma 8, recita «L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita programmazione plurisettimanale».

In tale sfondo normativo, per altro sufficientemente chiaro, si dovrebbero determinare, comunque, più chiaramente (al fine di evitare che siano dirigenti illuminati ad occuparsene o docenti virtuosi e sognatori) gli interventi strutturali di riforma della scuola italiana che, per quanto interessa la materia in esame, ovvero il recupero e il potenziamento nelle cosiddette “pause didattiche” (ma potremmo chiamarle come vogliamo), in ogni ordine e grado dell’istruzione, dovrebbero ipotizzare:

1) per la secondaria superiore, il rimpiazzo dei “corsi di recupero” (recupero debito scolastico) con un migliore e più adeguato disegno di personalizzazione dell’insegnamento e di accertamento periodico dell’apprendimento (da concretizzarsi nei confronti di tutti gli studenti -e non solo di quelli in difficoltà- nell’ambito di uno strutturale complesso di debiti e crediti formativi, collegati ad un saldo insieme di “saperi minimi” per ogni disciplina);

2) mentre per la secondaria di primo grado e per la primaria, l’istituzionalizzazione della pausa didattica (alcuni istituti la prevedono sotto forma di recupero nel PTOF e la semplice previsione è condizione sufficiente ad attuarla) corredata da una scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento. Fattori, quest’ultimi, intesi come espressione della libertà progettuale già per altro marginalmente previsti negli spazi di autonomia già utilizzabili dalle scuole e dai docenti.

Ciò è utile per dare risposte agli alunni e, per il tramite di essi, a se stessi, come docenti, attraverso sistematici strumenti educativi-formativi per il tramite dei quali favorire il recupero del profitto e il potenziamento dei saperi. A titolo dimostrativo, ma non esauriente, si fa richiamo alle indicazioni fornite dal ministero circa la scansione flessibile delle lezioni anche differente da quella settimanale.

Va nondimeno rammentato che, se la scelta delle azioni didattiche ed educative da concretizzare è libera (e noi ne dovremmo essere responsabilmente gli attuatori), l’esecuzione di tali azioni rappresenta un obbligo di legge ovunque ne siano accertati i presupposti (e in molte scuole le insufficienze al primo quadrimestre fioccano).

Si indica, altresì, che la legge assicura lo sviluppo di tali attività a carico dei docenti dell’istituto, secondo criteri e modalità stabiliti dagli stessi organi dell’istituto e indicati, anche se non con una specifica denominazione, nel PTOF. Le scelte strategiche della scuola (potenziamento, recupero, di per sé giustificano e autorizzano compiutamente la scelta della pausa didattica intesa essa come strumento metodologico per concretizzare le scelte predefinite).

A titolo esemplificativo, per quanti volessero trovare risposte ai tanti perché, è la stessa Circolare Ministeriale del 7 agosto 1996, la numero 492, che indica alcuni dei modelli più ampiamente collaudati e che si consigliano vivamente:

«a) realizzazione degli interventi di recupero nei giorni antecedenti l’inizio delle lezioni;

b) svolgimento dell’attività integrativa in orario aggiuntivo;

c) integrazione dell’attività di recupero e di quella di approfondimento nell’orario curricolare anche attraverso il modello delle classi aperte e una scansione flessibile delle lezioni diversa da quella settimanale;

d) attivazione della “pausa didattica” con la quale si segna il passo nello sviluppo del programma favorendo il recupero ed il consolidamento delle conoscenze;

e) destinazione aggiuntiva di un congruo numero di giorni, oltre i 200 di effettive lezioni e previa interruzione dell’ordinaria attività didattica, per lo svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi mirati, destinati agli studenti il cui profitto risulti insufficiente;

f) riduzione della unità oraria della lezione con la conseguente utilizzazione degli spazi orari residui in favore di interventi integrativi, in analogia a quanto previsto, per le attività sperimentali, dall’art. 41, comma 4, del C.C.N.L. per il comparto scuola; g) organizzazione dell’attività di recupero per gruppi di alunni assistiti anche da allievi scelti quali tutori dei gruppi medesimi».

La Circolare, tuttavia, va oltre, asserendo (anche se compiutamente oggi ve ne sono poche di realtà che sperimentano nuove forme di personalizzazione dell’intervento educativo) che, contemporaneamente ai progetti adottati dalle scuole, «è intendimento di questo Ministero avviare lo studio e la sperimentazione di forme particolari di organizzazione della didattica, funzionali al recupero del profitto ed alla prevenzione della dispersione.

Tale sperimentazione anticiperà alcune soluzioni ipotizzabili con l’introduzione dell’autonomia, come sopra indicata, tra le quali quella di un sistema di debiti formativi capaci di consentire all’alunno di colmare le carenze accertate nel successivo anno scolastico, attraverso iniziative aggiuntive e verifiche formali puntualmente programmate. Si darà successivamente adeguata informazione in merito ai modelli sperimentati e alla loro concreta efficacia».

Il tutto darebbe, altresì, conforto a quanti ritengono che la scuola non fa ancora molto nella direzione di una trasparenza amministrativa della sua azione educativa e formativa.

La Circolare Ministeriale 2 aprile 1998, numero 175, Prot. n. 26454/BL, recita, tra l’altro: «Sotto il profilo formale trovano applicazione i principi della trasparenza amministrativa (vedi legge 241/1990) che pongono l’obbligo per la scuola, anche in relazione al correlato diritto degli studenti e delle loro famiglie di documentare adeguatamente il processo che ha condotto alle valutazioni in itinere e finali, in modo che esso possa essere ricostruito in tutte le sue articolazioni».

Tale processo sarebbe, con l’attivazione di un’organizzazione sistematica della pausa didattica, davvero adeguata e rispondete alla crescente domanda di individualizzazione dell’intervento educativo e formativo.

A tal riguardo sembra assai importante una riflessione aggiuntiva sulle azioni inerenti la “pausa didattica” in particolare sul debito formativo degli studenti riferito a situazioni di insufficienza del profitto (specie quelli di fine primo quadrimestre), che evoca il concetto di credito istruttivo o formativo, specialmente quello espressamente richiamato per la scuola secondaria di secondo grado e che, adesso, è fortemente richiamato, anche, nel ciclo di base, opportunamente.

L’ordinamento, di fatto, esprime la sintesi di un nuovo sistema di rapporti e di esercizio di diritti e di doveri all’interno della comunità scolastica, del quale le singole comunità non possono fare almeno.

In tale situazione assumono una diversa caratteristica i vari step di rilievo della vita scolastica, tra cui, in modo particolare, le vicende della valutazione periodica degli alunni e la successiva e necessaria pausa didattica a cui, nessuna scuola dovrebbe sottrarsi.

Una peculiarità da osservare prima della scelta di un istituto, infatti, dovrebbe essere la presenza di una “pausa didattica” consistente.

Ne siamo capaci?

I docenti sono in grado di anteporre agli schematismi personali rassicuranti, il bene dei propri alunni?

Scommettiamoci al di là delle formule, delle denominazioni, delle competenze e dei documenti.

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