“Quale paesaggio lasceremo alle generazioni future?”: un’ora di Educazione Civica con Salvatore Settis [INTERVISTA]
“Non una vuota fierezza, ma un senso di civismo e di solidarietà che genera forza morale, coesione sociale, produttività economica”: in queste parole Salvatore Settis, autorevole studioso e accademico, condensa lo scopo della conoscenza e della tutela del nostro patrimonio artistico e naturale, posta dalla Costituzione al più alto grado, tra i suoi principi fondamentali (art. 9).
È nei saggi di Settis che si ritrova la più coraggiosa e convincente apologia del paesaggio italiano come ‘luogo chiave della responsabilità sociale’ o ‘come soggetto portatore di valori civili, garante della vita associata, filo conduttore delle esperienze di tutti’, espressioni in cui è facile ravvisare un forte legame con l’educazione scolastica intesa quale percorso in cui far convergere l’eredità del passato e le ipotesi di futuro.
Professor Settis, dall’anno scolastico in corso l’Educazione Civica è disciplina di studio obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado. È soddisfatto di come la Legge 92/2019, che norma questa importante integrazione dei curricoli scolastici, affronta il tema della difesa dell’ambiente? Glielo domando perché al punto 2 delle Linee Guida non compare mai la parola ‘paesaggio’, mentre ci si riferisce a ‘risorse naturali’, ‘ambienti di vita, città’, ‘patrimoni materiali e immateriali’. Si tratta, a suo parere, di una svista o di una presa di distanza consapevole dall’articolo 9 della Costituzione? Lei ha indagato a fondo il delicato e secolare rapporto tra uomo e paesaggio e ha insistito proprio su come ‘paesaggio’, ‘territorio’ e ‘ambiente’ non siano sinonimi.
“Come ho detto in un’audizione al Senato il 13 giugno 2019, la reintroduzione dell’Educazione Civica è una buona notizia, purché non si faccia sottraendo ore ad altre discipline (in particolare la Storia). E purché la si faccia bene. Non credo che l’assenza della parola ‘paesaggio’ sia un voluto oltraggio alla Costituzione, ma temo che sia il frutto di una qualche fretta, distrazione o superficialità. Chi ha dimenticato questa parola sembra ignorare che lo statuto costituzionale dell’ambiente e delle risorse naturali in Italia nasce non da un’esplicita tutela nel testo della Costituzione come fu scritta dall’Assemblea Costituente, ma da un percorso interpretativo della Corte Costituzionale (anni ’70-primi anni ’80) che definì l’ambiente facendo convergere, in via interpretativa, il paesaggio dell’art. 9 con il diritto alla salute dell’art. 32. Questo è uno degli insegnamenti che un buon corso di Educazione Civica dovrebbe saper trasmettere: quando negli anni ’70 emersero le problematiche ambientali, assenti mentre operava la Costituente, non fu cambiata la Costituzione, ma creata al massimo livello (la Corte), e in via puramente interpretativa, una nozione costituzionale di ambiente che è forse la più avanzata del mondo. Un altro punto dubbio delle formulazioni ministeriali è dove si parla di “patrimoni materiali e immateriali”. Spero che in sede di insegnamento si sappia ben distinguere: è giusto infatti tutelare gli uni e gli altri, ma in forme diverse. Un esempio: ottimo tutelare i dialetti, ma se in una famiglia si decide di non parlare calabrese o lombardo, ma italiano o spagnolo, nessuno può pensare di mandare i carabinieri a imporre l’uso del dialetto. Viceversa, se quella stessa famiglia abita in un palazzo storico e lo vuole distruggere o sopraelevare, o esportarne e venderne, che so, quadri o arredi di grande valore storico, allora deve scattare una tutela materiale di tutt’altre procedure e spessore. Ci vogliono le Soprintendenze, ci vogliono (qui sì) i Carabinieri”.
In un suo scritto (“Paesaggio, Costituzione, Cemento”, Einaudi 2010) pensava con malinconia agli studenti di oggi che non hanno nessun paesaggio su cui fantasticare… È quello che, in maniera sensibilmente più colorita, sostiene anche la scrittrice Daniela Ranieri nel romanzo “Mille esempi di cani smarriti” (Ponte alle Grazie 2015) mimando lo sforzo di uno dei protagonisti ad abbracciare un paesaggio inesistente da un terrazzo di Roma: “Si ferma a strizzare gli occhi miopi verso nord, sopra la collinetta edificata di Fidene, oltre i tralicci dell’alta velocità, dove indovina i pressi di Settebagni e la nuova campagna di cemento armato trivellato dalla sterpaglia […]. Qualcuno ha il coraggio di chiamarlo paesaggio: sì certo… prendi uno sfondo di Leonardo e dagli la 220 e spargici il sale e pisciaci sopra e sacrificaci dieci cristiani e chiama i cani a leccarne il sangue e ecco, forse allora c’hai il paesaggio intorno a Roma” (p. 45). Cosa pensa di questo accostamento?
“Rispondo citando la mia definizione di ‘paesaggio’, pubblicata nel “Dizionario della lingua italiana” (Zingarelli) a partire dall’edizione 2014 (pag. 1594): «Paesaggio è l’equilibrio fra natura e cultura. Fra spiagge, monti, colline, pianure come furono un tempo e come sono ora, popolati di città, di villaggi, di cascine. Ogni paesaggio ha la sua storia: fatta di creatività e di distruzioni (guerre, terremoti, barbarie); di meraviglie e di errori. Questa diversità rispecchia quel che siamo (come il volto di ciascuno è ‘lo specchio dell’anima’): perciò ognuno ha il paesaggio che si merita. L’Italia fu il ‘giardino d’Europa’, dove «l’architettura è una seconda natura, indirizzata a fini civili» (Goethe). Prima al mondo, ha posto la tutela del paesaggio tra i suoi principi fondamentali (Costituzione, art. 9). Ma a questi valori siamo sempre meno fedeli. Quale paesaggio lasceremo alle generazioni future?»”.
In molti suoi interventi ha ribadito, infatti, che la difesa del paesaggio e dell’ambiente devono essere attuate a partire dal dettato costituzionale, dal momento che all’interno di esso è stato enunciato chiaramente anche il principio che i beni naturali e paesaggistici non appartengono solo a chi risiede in un determinato territorio, ma alla Nazione intera, se non alla società umana nel suo complesso. Pensa che l’azione dei docenti dovrebbe risultare incisiva su questo punto?
“La scuola è il maggior presidio contro il degrado delle coscienze. E gli insegnanti sono, o dovrebbero essere, a guardia dei valori costituzionali. Primo punto perché ciò avvenga, la consapevolezza che per tramandare dei valori bisogna conoscerli intimamente”.
Ha più volte sottolineato il debito che l’attuale legislazione dei Beni Culturali e l’art. 9 della nostra Costituzione hanno nei confronti delle costituzioni preunitarie, degli statuti medievali, fino ad arrivare al diritto romano con il concetto di bene comune, di publica utilitas, cioè quell’idea che i diritti del privato vadano limitati se entrano in conflitto con quelli della cittadinanza nel suo insieme. Quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra questa matrice ideologica e il movimento ambientalista che si sta affermando su scala globale?
“Il nesso fra l’antica publica utilitas e i più avvertiti movimenti sui beni comuni è, a mio avviso, strettissimo, come ho cercato di dimostrare pochi anni fa in un mio libro Einaudi (“Azione popolare. Cittadini per il bene comune”). Ma anche qui non posso che raccomandare l’accuratezza e la precisione: troppe varianti si sono viste negli ultimi anni sullo stesso concetto di ‘beni comuni’, e di quelle varianti alcune sono difformi dalla Costituzione. Occorre trasmettere sì questi valori, ma in maniera informata e perciò tanto più ferma”.
È spesso entrato in polemica con la mania cabalistica che prova a quantificare il numero di siti e beni storico-artistici dell’Italia, dicendo che la cosa di cui andare veramente fieri è piuttosto la tradizione secolare di tutela che ha permesso al nostro patrimonio di essere così abbondante e diffuso. Perché è fondamentale che questa consapevolezza non sia legata esclusivamente a un’idea di profitto economico, ma piuttosto radicata in una visione etica?
“Una statistica universale del patrimonio culturale del globo non solo non esiste, ma è sostanzialmente impraticabile. Perciò chi favoleggia che l’Italia avrebbe il 70%, o il 50%, o che so io, del patrimonio artistico mondiale sta vaneggiando. Tuttavia, la singolare densità, capillarità, rilevanza del patrimonio archeologico, paesaggistico, artistico d’Italia è universalmente riconosciuta. Ma si tratta di una consapevolezza che, nella storia d’Italia dai Comuni in qua (con significativi antefatti giuridici nell’Impero romano), si è sempre accompagnata a misure di tutela, come nel famoso Costituto di Siena del 1309, dove si assegna al governo della città il compito primario di salvaguardarne la bellezza. Tutelare la propria memoria culturale significa prendere coscienza di sé non solo come individui, ma in quanto comunità. E ha come conseguenza non una vuota fierezza, ma un senso di civismo e di solidarietà (parola ricorrente nella Costituzione) che genera forza morale, coesione sociale, produttività economica. L’Educazione Civica dovrebbe saper trasmettere anche questo”.
Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, ha diretto il Getty Research Institute di Los Angeles e la Scuola Normale Superiore di Pisa. È stato, inoltre, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali (2007-2009) e membro fondatore di European Research Council (2005-2011). Dal 2010 presiede il Consiglio Scientifico del Louvre. E’ membro anche dell’Accademia dei Lincei, delle Accademie di Francia, di Berlino, di Baviera e del Belgio, dell’American Philosophical Society di Philadelphia e dell’American Academy of Arts and Sciences.
Tra gli innumerevoli scritti dedicati alla difesa dell’ambiente e alla battaglia contro il degrado civile, ricordiamo “Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale”, 2002; “Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile”, “Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla”, 2016; “Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili”, 2017; “Cieli d’Europa. Cultura, creatività, uguaglianza”, 2017.