Quale nuovo modello di scuola dopo l’emergenza sanitaria determinata dal Covid-19? Lettera

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Inviato da Massimo Paníco e Federica Rorato – L’emergenza Covid-19 ha posto il mondo civilizzato di fronte a prove inaspettate e scelte dolorose, come quella di privilegiare il diritto alla salute rispetto al diritto al lavoro; entrambi diritti costituzionalmente garantiti in Italia ma, alla luce delle scelte del governo, di rango evidentemente diverso.

I decreti urgenti del governo hanno contratto anche altre libertà costituzionali, quali il diritto ai liberi spostamenti e il diritto all’ istruzione, sia pur nella sua forma in presenza, trasferendolo su piattaforme a distanza.
Dal 4 maggio poi, pur essendo ancora in presenza di un elevato livello di contagiosità del virus, il governo ha deciso di rimettere in moto le fabbriche, il sistema produttivo e le attività commerciali di questo Paese.

Tutti comprendiamo bene che si è trattato di una scelta dettata da una crisi economica derivante da quasi due mesi di lockdown. Una scelta quasi obbligata per non correre il rischio di morire di “crisi economica” oltre che a causa del Covid.
Fin qui potremmo essere tutti d’accordo nel riconoscere il carattere di buon senso nelle scelte del governo. Quando però si sentono proposte come quella diffusa da parte del ministro dell’Istruzione di riaprire le scuole dal mese di settembre, molti dubbi e domande si affollano nella testa: quanti saranno a settembre, dopo circa quattro mesi di nuova circolazione, i nuovi contagi? Ma, soprattutto, quanti fra i contagiati saranno asintomatici? Come si può pensare di riaprire le scuole, luoghi ad “altissima densità sociale” e quindi privilegiati per la propagazione delle epidemie? È stato realizzato uno studio epidemiologico di settore? Eventualmente, cosa ha stabilito?
Il virus, infatti, come poi è risultato chiaramente, circola da molto prima del cosiddetto paziente 0. Non sappiamo dunque quanti, tra docenti alunni e personale della scuola, si siano potuti contagiare finora, né sappiamo quanti di loro potrebbero ancora risultare positivi a settembre, soprattutto in forma asintomatica.

Le evidenze scientifiche hanno messo in luce molto bene come ancora a distanza di numerose settimane si possa risultare positivi al virus. Le stesse hanno anche evidenziato casi di reinfezioni a distanza di mesi dalla guarigione.
Sappiamo bene che i bambini nella fascia 3-10 anni sono difficilmente controllabili nel rispetto delle rigide norme igieniche, nell’ uso dei dispositivi di protezione individuale e nel distanziamento interpersonale, necessari per una eventuale frequentazione in presenza della scuola a settembre.
Sappiamo bene come queste regole siano di difficile gestione anche nella fascia di età 11-13.
Proprio a causa dell’impossibilità del rispetto di tali norme, nella più rosea delle previsioni, al di là del possibile contagio di massa, ci potremmo ritrovare con una lunga lista di docenti, dirigenti scolastici e personale di sorveglianza nelle scuole, sottoposti a contenziosi legali e provvedimenti disciplinari di diverso grado.

In questi due mesi di totale lockdown, la scuola si è riorganizzata e gli insegnanti hanno fronteggiato con senso di responsabilità il momento di crisi, reinventandosi e reinventando nuove modalità per mantenere vivo il rapporto con gli alunni e portare avanti la progettazione didattica, affrontando grandi difficoltà
organizzative. Adeguandosi dunque ad una didattica a distanza, hanno cercato in ogni modo di superare il rischio di proporre una didattica “distante”.

I tagli alla scuola pubblica degli ultimi decenni, le condizioni critiche dal punto di vista edilizio ed il sovraffollamento delle classi, hanno già fortemente minato le scuole rendendole spesso incapaci di garantire la sicurezza già in condizioni di normalità.
È evidente che, a maggior ragione, la sicurezza non potrà essere garantita in costanza di Covid 19. Del resto il TU per la sicurezza nei luoghi di lavoro per la scuola, non prevede un “caso pandemia”. L’INAIL, descrive l’emergenza come la “manifestazione di un evento, ovvero di una condizione critica improvvisa che genera un pericolo immediato e che, per le caratteristiche del contesto, non può essere evitato pertanto deve essere gestito attraverso interventi immediati, eccezionali ed urgenti per riportare il contesto alla normalità”.

Nel nostro caso, ci troviamo di fronte ad un evento niente affatto improvviso, perché lo conosciamo e lo fronteggiamo ormai da mesi; inoltre il pericolo è sì grave, ma per niente immediato e, per le caratteristiche del contesto, non può essere evitato.
La differenza fondamentale è che noi ci troviamo già in una condizione di “fuori pericolo” rispetto al contesto in quanto attualmente fuori dalla scuola e, il pericolo lo possiamo evitare semplicemente rimanendo al di fuori di essa. Riaprire le scuole sarebbe infatti come aspettare fuori che divampi l’incendio ed entrare per gettarsi tra le fiamme; o attendere il terremoto per farsi seppellire dalle macerie!
Poiché dunque il caso pandemia non è normato dalle leggi sulla sicurezza nella scuola ora, come a settembre, tornare nelle aule rischierebbe di farci trovare completamente scoperti rispetto alle attuali norme sulla sicurezza.

Ciò che è chiaro, senza ombra di dubbio, è il fatto che da questa esperienza emergenziale è scaturita e si è affermata con forza una regola giuridico-costituzionale, ossia che il valore costituzionale (art. 32, co.1 Cost.) “salute-ambiente” prevale su ogni altro valore costituzionale. Pertanto non ha senso in questo caso il tentativo di bilanciare il diritto costituzionale all’istruzione con il diritto alla salute, poiché il diritto alla salute prevale su tutti gli altri, in quanto naturalmente connesso con il diritto alla vita che è il bene supremo.
Per tutte le argomentazioni fin qui elencate stupisce come, anche se tra molte polemiche e proteste, il governo abbia fin qui tenuto questo punto con forza e come invece ultimamente, avanzando l’ipotesi di riaprire le scuole a settembre, dia prova di tutt’altro orientamento.
Per quanto riguarda gli aspetti della tutela dei lavoratori, la priorità in questo momento non ci sembra essere la difesa della libertà di insegnamento (che la didattica a distanza non ha di fatto messo in discussione), nè la questione senza dubbio importante dell’ assunzione dei precari (che potrebbe trovare il suo punto di forza tra le proposte alla fine del documento). A chi scrive appare invece urgente e prioritario, in questo momento, garantire il diritto alla salute nei luoghi di lavoro a utenti e lavoratori e questo coincide a nostro avviso, ora come a settembre, con la sola scelta, questa si di vero buon senso, di mantenere una didattica a distanza.

In ogni caso, nella malaugurata ipotesi che il governo voglia proseguire nell’intento di riaprire le scuole a settembre, bisognerà mettere in conto che in tale condizione di pericolo permanente gli alunni debbono essere paragonati a lavoratori e le singole scuole dovranno dotarsi di un medico competente e mettere in atto la sorveglianza sanitaria che dovrà garantire il monitoraggio della temperatura di ogni soggetto in
ingresso e sottoporre a test sierologico periodico tutta la popolazione scolastica e, naturalmente, distribuire adeguati dispositivi di protezione individuale ad utenti e lavoratori. Tutto ciò naturalmente sarà sotto la responsabilità penale dei dirigenti scolastici. Questo se si vuole rispettare le norme attuali sulla sicurezza nella scuola nello spirito e nella lettera. Se poi si vorranno predisporre piani e protocolli incerti, confusi e pasticciati, tanto per riaprire, lo si dica scrollandosi di dosso qualsiasi forma di ipocrisia perché sarebbe più onesto e rispettoso nei confronti di tutti i soggetti coinvolti.

Stando poi alle simulazioni che per ora si ipotizzano soltanto, ma che in 12 scuole piemontesi sono in fase di beta test, le distanze tra i banchi, e quindi tra gli studenti, variano da 1 a 3 metri permettendo nella migliore delle ipotesi almeno 16 studenti per classe, nella peggiore (quella dei 3 metri) solo 7/8 alunni per aula, calcolati su una superficie di 35 mq. Secondo le indicazioni del Politecnico di Torino nello scenario più roseo le classi a scuola andranno dimezzate. Per le medie e le superiori si stanno considerando i turni: intera classe a scuola, se pur separata in aule diverse, e poi classe a casa con la didattica a distanza. In un’altra scuola dove si stanno svolgendo le simulazioni, il liceo classico Alfieri di Torino, si sta ipotizzando una soluzione che preveda la classe divisa a metà con il 50% degli studenti in presenza e l’altro 50% a casa in video lezione. I docenti però, dovranno barcamenarsi con lezioni dal vivo e al tempo stesso a distanza. Dovranno essere, poi, predisposte più webcam in grado di inquadrare sia l’insegnante che la lavagna. Sarà necessaria soprattutto una connessione internet a banda larga che non è presente in tutte le scuole. In base a queste linea guida saranno necessariamente i dirigenti scolastici delle singole scuole a decidere il modello e ad adattarlo alle specifiche situazioni ambientali. Si capisce bene come si correrà il rischio di disegnare una babele di realtà profondamente diverse su tutto il territorio nazionale con un conseguente rischio elevatissimo di contenzioso dovuto alla eccessiva necessaria discrezionalità di ogni specifica realtà.

E’ un mistero come il governo possa pensare di fare tutto ciò e non è chiaro con quali risorse. A tal proposito ci si domanda se sia stato effettuato un calcolo costi-benefici.
Certamente sarà necessario aprire una seria riflessione sugli ambienti scolastici e sul loro affollamento, ma ci pare che questo richieda condizioni, tempi e investimenti mirati, che appare difficile sviluppare in pochi mesi. Occorre un progetto ampio e articolato che investa sull’ambiente e sullo spazio-scuola in termini di edilizia scolastica, di arredi, di figure professionali di supporto (medico, psicopedagogista) necessarie, di dotazioni tecnologiche e del giusto numero di alunni e docenti per classe. Un simile progetto necessita poi di essere inquadrato nella cornice delle necessità formative e di cura della persona in tutti i suoi aspetti, richieste da una società complessa come quella nella quale viviamo. In una simile ottica l’aspetto della tutela della salute, come l’emergenza che stiamo vivendo ci ha dimostrato, occupa senza dubbio un posto di primo piano.
Alla luce di tutte queste considerazioni crediamo che la responsabilità professionale e il rispetto, profondamente sentito dai lavoratori della scuola, dei diritti degli utenti e delle loro famiglie non deve far commettere l’errore di assumere responsabilità e rischi che non competono a nessuna figura professionale che opera nella scuola.

Siamo consapevoli che la diversa forma del fare scuola a distanza non può e non deve sostituire quella in presenza. Sappiamo anche però che questa è una situazione transitoria che durerà ancora per alcuni mesi, ma che dovrà necessariamente finire perché questo virus sarà sconfitto con cure efficaci o con un vaccino.
A tutti coloro che avanzano teorie sui disastri derivanti dalla mancanza dell’esperienza sociale, ricordiamo che nessun bambino è stato posto in isolamento individuale; ricordiamo inoltre che la scuola è una comunità educante, in cui la famiglia svolge un ruolo importante. Dunque, fino ad un possibile ritorno alla normalità, cascuna famiglia può, man mano che le condizioni lo consentiranno, offrire situazioni
“controllate” di esperienza sociale ai propri figli, facendogli frequentare singoli o pochi coetanei in ambienti che consentano il necessario distanziamento interpersonale.

Viene allora spontaneo domandarsi perché tanta fretta di riaprire le scuole, perché esporre studenti e lavoratori ad un così elevato rischio di propagazione del contagio; perché rischiare di pagare un prezzo alto in termini di sofferenze e vite umane? Non vorremmo che la risposta “inconfessabile” fosse che lo si deve fare perché altrimenti “i genitori non sanno a chi affidare i loro figli per recarsi al lavoro”!
Se così fosse vorrebbe dire che ai lavoratori della scuola non è ancora riconosciuta la fondamentale funzione formativa ed educativa. Se così fosse vorrebbe dire che i lavoratori della scuola sono considerati una categoria “sacrificabile”, ridotta ad una funzione assistenziale e di ammortizzatore sociale.
È giunto il momento di rivendicare il ruolo educativo, formativo e culturale della Scuola, valorizzandone l’alto carattere “produttivo” e di arricchimento per la Società.

I lavoratori della scuola appartengono a quel 12% di contribuenti italiani che paga il 58% delle tasse sul reddito. Le pagano integralmente in quanto trattenute alla fonte e sostengono così gran parte dell’Irpef. Al contrario l’Iva che grava soprattutto sul lavoro autonomo è la tassa più evasa d’Italia. E questo più o meno è noto da anni, anche se mai assimilato dalla politica e dalla pubblica opinione che troppo spesso lamentano una esasperata tassazione in generale. Rivendichiamo dunque il fatto che gli operatori scolastici con il loro lavoro “producono” anch’essi e pagano le tasse. Certo non producono oggetti materiali ma qualcosa di carattere immateriale, non di meno molto più importante di qualsiasi bene materiale: essi concorrono alla formazione armonica dei futuri cittadini di questo paese. Se poi questo lo fanno in smartworking per un limitato periodo di tempo, non per questo il lavoro che svolgono assume meno valore.

Arriviamo dunque alle proposte.

Invitiamo il Governo, le Istituzioni scolastiche, le Associazioni di categoria e le Organizzazioni sindacali a lavorare per porre la Scuola al centro di un nuovo modello di società che sta nascendo sotto la spinta dell’emergenza sanitaria e che dovrà necessariamente svilupparsi attraverso una serie di interventi così declinati:

1. Cura degli ambienti scolastici mediante seri e consistenti finanziamenti finalizzati ad interventi di carattere edilizio e anche infrastrutturale (quali ad esempio arredi e corredi scolastici);

2. Finanziamento ed immediata attuazione di un progetto strutturale per la scuola, che preveda al
suo interno la presenza permanente di figure professionali di supporto quali medici competenti e psicopedagogisti, che curino il benessere della popolazione scolastica in una dimensione integrata degli aspetti sanitari ed esistenziali della persona;

3. Assorbimento del personale precario fino alla formazione di classi con un numero massimo di alunni pari a 12 e quindi immediata riorganizzazione delle classi già formate in misura “extra- soglia”;

4. Norme di sicurezza chiare e precise che chiariscano in modo inequivocabile che in caso di epidemia
o pandemia la scuola funzioni esclusivamente a distanza, fino a risoluzione del problema sanitario;

5. Investimenti strutturali per dotare gli utenti di device idonei e reti dedicate alla didattica a distanza;

6. Fornitura di servizi di assistenza tecnica nell’uso dei device e delle piattaforme dedicate alla
didattica a distanza; 7. Servizi e fondi di supporto alle famiglie, inclusi congedi parentali ad hoc, per risolvere il problema dell’affidamento dei propri figli quando i genitori sono al lavoro e qualora la scuola funzioni solo a distanza.

Soltanto seguendo un simile percorso la scuola potrà, a nostro avviso, sviluppare gli anticorpi nei confronti di qualsiasi futura pandemia. Solo così potrà rispondere compiutamente alle caratteristiche che la nostra Costituzione, direttamente o indirettamente le chiede di garantire: inclusività, pari opportunità e certezza della qualità del servizio.

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