Quale il domani degli insegnanti precari? Lettera

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Vincenzo D’Avanzo  – Con questo mio scritto, non voglio risultare originale, voglio essere come tutti, come tutti gli insegnanti che inizialmente non volevano fare questo mestiere, ma che poi si sono ritrovati insegnanti quasi per caso… Quando da piccolo mi chiedevano che lavoro volessi fare da grande, come molti, non ho mai risposto l’insegnante, perché non era nei miei progetti futuri.

Sono un dottore in scienze dell’informazione; ho un’attività in proprio e mi occupo ormai da anni di consulenza informatica, realizzazione siti e applicazioni web. Insomma faccio un lavoro che amo, forse il lavoro che inconsciamente ho sempre sognato di fare!

Poi, per caso, mi sono ritrovato anche insegnante e anche questo lavoro mi piace molto. Quando entro in aula per fare lezione e parlo ai miei allievi, faccio loro domande e loro mi rispondono, e poi mi fanno domande, tutta la mia conoscenza informatica acquista un senso reale, pieno, compiuto. Trasmetto loro tutto quello che so sulla mia disciplina e ciò mi fa sentire utile e mi rende felice e soddisfatto. Non pensavo che insegnare fosse così, quando non pensavo di fare l’insegnante nella vita…

Ormai sono quasi 20 anni… Ho iniziato per caso. Il mio trampolino di lancio è stata un’emergenza formativa rivolta a ex dipendenti in cassa integrazione di una struttura sanitaria. Sostenuto il
colloquio, andato bene, ho iniziato a formare. Non è stato facile! Ero giovane e non avevo nessuna esperienza nel campo dell’insegnamento. Venivo da tutt’altro mondo… Pochi docenti per tanti
discenti ormai avanti negli anni, che non avevano voglia di imparare e di migliorarsi. Ad una certa età si perde l’entusiasmo e molti erano lì solo per necessità: non perdere l’indennità di
disoccupazione.

Nonostante le difficoltà, i sacrifici e i problemi legati alla mia capacità di adattamento ad un contesto completamente nuovo, questa esperienza è stata un successo. Conservo ancora la lettera
di ringraziamento di un corsista! Questa è stata la prima di una lunga serie di esperienze nel mondo della formazione.

Successivamente è arrivata la formazione professionale, meglio conosciuta come obbligo formativo: un’altra grande avventura! Anche qui ragazzi con nessuna voglia di studiare, obbligati a
frequentare la scuola fino al raggiungimento del sedicesimo anno di età, molti con situazioni socio- economiche disagiate alle spalle, ognuno con una storia diversa. Sono stati anni meravigliosi: ho incontrato colleghi fantastici e alunni che non dimenticherò mai. Non sono mancate, anche nell’obbligo formativo, lettere di ringraziamento e tante lacrime quando ci siamo salutati…

Poi, in contemporanea ai corsi di formazione professionale, sono arrivati i PON, in scuole di ogni ordine e grado. Ho insegnato informatica a docenti di ruolo, a bambini, adulti e ragazzi di scuole secondarie di primo e secondo grado. Praticamente a tutti!

Grazie a tutte queste esperienze, ho avuto la fortuna di conoscere tante persone, colleghi e alunni, che mi hanno arricchito professionalmente, ma che mi hanno lasciato tanto a livello umano e
personale, contribuendo a formare la persona che sono oggi, perché la vita non ti dà le persone che vuoi, ti dà le persone di cui hai bisogno… Al termine di queste lunghe esperienze, ne sono
uscito arricchito molto più di quanto avessi potuto immaginare e sono stati gli stessi miei alunni ad insegnarmi più di quanto io abbia fatto con loro.

Grazie a queste esperienze, ho scoperto che mi piaceva insegnare, ma inizialmente non pensavo a specializzarmi per poter rendere questo mio nuovo lavoro più stabile ed entrare un giorno di
ruolo. Questo apparentemente non mi interessava… L’importante era lavorare. Lavoravo tanto, forse talmente tanto da non avere nemmeno il tempo di fermarmi a riflettere e a pensare a come
lavorare in maniera più assidua nel mondo della scuola. Non mi interessava la SISS prima, il TFA dopo o qualsiasi altra abilitazione presa all’estero… Quello che avevo in fondo mi bastava!
Conoscevo sempre nuove scuole, nuovi colleghi e facevo costantemente nuove esperienze.

Poi mi sono inserito nelle graduatorie di circolo e d’istituto, le cosiddette graduatorie di terza fascia, e subito sono arrivate le supplenze, prima brevi e poi annuali, prima di poche ore e poi su
orario completo. Queste sono state davvero importanti nella mia carriera: hanno contribuito tantissimo a formare la mia metodologia didattica e il mio modus operandi. Si è trattato di un’esperienza fondamentale per la mia crescita professionale e per una più profonda comprensione del sostrato propriamente umano che ogni docente deve possedere per svolgere al
meglio il proprio lavoro. Con le supplenze qualcosa è cambiato in me, nel mio modo di pensare la scuola. Ad un certo punto nella vita qualcosa cambia: si sente l’esigenza di mettere radici da
qualche parte, si cerca un nido, una scuola dove fermarsi per mettere a disposizione degli altri tutta l’esperienza passata. Si inizia ad essere stanchi di cambiare scuola tutti gli anni; si cerca un
po’ di stabilità!

Lo scorso anno, poi, mi è capitato di insegnare, sempre come precario, nella stessa scuola in cui mi sono diplomato, un istituto all’avanguardia, dove tutto funziona a meraviglia. Gli alunni sono volenterosi, con tanta voglia di imparare e di allargare i propri orizzonti culturali. Si tratta di ragazzi che ogni giorno danno grandi soddisfazioni.

Ecco che inaspettatamente arriva la pandemia, con la DAD, e il concorso straordinario. Mi sento finalmente pronto per il salto di qualità. Nonostante i tanti impegni lavorativi e non, studio tanto, mi preparo avvalendomi della collaborazione di un gruppo di colleghi come facevo all’università. Tutti insieme andiamo a sostenere la prova. Cinque domande anomale per una prova di concorso e argomenti tutto sommato semplici e poi le UDA da organizzare e renderle fruibili in 20 minuti. Assurdo! Nessun libro di testo propone UDA da 20 minuti!

Svolgo la mia prova, rispondendo a tutte le domande. Scrivo senza mai fermarmi per due ore e mezza… Sostengo la prova ad ottobre con tutte le difficoltà legate alla situazione che stiamo vivendo. La pubblicazione dei risultati arriva il 15 marzo scorso. Solo 18 candidati su 60 hanno superato!!! Per un concorso straordinario, pensato e organizzato per immettere in ruolo docenti precari che ormai lavorano da anni nel mondo della scuola è assurdo ritrovarsi fuori dai giochi dopo tanta esperienza e formazione avvenuta direttamente sul campo, dopo tanti sacrifici e tanta dedizione!

Praticamente 42 candidati, tra cui io e alcuni miei carissimi amici di studio, non siamo risultati idonei per il ruolo. Per lo Stato non siamo capaci di insegnare!!!

Eppure ogni giorno ricevo gratificazioni dagli alunni; messaggi di complimenti e di ringraziamento, non solo dai ragazzi, ma anche da parte del dirigente e dei genitori per il lavoro svolto
quotidianamente. Ho lavorato e continuo a lavorare con dedizione, senza mai avere un secondo fine, senza mai pensare che qualcuno mi avrebbe fatto i complimenti, ma solamente per me e
soprattutto per i miei studenti.

La formazione professionale, nel frattempo, è andata avanti. Gli enti di formazione hanno continuato a contattarmi e continuano a cercarmi per la mia professionalità. Così continuo a
svolgere anche formazione professionale e non solo! Continuo a vincere bandi: mi chiamano come esperto, pagandomi 70 € per ogni ora di docenza. Eppure per lo Stato non vado bene: non sono capace come insegnante!!! È una vergogna! Tanta rabbia e tanta amarezza per una situazione davvero paradossale!

Non è possibile dopo tanti anni passati ad insegnare, dopo tanti anni di esperienza appresa direttamente sul campo, senza nessuna formazione precedente, sostenere un concorso per
dimostrare ancora di avere le competenze giuste per insegnare. E se invece noi possedessimo già queste competenze? Non sarebbe meglio darci la possibilità di dimostrare le nostre capacità direttamente in classe?

Nella formazione professionale o privata la bravura di un docente è valutata dagli alunni, che sono chiamati direttamente ad esprimere un proprio giudizio sull’operato dell’insegnante. A questo si aggiungono le considerazioni dei colleghi. Nella scuola pubblica, invece, ci sono i concorsi. La capacità e la competenza di un insegnante, la sua bravura, sono la sintesi di una prova, costituita da cinque domande a risposta aperta, da svolgere nell’arco di due ore e trenta minuti…Puntualmente, il risultato è che a superare sono in pochi, ma questo non significa che tutti gli altri siano docenti incapaci… Lo sappiamo, funziona così!

Nella scatola dei nostri ricordi, tutti custodiamo la memoria del professore bravo, che ci ha insegnato molto, che ha lasciato un segno nella nostra vita e del professore, diciamo così meno
bravo, quello, nelle cui ore si rideva e non si studiava… Tutti noi insegnanti ogni giorno ci confrontiamo con colleghi bravi e in gamba e con colleghi meno bravi, che, a volte, ironia della
sorte, sono anche di ruolo… Ci confrontiamo, interagiamo con tutti, bravi e meno bravi.

Percepiamo l’inadeguatezza dei meno bravi, la sentiamo, la percepiscono anche gli alunni che ne parlano apertamente, perché i ragazzi sono i migliori giudici e i migliori esaminatori, quando si tratta di valutare le capacità, la professionalità e la competenza dei loro insegnanti! Ma, ahimè il loro giudizio vale poco! Questi insegnanti hanno vinto un concorso che li ha decretati capaci di insegnare, noi precari no!

Credo che un concorso non sia pienamente meritocratico: non sancisce la bravura di un insegnante! La bravura di un insegnante va valutata direttamente sul campo! Inoltre, credo che la valutazione degli insegnanti attuata dagli alunni sia rivelazione di un sistema scolastico innovativo ed equilibrato che dia spazio agli studenti stessi, dando loro la possibilità di esprimersi in merito alle lezioni e che valorizzi quei docenti che quotidianamente, con il loro lavoro, danno prova d’impegno e di voglia di trasmettere conoscenze e competenze, che sono i principi fondanti del nostro sistema educativo.

Non sarebbe meglio un percorso abilitante ad hoc che formi sul serio il futuro insegnante e che vada a valorizzare anche l’esperienza acquisita sul campo, per tutti quelli che già da tempo insegnano? La formazione in itinere dovrebbe essere la regola per tutti (docenti di ruolo e precari) e non dovrebbe mancare mai, perché nella vita non si smette mai di imparare! Ma allo stesso
tempo servirebbe una valutazione da parte dei discenti. Sono loro i veri fruitori del nostro modus operandi e solo loro hanno la percezione del nostro lavoro e di come lo svolgiamo.

La scuola italiana ha bisogno di nuova linfa che restituisca, in senso assoluto, centralità e continuità alla figura del docente e che operi anche per mettere fine alla precarietà con interventi
ad hoc. Purtroppo le varie riforme che si sono via via susseguite nel tempo non hanno giovato alla scuola: hanno leso la libertà individuale e la consapevolezza dei diritti di tanti docenti precari, che hanno la stessa dignità di tutti gli altri lavoratori.

I docenti precari hanno diritto, al pari degli altri, ad una stabilizzazione che sicuramente permetterebbe di dare ai ragazzi quella continuità didattica di cui hanno assoluto bisogno.

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