Può un genitore portare a casa il cibo della mensa scolastica?

La questione del consumo o meno del cibo nei locali della mensa scolastica continua a fare discutere ed essere problematica.
Ad oggi l’attenzione si è principalmente focalizzata sulla questione relativa al portarsi da casa il cibo da consumare in mensa, e non il caso contrario. Cerchiamo succintamente di analizzare entrambe le fattispecie.
Legittimo consumare il cibo portato da casa, in mensa
Sembrava che la Cassazione Sezioni Unite con sentenza n. 20504/2019 avesse messo fine alla questione del consumo del cibo portato da casa nella mensa scolastica. Così si pronunciava nella sua massima di diritto:
“il principio secondo cui un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado”.
Ma le cose non stanno proprio così. Per ultimo, una sentenza del TAR Lazio del 25 ottobre 2019 N. 06918/2019 REG.PROV.CAU. N. 11834/2019 REG.RIC ha così affermato: “Ritenuto che il ricorso appare assistito da elementi di fumus boni iuris avuto riguardo ai precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato sent. n. 5156/2018, Tar Lazio Sez III Bis ord. 5305/2019) che hanno riconosciuto il diritto degli alunni di consumare presso il locale refettorio della scuola il cibo portato da casa nelle scuole nelle quali è istituto il servizio di refezione scolastica”.
Dunque, si continua a fare riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5156 del 3 settembre 2018. Sentenza che trattava il caso del Comune di Benevento che ha previsto l’obbligatorietà, per tutti gli alunni delle scuole materne ed elementari, del servizio di ristorazione scolastica, stabilendo altresì che nei locali in cui si svolge la refezione scolastica non è consentito consumare cibi diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio. Ciò sul presupposto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico sanitario”. Il divieto di consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica, introdotto con tale regolamento, era immediatamente operativo: ed incideva di per sé, in senso manifestamente limitativo nella sfera giuridica dei ricorrenti, come si legge nella sentenza ed era, come tale, idoneo ad arrecare agli stessi una lesione attuale e diretta: vuoi nella qualità di legali rappresentanti (art. 320 Cod. civ.) dei minori immediatamente toccati, quali alunni, dalla disposizione; vuoi nella qualità propria di genitori, come tali titolari della primaria funzione educativa ed alimentare nei confronti dei figli e non solo dell’inerente formale obbligazione (art. 433, n. 3), Cod. civ.) Per i giudici, Da un altro lato, per ciò che concerne la proporzionalità e la necessità della misura, occorre rilevare che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.
Sul diritto alla mensa
L’istruzione pubblica inferiore è obbligatoria e gratuita e comprende il diritto di fruire delle attività scolastiche che si svolgono nel pomeriggio, nel caso in cui sia attivato il cd. tempo pieno e/o prolungato, e se il cd. “tempo mensa” costituisce un momento importante di condivisione e socializzazione che rientra nell’orario scolastico annuale (cd. “tempo scuola”) definito dalla legge (è citato il D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89, art. 5, con riguardo all’istruzione secondaria di primo grado, cui può aggiungersi il D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 130, comma 2, lett. b). Come dai più è stato osservato da ciò discenderebbe allora -secondo questa tesi – il diritto degli alunni di portare cibi da casa e consumarli a scuola, senza costringerli a usufruire del servizio di mensa scolastica da essa erogato, il quale altrimenti da facoltativo, attivabile a domanda individuale, quale è (cfr. D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 63, art. 6), diventerebbe obbligatorio. L’effetto sarebbe di costringere gli alunni a rinunciare ai contenuti educativi dell’offerta formativa scolastica connessa all’opzione “tempo pieno” o “prolungato”, con violazione anche del principio di gratuità dell’istruzione inferiore. Si assume però anche la non coincidenza del “tempo mensa” con il servizio di mensa scolastica, al quale non potrebbe attribuirsi alcuna funzione pedagogica, diversamente -secondo quanto si può intuire -dal “tempo scuola” cui sarebbe inerente invece la libertà alimentare individuale, non attuabile efficacemente se si costringessero i genitori a prelevare (o fare uscire) i figli da scuola durante l’orario della mensa scolastica e a riaccompagnarli a scuola nel pomeriggio (si parla di “disagio logistico”). Nelle Linee di indirizzo rivolte agli enti gestori di mense scolastiche, aziendali,ospedaliere, sociali e di comunità, al fine di prevenire e ridurre lo spreco connesso alla somministrazione degli alimenti” del 2018 si legge: La ristorazione scolastica italiana si basa sulla applicazione di Linee Guida e Direttive Regionali che fanno riferimento alle Linee di indirizzo nazionali per la ristorazione scolastica del Ministero della Salute (2010), approvate in Conferenza Stato-Regioni e pubblicate in G.U. n. 134 dell’11 giugno 2010; nel documento sono definiti i ruoli di tutti i protagonisti del servizio (Comune, Gestore del servizio di ristorazione, Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN),Istituzioni scolastiche).
Si può portare il cibo dalla mensa scolastica, a casa?
La questione non è normata in modo tipizzato. Dipende cosa prevedono eventualmente i regolamenti sull’utilizzo della mensa. Nelle Linee di indirizzo rivolte agli enti gestori di mense scolastiche, aziendali, ospedaliere, sociali e di comunità, al fine di prevenire e ridurre lo spreco connesso alla somministrazione degli alimenti” del 2018 si scrive chiaramente che si deve “considerare la possibilità di utilizzare per la merenda del giorno dopo frutta, pane, budini (collocandoli in locali adeguati e coinvolgendo gli 10 insegnanti/alunni/personale ATA); ove non sia possibile conservarli a scuola, portarli a casa.”
Dunque viene riconosciuta la possibilità di portare a casa pane, e budini e frutta.
Il discorso è più complicato per il restante cibo. Il rapporto che si insatura tra utente e somministratore è di tipo contrattuale. Un rapporto contrattuale, però, in questo caso, atipico. Nel contratto di ristorazione in generale una parte, il ristoratore, si impegna a fornire all’altra parte, cliente, la somministrazione di pasti e bevande dietro il corrispettivo di un prezzo. Stesso principio vale per la mensa. Si registra la legittimità di portare a casa gli avanzi di un cibo, nel caso trattato dalla Cass., V sez. pen., sent. n. 29942/2014. Si legge: “Il ricorso coglie invece nel segno nella critica al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione, nonostante i giudici d’appello avessero ammesso che la condotta ingiuriosa addebitata costituisse l’effettiva e sostanzialmente immediata reazione ai disservizi subiti dal (OMISSIS) ed all’imposizione di regole (divieto di asportare i residui del cibo per costituire il cd. “doggy bag”, riempire la propria borraccia dalla bottiglia servita a tavola) non irragionevolmente ritenute pretestuose ed ingiuste dall’imputato.”
Quindi, può essere lecito, legittimo portare a casa il cibo non consumato o ciò che avanza dalla mensa. Ciò anche conformemente ai principi che vogliono il contrasto agli sprechi alimentari. Però, il tutto andrà analizzato caso per caso, anche perché la mensa non ha alcun obbligo ad oggi di mettere nelle condizioni l’utente di portarsi il cibo dalla mensa a casa, questo, ma è anche vero che nulla vieta che il cibo in questione possa essere dallo studente portato poi a casa. Chiaramente dovranno essere garantite tutte le misure igieniche del caso perché ciò possa venire a norma di legge. Si tratta di questioni che devono essere rimesse al buon senso tra le parti e spirito di collaborazione.
Il ruolo della Commissione mensa
Fondamentale è anche il processo di verifica qualità del cibo. Come è noto lL’attività di controllo nell’ambito del servizio di refezione scolastica assume particolare rilievo in considerazione della fascia d’età degli utenti del servizio medesimo. Di norma è L’Azienda Sanitaria Locale attraverso il personale del Servizio di Igiene Pubblica e Veterinario che garantisce istituzionalmente controlli sui centri di Cottura nei quali vengono prodotti i pasti; a tale tipo di controllo si aggiunge, nell’ambito di ogni singolo Centro di Cottura, il c.d. “Autocontrollo” secondo il metodo c.d. HACCP, previsto per legge. A questo poi si aggiungono le commissioni mensa., istituite a livello di circolo didattico, possono accedere ai refettori e ai centri di cottura per verificare l’andamento del servizio e segnalare difformità e/o fornire eventuali suggerimenti volti alla realizzazione di un servizio sempre più qualificato. La Commissione Mensa scolastica può essere istituita come prevede la casistica in questione anche internamente all’istituto scolastico e adottata in sede di Ente Locale. La Commissione Mensa scolastica segue di norma le direttive impartite dal Regolamento Comunale. Ed è anche in questa sede che si può disciplinare il trasporto del cibo dalla mensa, a casa e viceversa.
Si deve contrastare lo spreco alimentare
Ci si deve ricordare che in generale comunque si devono favorire i contatti tra Gestori mensa, Servizi Sociali del Comune e Enti caritatevoli; recuperare le eccedenze per attuare in rete le procedure igienico sanitarie di recupero e ridistribuzione in sicurezza dei pasti non consumati a soggetti bisognosi, facendo salvo il rispetto delle buone prassi in materia di salute e sicurezza alimentare e garantendo il mantenimento a idonea temperatura fino alla cessione, anche attraverso l’incentivazione dell’uso degli abbattitori. Così come è importante riciclare (p.e. compostaggio) tutto quanto non è stato possibile o prevenire o recuperare, gestendolo secondo procedure trasparenti e condivise per arrivare arrivare all’applicazione di modelli internazionali come ad esempio il modello Food recovery hierarchy dell’Environmental Protection Agency statunitense, come si legge nelle linee guida citate.