Prove Invalsi, Ricci: “La scuola reagisce, segnali positivi dopo la pandemia. Sulla dispersione scolastica occorre intervenire subito. Intelligenza artificiale? Sfida etica e pedagogica” [INTERVISTA]

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Negli ultimi anni, le prove INVALSI sono diventate un punto di riferimento per analizzare lo stato di salute del sistema scolastico. Ma come interpretare i dati emersi dalle rilevazioni? Quali spunti di riflessione offrono per migliorare l’apprendimento e garantire pari opportunità a tutti gli studenti?

Orizzonte Scuola intervista Roberto Ricci, presidente INVALSI, sui recenti dati delle prove nazionali, analizzando i segnali positivi, le sfide da affrontare e le prospettive future per un sistema educativo più equo e inclusivo. Dall’importanza della comprensione della lettura al ruolo dell’intelligenza artificiale nella valutazione, un dialogo approfondito sull’utilizzo consapevole dei dati per orientare le politiche educative.

Un’occasione preziosa per approfondire il ruolo (e il futuro) delle prove INVALSI.

Presidente Ricci, i dati Invalsi 2024 mostrano un’inversione di tendenza rispetto al passato, con un miglioramento dei risultati in alcune aree. A cosa attribuisce questa ripresa? Quali fattori hanno contribuito a questo cambio di rotta?

Gli esiti delle prove INVALSI osservano e misurano un fenomeno, in questo caso gli esiti di apprendimento al termine di alcuni gradi scolastici. Discorso a parte, ovviamente, è cercare di capire quale sia la ragione di questo fenomeno. Fatta questa doverosa premessa, molto probabilmente in questa inversione di tendenza registrata quest’anno nei risultati delle prove vi sia stata una decisa ripresa della didattica per colmare ciò che non è stato possibile fare durante la pandemia o nel periodo immediatamente successivo. Credo che buona parte sia derivata dal fatto che, passati oltre tre anni dal momento in cui la pandemia è stata più severa, la ripresa dell’attività didattica in tutte le sue componenti abbia giocato un ruolo molto importante, soprattutto nell’aiutare alcune categorie di allievi, vale a dire i più fragili ma anche gli allievi più bravi.

I risultati positivi nell’apprendimento dell’inglese dimostrano che le rilevazioni standardizzate possono indirizzare l’attenzione su aree specifiche. Quali altre aree disciplinari, secondo lei, necessitano di un intervento mirato e come l’Invalsi può contribuire a questo processo?

Certamente i risultati positivi in inglese costituiscono un caso molto interessante perché, a mio giudizio, si tratta della concretizzazione di ciò che viene ribadito nelle scienze dell’educazione e cioè “valutare vuol dire attribuire valore”. Probabilmente, per l’inglese è proprio vero. Se dobbiamo estrapolare un elemento da questa domanda, direi che una grande attenzione andrebbe esercitata nei confronti della comprensione della lettura. Ritengo che questo sia un punto cardine sul quale lavorare perché costituisce la base su cui si costruiscono tutti gli apprendimenti e anche le competenze di cittadinanza.

Nonostante i segnali positivi, permangono forti differenze territoriali nei risultati Invalsi, in particolare per la matematica. Quali strategie concrete si possono mettere in atto per colmare questo divario e garantire a tutti gli studenti pari opportunità di apprendimento?

Non c’è dubbio che, per quanto si registri una virata nella direzione giusta – il che è sicuramente positivo –, i divari territoriali sono davvero consistenti. Tra l’altro recenti studi indicano che esistono micro-divari, per esempio, all’interno delle grandi aree urbane. Ancora una volta, credo che le prove INVALSI sottolineino l’importanza di avviare una discussione aperta, plurale, partecipata su quali debbano essere concretamente e operativamente i traguardi di insegnamento e di apprendimento contenuti nelle Indicazioni nazionali. È necessario riflettere sulle Indicazioni alla luce della situazione attuale, ovviamente coinvolgendo tutti i soggetti interessati. L’INVALSI, dal canto suo, può supportare questo processo attraverso dati solidi che consentono di valutare tra diverse alternative. E la valutazione tra le diverse alternative spetta a chi ha competenze scientifiche, pedagogiche, didattiche e politiche per effettuare queste scelte.

Il contesto socio-economico-culturale influisce in modo significativo sui risultati scolastici. Come si può intervenire per mitigare l’impatto di questi fattori e creare un sistema educativo più equo e inclusivo?

Senza dubbio il contesto socio- economico influisce in maniera forte sugli esiti scolastici. E di fatto è un tema sul quale tutti i Paesi avanzati sono oggettivamente in difficoltà – chi più chi meno. Ritengo che sia ormai abbastanza chiaro che la strada più utile per affrontare e superare questo problema sia cominciare ad occuparsi del cosiddetto “spazio 0-6”, cioè la fase iniziale della vita dei bambini e delle bambine durante la quale si creano, purtroppo, le pre-condizioni che danno luogo ai divari. Un correttivo volto a ridurre questo svantaggio può essere costituito dall’intervento della mano pubblica – largamente intesa – laddove le famiglie sono meno in grado di farlo.

I dati INVALSI sono uno strumento prezioso per valutare l’efficacia delle politiche educative. Quali sono i tempi realistici per osservare cambiamenti significativi e come si può migliorare l’utilizzo di questi dati per orientare le scelte future?

Questa è una domanda non semplice, ma molto importante, e necessita una risposta articolata. Se si valuta o si cerca un’informazione robusta sull’efficacia o meno di una politica, di un’azione, di un’attività, di un progetto a livello di singola scuola è chiaro che prendere in considerazione il breve termine, in campo educativo, non è sufficiente. E quindi una valutazione complessiva richiede tempi più lunghi, vale a dire tre/cinque anni. Tuttavia, come sempre avviene nel caso di una misurazione, sono molto importanti anche i passaggi intermedi, dunque anche quelli di medio e breve termine per capire se si sta registrando un cambiamento, se questo cambiamento sta andando nella direzione giusta oppure no.  Ovviamente, prima di trarre delle conclusioni, va ricordato che nelle scienze quantitative applicate al contesto sociale bisogna che una tendenza trovi conferma almeno due o tre volte. Quindi non bisogna dimenticare che il medio e lungo termine si articola di tanti “breve termine”.

La dispersione implicita, pur con le critiche ricevute, resta un indicatore importante per individuare gli studenti a rischio. Come si può intervenire per contrastare questo fenomeno e garantire a tutti gli studenti un percorso di studi di successo?

La domanda si lega a quanto detto finora. Dal punto di vista metodologico-didattico ritengo sia fondamentale pensare in modo attivo e propositivo a interventi già riferiti allo “spazio 0-6” a cui ho fatto cenno. La dispersione implicita è una prima misura e, come tutte le misure, si tratta di una misura cosiddetta “di prossimità”, vale a dire indiretta. Sono quindi necessari discussione, dibattito, ricerca, approfondimento per avere misure che siano più “prossime” al fenomeno che intendono indagare. Va, però, ricordato che siamo in un momento di grande transizione tecnologica e digitale. I dati hanno, dal punto di vista probabilistico, un potere predittivo molto molto forte. Dunque, la vera sfida risiede nel muoversi in un contesto probabilistico non interpretando un esito come una sorta di predeterminazione perché, in questo caso, addirittura si creerebbe un danno allo studente, bensì collocando quell’esito in un quadro di senso pedagogico-didattico per utilizzare quelle ricorrenze che i dati individuano piuttosto chiaramente come fattori di rischio e quindi permettere di intervenire per contrastare il fenomeno. Ancora una volta, è necessario un dibattito serio, aperto, che legittimamente metta sul tavolo le critiche al fine però di poter costruire percorsi validi e risolutivi del problema.

L’intelligenza artificiale può rivoluzionare il modo in cui valutiamo l’apprendimento. Quali sono le potenzialità e le sfide di questo nuovo scenario e come l’Invalsi si sta preparando ad affrontare questa trasformazione?

Pur non essendo in grado di prevedere i tempi, credo che a breve l’intelligenza artificiale modificherà moltissimo le modalità di azione in campo scolastico, educativo e anche della valutazione. Ritengo che la grande sfida positiva sia passare – e la tecnologia dà buone speranze in questa direzione – da una valutazione esclusivamente individuale anche a una dimensione cooperativa perché oggigiorno è sì importante ciò che sappiamo fare individualmente ma è estremamente più importante ciò che sappiamo fare insieme. Quindi anche la valutazione necessariamente dovrà andare in questa direzione perché evidentemente non si può sostenere questo tipo di competenze e poi al momento della valutazione cambiare totalmente il quadro e valutare ogni studente per ciò che sa fare singolarmente, considerando anzi la collaborazione con gli altri studenti una diminutio. Dunque, la sfida da affrontare con grande attenzione è mantenere sempre quel quadro non solo pedagogico ma anche etico affinchè l’intelligenza artificiale non diventi un motore che amplifica le differenze. Oggettivamente, va detto che tutte le innovazioni tecnologiche hanno comportato questo rischio e spesso purtroppo ciò è avvenuto. Ancora più forte è il rischio per quanto riguarda l’intelligenza artificiale che costituisce un’innovazione molto più profonda e diversa dalle precedenti.

Spesso le prove Invalsi sono percepite come un giudizio sulla qualità dell’insegnamento più che come uno strumento di analisi del sistema. Come si può migliorare la comunicazione e la percezione di questi test da parte di insegnanti, studenti e famiglie?

Si tratta di un tema molto delicato e, come spesso accade, di fronte a temi delicati, l’unico modo per affrontarli è guardare le cose per come sono. In un certo qual modo, tutte le rilevazioni – standardizzate e non standardizzate – sono rivolte a osservare la qualità dell’insegnamento perché è attraverso un insegnamento di qualità che si hanno risultati positivi. Il tema è qual è la cornice all’interno della quale avviene questa osservazione e soprattutto chiarendo i limiti entro cui avviene. Ancor prima di quanto affermato per l’intelligenza artificiale, il lavoro dell’insegnante non è il lavoro di un solista ma è il lavoro di un’orchestra e quindi è necessario trovare strumenti che rendano adeguato spazio a questa dimensione. Inoltre, la comunicazione deve amplificare il messaggio che la scuola non è solo luogo di intenzioni ma anche di risultato. D’altro canto, i risultati non possono essere guardati come un oggetto sul vetrino del microscopio perché non si può assolutamente prescindere dal contesto attorno al microscopio.

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