Prove Invalsi, la lettera choc di una docente: “Ho visto un alunno di 11 anni tremare di paura, un altro dirmi che era incapace. Cari esperti avete fallito”

Marta Branda, 26 anni, insegnante precaria di sostegno alle scuole primarie e borsista di ricerca in psicologia all’Università di Milano Bicocca, denuncia in una lettera a Il Fatto Quotidiano l’impatto devastante dei test Invalsi sui bambini.
“Ho osservato un bambino di 11 anni tremare di paura, un altro immobile con lo sguardo spento e le lacrime agli occhi dirmi ‘Maestra, sono incapace'”, racconta Marta, descrivendo l’ansia e la paura che i test generano in bambini che, “a quell’età, dovrebbero cantare e correre nei prati“.
La docente descrive l’impotenza di fronte a un bambino con difficoltà socioculturali impossibilitato ad essere esonerato dalla prova per mancanza di una diagnosi, sottolineando la pericolosa deriva della patologizzazione infantile come unico mezzo per garantire i diritti dei bambini.
L’insegnante racconta come anche una classe brillante e preparata venga sopraffatta dall’ansia da prestazione di fronte a un test che richiede non solo conoscenze, ma anche un carico eccessivo di concentrazione e impegno. Un test che non tiene conto del percorso formativo ricco e innovativo che questi bambini hanno alle spalle, del lavoro di un team di docenti attenti alle esigenze di ogni singolo bambino e del gruppo.
La domanda che Branda pone è semplice e diretta: perché i bambini vengono trattati come variabili di un algoritmo? Perché la necessità di eccellere e di competere deve prevalere sullo sviluppo sereno e individuale di ogni bambino?
Marta conclude con un appello accorato agli “esperti dell’educazione e della formazione”: “Se questo è quello che il sistema faccia sì che un bambino possa anche solo minimamente pensare, avete fallito in toto”.
La sua denuncia apre un dibattito fondamentale sulla funzione dei test Invalsi e sul modo in cui valutiamo l’apprendimento e il sistema scolastico nel suo complesso.