Prendiamo atto che l’insegnamento dell’Educazione civica, nelle modalità con cui viene svolto, è fallimentare. Lettera

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inviata dal Prof. Francesco Piccininno – Ill.mo Sig. Ministro Valditara, chi Le scrive è un docente della classe di concorso A046, che, al pari di migliaia di altri colleghi in
tutta Italia, a distanza di oltre vent’anni anni dal conseguimento della abilitazione, si ritrova a stazionare in una o più graduatorie (GAE, GM, GPS) senza alcuna speranza di poter mettere a frutto le proprie competenze giuridiche acquisite, nel tempo, con la professione forense e, come in tanti altri casi, come il sottoscritto, anche quelle didattico-comunicative, sviluppate nei diversi anni di insegnamento sul sostegno alle classi.

Questi anni di servizio prestati con orgoglio e soddisfazione sul sostegno mi hanno consentito, infatti, di conoscere e vivere il mondo della scuola, di apprezzarne pregi e difetti, di individuarne le falle ma soprattutto le potenzialità, tante, grazie anche all’evoluzione del sistema scolastico di istruzione che si adegua, giorno dopo giorno, alle nuove tecnologie, alle metodologie didattiche più innovative, alle esigenze di inclusione ed integrazione.

Allo stesso tempo, però, questo continuo e sacrosanto volgere al futuro sta distogliendo il legislatore dal necessario sguardo agli errori o alle omissioni del passato.

Allorquando si richiama l’attenzione sull’affidamento dell’insegnamento del diritto/ed. civica ai docenti già abilitati sulla materia (A046) anche nelle scuole in cui non figuri un docente di scienze giuridiche economiche, il Ministero dell’Istruzione e del Merito sembra girarsi dall’altra parte o pare essere affetto da improvvisa miopia, o magari rimane semplicemente indifferente, o, nel migliore dei casi, procede con i propri programmi prestabiliti.

Una questione considerata spinosa, forse, o, ancor più gravemente, una problematica non così determinante ai fini del miglioramento nostro sistema di istruzione? Non si riesce davvero a capire.

Si è cercato di riparare al danno commesso nel 1990, in pieno conflitto stato-mafia (sic!), con l’abolizione dell’educazione civica (introdotta niente di meno che da Aldo Moro nel 1958), attraverso il suo reinserimento “soltanto” trent’anni dopo, nel 2020. Ma evidentemente non è stato sufficiente. Non sarà sufficiente e rimarrà solo un palliativo per come è stata configurata la sua reintroduzione nella scuola.

L’idea dell’educazione civica quale insegnamento trasversale, di per sé legittima e condivisibile, stride, tuttavia, con l’affidamento dello stesso a tutti i docenti delle più svariate discipline, privi, la maggior parte, delle competenze specifiche per consentire un apprendimento mirato ed efficace da parte degli alunni.

Nella quasi totalità dei casi, infatti, i docenti coinvolti, loro malgrado, in tale adempimento, svolgono tale incombente non solo senza passione alcuna ma con la consapevolezza di non avere nelle proprie corde né il lessico giuridico (ma questo è il minimo) né, tantomeno, il background necessario per affrontare le innumerevoli sfaccettature ed implicazioni che il diritto comporta nella vita quotidiana, trasmettendo inconsapevolmente questo senso di inadeguatezza ai propri studenti.

Eppure, proprio in questi ultimi anni, in cui si è attuato il cambiamento epocale verso una didattica per competenze, in un momento storico come questo in cui la competenza “chiave” di cittadinanza può aiutare davvero a soddisfare l’esigenza di un graduale ritorno ai valori della legalità, della giustizia, della solidarietà, della libertà, del senso del dovere in tutti i settori della vita (lavoro, economia, rapporti sociali, ambiente), il Ministero non sembra affatto interessato a cambiare le cose e non prende atto che l’insegnamento dell’educazione civica, per come è stato predisposto dalle linee guida del 2019, non è assolutamente idoneo allo scopo, sia in termini di tempo sia di modalità di attuazione sia di metodologia, con tutta probabilità nemmeno all’esito delle nuove linee guida di prossima emissione.

Il risultato di questi primi tre anni di sperimentazione è sotto gli occhi di tutti e non si può certo ritenere un soddisfacente.

Ebbene, in un momento cruciale come questo, in cui lo sconforto ci assale quando ascoltiamo notizie raccapriccianti su episodi di violenza di genere, di incidenti sul lavoro, di razzismo, deturpazione dell’ambiente e del patrimonio artistico, di omicidi stradali, episodi di cronaca di ogni genere che vedono, ahinoi, attori principali i giovani, talvolta ancora adolescenti, in una fase delicata come questa lo studio del diritto, considerato nella sua più ampia accezione, continua a rimanere colpevolmente una questione trascurabile, che si ritiene possa essere risolta con la sola educazione civica, materia jolly, che i docenti si rimpallano quasi fosse una patata bollente, spesso ridotta alla trasmissione di semplici norme di buon senso e vivere comune e limitata a trentatré ore annuali nel curricolo dei vari istituti ove il diritto come insegnamento non è compreso.

Ma così non è e non deve essere.

Il diritto è una cosa seria, è alla base di ogni forma di convivenza sociale e come materia di studio è importante come la storia, la geografia, la lingua italiana, la matematica o le scienze o tutte le altre e deve essere elevato a rango di materia curricolare di ogni ordine e grado, con un monte ore adeguato ai contenuti ed alle competenze che si intende far maturare.

Perché, invece di prendere passivamente atto del dilagante affermarsi di una illegalità diffusa, di un senso del dovere sempre meno sentito, di una cultura della sopraffazione o della furbizia quale stile di vita sempre più amato dai giovani, perché invece di assistere inerti a tale preoccupante situazione soprattutto nella fascia sociale dei giovani adolescenti, non si cerca di prevenire e limitare il problema attraverso un inserimento della disciplina del diritto strutturato in tutte le scuole di ordine e grado?

Perché, se davvero si vuole cambiare rotta, non si affida la materia a chi la materia la conosce in maniera approfondita, per un numero di ore giusto, che consenta di formare, alla fine del percorso di studio, un cittadino consapevole, rispettoso delle regole e degli altri o comunque pronto a riflettere sulle implicazioni che il proprio agire avrà nella sua vita, prepararlo insomma ad essere l’adulto di domani?

La società ha bisogno di cittadini proattivi e consapevoli che, una volta fuori dalle mura scolastiche, possano mettere a frutto le competenze, abilità e conoscenze acquisite a scuola in tutte le altre materie e dare il proprio contributo alla società.

È solo attraverso un reale approccio a questa materia che i valori della legalità, del rispetto, dell’onestà possano essere visti come opportunità per rendere migliore il futuro degli studenti stessi.

Se l’educazione civica è destinata a rimanere una materia senza alcuna credibilità, se non si riconosce alla stessa il reale valore che merita, allora tanto vale non svolgerla affatto.

Quale migliore occasione, caro Sig. Ministro, per prendere in considerazione l’opportunità di ridare all’intuizione di Aldo Moro nuovo lustro e nuovo impulso, affidando l’educazione civica a tutti quei docenti di diritto ed economia sparsi nel paese, costretti nelle stagnanti graduatorie A046, per inserire poi l’insegnamento del diritto nelle sue diverse ramificazioni a seconda dell’ordine, grado ed indirizzo, risolvendo in un colpo solo il problema del precariato e della specializzazione della materia, che finalmente comincerebbe a vivere il suo momento di gloria?

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