Prende congedo parentale per il figlio e va in Marocco, viene licenziato. Il tribunale intima il reintegro, ecco il perché. Sentenza

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6993 del 2025, si è pronunciata su un ricorso relativo a un caso di licenziamento intimato a un lavoratore durante il periodo di congedo parentale. Il ricorso traeva origine dalla sentenza della Corte d’Appello di Trento, la quale aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento e di alcuni provvedimenti disciplinari, imponendo al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento per trattenute retributive non dovute.

La motivazione della Corte d’Appello

Secondo la Corte d’Appello, il dipendente aveva usufruito del congedo parentale dal 2 al 13 aprile 2019. Durante gli ultimi dieci giorni di questo periodo, il lavoratore si era recato in Marocco, dove risiedeva la madre in condizioni di salute critiche, lasciando il figlio in Italia con la moglie. L’istruttoria aveva escluso qualsiasi attività lavorativa per conto terzi o condotta incompatibile con lo spirito del congedo.

La Corte ha riconosciuto che il viaggio fosse motivato da un’urgenza familiare e che rientrasse nei doveri di solidarietà. Ha inoltre escluso che l’allontanamento, data la sua breve durata e le circostanze specifiche, potesse costituire una violazione dei principi di buona fede e correttezza contrattuale.

Gli argomenti del ricorso

Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza sulla base di sei motivi, sostenendo, tra l’altro:

  • la contraddittorietà della motivazione riguardo alla compatibilità tra condotta del lavoratore e finalità del congedo;
  • l’erronea applicazione dell’art. 32 del D.Lgs. 151/2001;
  • la mancata considerazione della necessità di cura del figlio, che sarebbe stata la ragione iniziale del congedo;
  • l’insufficienza probatoria rispetto all’urgenza dell’assistenza alla madre;
  • l’irrilevanza giuridica attribuita al comportamento del lavoratore, che secondo il ricorrente avrebbe minato il rapporto fiduciario.

La valutazione della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto le doglianze, osservando che la decisione della Corte d’Appello si basava su un giudizio complessivo della situazione, includente la gravità dello stato di salute della madre, l’età del figlio, la mancanza di attività incompatibili, e il fatto che il figlio fosse affidato alla madre durante l’assenza del padre.

Ha inoltre chiarito che il concetto di “abuso del permesso” presuppone un comportamento intenzionalmente deviato dalla funzione originaria del congedo, elemento che nella fattispecie era assente. Non esiste quindi un automatismo tra l’interruzione dell’assistenza diretta al figlio e la configurazione dell’abuso.

Orientamenti giurisprudenziali richiamati

Nella motivazione, la Cassazione ha richiamato precedenti orientamenti, ribadendo che l’abuso del diritto implica l’assenza di funzione e un intento soggettivo di pregiudizio. Tali elementi devono essere dimostrati anche solo per presunzioni, e non sono emersi nel caso specifico. Di conseguenza, la condotta non è risultata antigiuridicaidonea a compromettere il rapporto fiduciario.

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