Precariato, più di 700 mila euro di risarcimento ai 19 insegnanti di religione per abuso dei contratti a termine

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È quanto ha disposto come giusto risarcimento il tribunale di Napoli nella persona del suo presidente per l’abuso dei contratti a termine da parte dello Stato italiano dopo la recente sentenza della Corte di giustizia europea che ha dichiarato illegittima la norma italiana. Fino a 28 mensilità assegnate per supplenze superiore a venti anni.

Marcello Pacifico (Anief): “Ora il Governo predisponga un concorso per titoli con un doppio canale di reclutamento, così come abbiamo sempre proposto per non soccombere rispetto a migliaia di richieste di risarcimento. Intanto in molti hanno già aderito ai ricorsi promossi da Anief”.

Adesioni ancora aperte al seguente link.

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Il Tribunale di Napoli, con sentenza a firma del dott. Paolo Coppola, ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, pari a più di 700 mila euro, per l’illegittima reiterazione dei contratti a termine stipulati dal Ministero dell’Istruzione con un gruppo di diciannove insegnanti di religione. La sentenza è stata resa dopo che la Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 13.01.2022, su rinvio pregiudiziale dello stesso Tribunale di Napoli, aveva statuito che “la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni detto ricorso abusivo”.

Il Tribunale di Napoli, verificata la inesistenza di ragioni oggettive atte a giustificare i contratti a termine nel settore in esame e preso atto del mancato inserimento dei ricorrenti in graduatorie utili per le assunzioni a tempo indeterminato, ha ritenuto, conformemente alla giurisprudenza della Cassazione, che il risarcimento del danno sia l’unica misura sanzionatoria dell’abusiva reiterazione dei contratti a temine.

La sentenza del Tribunale di Napoli, tuttavia, ed è questa l’importante novità, si è discostata dal criterio risarcitorio – da 2,5 a 12 mensilità dell’ultima retribuzione ex art. 32 della L. n. 183/2010 – individuato dalla sentenza n. 5072/2016 delle Sezioni Unite della Cassazione in ipotesi di abuso della reiterazione dei contratti a termine da parte della P.A.

Secondo il tribunale partenopeo, infatti, “appare evidente il contrasto del criterio proposto dalla Cassazione con l’obbligo di energicità della misura sanzionatoria voluto dal diritto dell’Unione europea”; analogo contrasto, inoltre, secondo il Decidente, “è rinvenibile con l’obbligo di dissuasività della misura indicata dalla Cassazione che determina l’effetto che, maggiore è la precarizzazione minore è la sanzione. In particolare, con la Sentenza Mascolo (punto 77) la C.g.u.e. ha affermato che quando, come nel caso di specie, il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro”. Appare evidente che 2.5 mensilità di risarcimento per un periodo limitato di abusiva reiterazione di contratti a termine e 12 mensilità per una continuata e pluridecennale reiterazione dell’abuso non sono proporzionati”.

Il Tribunale di Napoli, quindi, per rendere la misura risarcitoria energica, dissuasiva e proporzionata, ha applicato integralmente il criterio di quantificazione ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 già individuato dalle Sezioni Unite il quale prevede – per l’ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato nel settore privato – che “il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”. L’art. 8 della l. 604/66 prevede che il risarcimento del danno, in ipotesi di recesso illegittimo nelle aziende sotto soglia di applicazione della tutela reale, fissato tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto sia maggiorata nel massimo fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni.

Secondo il Tribunale di Napoli, dunque, considerato che l’art 8 della l. 604/66 aumenta del 66.66% l’indennità ivi prevista in ipotesi di contratti di durata superiore a 10 anni e del 133.33% la stessa in ipotesi di anzianità superiore ai venti anni, analogo criterio di adattamento può essere mutuato nella materia de qua giungendosi a 20 mensilità di retribuzione dell’ultima retribuzione globale di fatto in ipotesi di anzianità superiore a 10 anni e 28 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in ipotesi di anzianità superiore a 20 anni.

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