Precari della scuola: risarcimento per reiterazione dei contratti a termine non va tassato, migliaia di euro da restituire a docenti e ATA. SENTENZA
Con due clamorose sentenze il Consiglio di Stato ha sancito in via definitiva che il risarcimento del danno da reiterazione abusiva dei contratti a termine ottenuto dai precari della scuola, docenti e personale Ata, non doveva essere tassato. I giudici amministrativi, chiudendo in appello un giudizio di ottemperanza che davanti al Tar della Puglia aveva visto soccombere i lavoratori, ha ribadito esplicitamente e confermato l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione sulla illegittimità della tassazione Irpef del risarcimento.
Sebbene consolidato, tale orientamento non ha tuttavia convinto in questi anni l’amministrazione scolastica, la quale, nel corrispondere gli assegni agli interessati che avevano vinto una causa, aveva assoggettato le somme a ritenuta Irpef considerandole alla stessa stregua degli stipendi e non invece quale risarcimento da danno emergente, in quanto tale non tassabile.
Le trattenute sono generalmente del 25 per cento circa, pertanto i ricorrenti si son visti sottrarre un quarto del dovuto, a nulla essendo servite le richieste di non procedere alla tassazione.
Ricordiamo che il risarcimento da abusiva reiterazione dei contratti a termine è previsto dal decreto legislativo 165 del 2001 ma solo verso il 2010 i precari, talvolta dopo essere passati di ruolo, hanno preso coscienza di questo diritto, anche grazie alle prime vertenze ispirate dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitarie in tema di prevenzione e repressione del ricorso da parte degli Stati e degli enti pubblici alla reiterazione dei contratti a termine.
L’entità degli esborsi pubblici, vista la gran mole di cause promosse in questi anni, è davvero imponente, ma di recente, specie a seguito della Buona scuola con cui il governo Renzi ha assunto in ruolo circa centomila docenti, i giudici si mostrano restii a risarcire coloro che fanno ricorso, sulla base della considerazione che le immissioni massive rappresentano già, sebbene per molti in astratto, un risarcimento in forma specifica dell’abuso di precariato.
Una circolare restrittiva del Governo Monti avrebbe per di più inciso in questo senso nel libero convincimento dei giudici. Il risarcimento è in genere determinato dal giudice di merito commisurandolo a un certo numero di mensilità globali al lordo e da incassare al netto.
Le pronunce recenti vedono come protagoniste una docente di Lettere di 42 anni e una collaboratrice scolastica ormai sessantenne. Entrambe difese dall’avvocato Michele Ursini del Foro di Bari, avevano fatto causa assieme a un’altra collega alcuni anni orsono per ottenere il risarcimento del danno e il riconoscimento della progressione stipendiale, come altre decine di migliaia di insegnanti un po’ in tutta Italia.
Patrocinate dal legale Ursini, per conto del sindacato Anief, le lavoratrici avevano ottenuto dal Tribunale del lavoro quanto richiesto, almeno sulla carta. Qualche anno dopo, non avendo ottenuto ancora l’esecuzione della sentenza, il legale ha agito davanti al Tar della Puglia, in un giudizio di ottemperanza per vedere eseguita la sentenza del giudice di merito. Ma l’organo giudiziario amministrativo, nel fare eseguire la sentenza ha consentito che l’amministrazione operasse sulle somme le trattenute Irpef, in ciò discostandosi dall’orientamento della Cassazione che, come detto, è da tempo di tenore opposto.
Non soddisfatto del risultato l’avvocato Michele Ursini ha infine proposto alle interessate il ricorso in appello davanti al Consiglio di Stato, convinto che i lavoratori della scuola abbiano ragione sul punto in questione. Tanta tenacia è stata premiata e ora due delle tre ricorrenti stanno per incassare la restituzione di quanto trattenuto indebitamente sul piano fiscale, mentre la terza ricorrente, scoraggiata, aveva rinunciato all’ultimo grado di giudizio, accontentandosi di una correzione di un ulteriore errore: nel riconoscerle il risarcimento i giudici lo avevano commisurato non alla retribuzione globale ma a quella netta, per di più tassandola.
Avvocato Michele Ursini, fino al 2013 questi compensi non erano tassati, poi nel terribile anno 2013 succede qualcosa. E’ così?
“Con il governo Monti è stata varata una circolare che impartiva istruzioni alle amministrazioni nel senso di considerare questi importi come omnicomprensivi. Da questo aggettivo le varie Ragionerie provinciali hanno inteso di effettuare la ritenute su questi importi tanto è vero che sto curando una caso che si pone a cavallo di questa norma e in cui alla docente prima vengono conteggiati e annunciati 15.000 euro come mensilità di risarcimento, poi una nota succesiva porta il risarcimento a 11 mila. Riprenderemo in giudizio questa situazione”.
C’è una prescrizione in questo caso?
“C’è la prescrizione ordinaria decennale”
Veniamo alle sentenze che vedono vincitrici una docente e una collaboratrice scolastica sue assistite, davanti al Consiglio di Stato.
“Sono partito con tre ricorsi per ottemperanza per esecuzione delle sentenza del giudice del lavoro che ancora non erano state eseguite. Il Tar Puglia nel 2019 ha fatto eseguire la sentenza del tribunale ma le somme percepite dalle ricorrenti erano state assoggettate a trattenuta Irpef ritendo che il risarcimento avesse una natura retributiva. Una delle tre ricorrenti non ha voluto fare appello, due invece hanno proseguito la loro battaglia davanti al Consiglio di Stato. E son venute fuori queste due sentenze di accoglimento, una del 18 marzo e una del 28 aprile 2021”.
Cosa dicono queste sentenze?
“E’ stato confermato, dal Consiglio di Stato, l’orientamento peraltro consolidato della Cassazione. Il Consiglio di Stato ha detto che queste somme non andavano tassate e proprio con riferimento ai precari della scuola. I giudici hanno ribadito l’orientamento, richiamando un’ulteriore sentenza della Cassazione emanata nel 2020. Le due sentenze dicono che l’importo corrisposto al lavoratore per la retiterata abusiva utilizzazione dei contratti a termine hanno natura risarcitoria da perdita di chances e come tale estranea ai rapporti di lavoro. Di conseguenza non sono assoggettabili a tassazione Irpef. Ecco che cosa si legge testualmente nelle sentenze del Consiglio di Stato: “Con riferimento all’imponibilità fiscale del risarcimento la Corte di Cassazione ha chiarito che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti; le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi della mancata percezione di redditi, mentre non costituisce reddito imponibile ogni risarcimento inteso a riparare un pregiudizio di natura diversa (Cass. sez. 5ª n. 12789 del 2003). In definitiva, con riferimento alle indennità risarcitorie si deve ritenere che esse siano assoggettate a tassazione solo se dirette a sostituire un reddito non conseguito e quindi a risarcire il cosiddetto lucro cessante, mentre non lo siano se sono volte a risarcite altre forme di danno di carattere emergente. Nel caso di specie, l’appellante, essendo dipendente pubblica, non ha perso “alcun posto di lavoro alle dipendenze dell’amministrazione pubblica per la quale ha lavorato ed al quale non avrebbe mai avuto diritto non avendo superato il vaglio di un concorso pubblico per un posto stabile. Il danno per il dipendente pubblico è altro: il lavoratore a termine nel pubblico impiego, se il termine è illegittimamente apposto, perde la chance della occupazione alternativa migliore e tale è anche la connotazione intrinseca del danno, seppur più intenso, ove il termine sia illegittimo per abusiva reiterazione dei contratti (Cass., ss. uu., n. 5072 del 2016). Sulla base di tali principi non appare condivisibile quanto affermato dal primo giudice, che assimila la posizione della ricorrente a quella del lavoratore che debba essere risarcito per essere stato allontanato dal posto di lavoro nel periodo compreso tra l’allontanamento e la sentenza di merito. Nel caso del pubblico dipendente non può esservi una sentenza di merito che pone fine alla precarietà del lavoro e pertanto il risarcimento non può riguardare le retribuzioni non percepite nel frattempo, ma il danno costituito dalla precarietà in sé, per le perdita di opportunità che comporta. Del resto, la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza non non si riferisce in alcun modo a retribuzioni non percepite, ma esclusivamente al risarcimento del danno “in funzione della durata complessiva della condizione precaria di circa sei anni…”. L’importo da corrispondere all’appellante, in esecuzione di tale sentenza non avrebbe dovuto, quindi, essere sottoposto alla ritenuta d’acconto Irpef”.
Più chiaro di così…Ora che succede per queste due lavoratrici, che immagino stiano festeggiando?
“Certo, le interessate sono contente. Dobbiamo solo incassare. Tra l’altro la sentenza della collaboratrice scolastica stabilisce quale debba essere la mensilità su cui calcolare l’ultima retribuzione globale di fatto. Secondo noi è la data della pubblicazione della sentenza e non quella dell’iscrizione a ruolo della causa. I giudici stabiliscono infatti che la retribuzione su cui va calcolato il risarcimento è quella (più alta) riferita alla data della pubblicazione della sentenza”.
In che termini e modalità potrebbero trovare giovamento tutti gli altri lavoratori che in questi anni hanno ottenuto il risarcimento del danno e che si siano visti decurtare l’importo a causa delle trattenute fiscali ritenute indebite anche dal Consiglio di Stato?
“Dovrebbero rivendicare la restituzione delle somme trattenute dello Stato”
Ci sono problemi di prescrizione?
“Ci sono dieci anni di tempo dalla data di pagamento ed è meglio inviare subito una lettera interruttiva dei termini”.
Torniamo a un aspetto tecnico importante della questione. La mensilità di riferimento va considerata al lordo ma il calcolo è inteso al netto. Per fare un esempio, se la mensilità lorda fosse di 2200 euro, il risarcimento netto di dieci mensilità dovrebbe essere di 22.000 euro. Ci sono stati mai problemi interpretativi su questo piano da parte dell’amministrazione?
“Si parla infatti ultima retribuzione globale di fatto. Il calcolo si fa come ha detto lei ma abbiamo avuto talvolta problemi. Ho seguito un caso di incredibile doppia tassazione: la docente non solo aveva ricevuto le mensilità di danno calcolate sul netto – e non sull’importo lordo, più vantaggioso, come doveva essere – ma poi quel risarcimento è stato addirittura assoggettato a tassazione Irpef, come non doveva essere”.
Avvocato Ursini, le due sentenze sulla non tassabilità del risarcimento, che lei ha ottenuto, sono decisamente importanti, specie in un periodo in cui i giudici non riconoscono quasi più il risarcimento da reiterazione dei contratti a termine.
“Ormai sentenze di questo tipo sono molto poche. Tutti i Tribunali hanno aderito alla decisione giudiziaria per cui le immissioni in ruolo avvenute con il piano di Renzi nel 2015 abbiano sanato la situazione. Il comma 132 della Legge 107 sulla Buona scuola, relativo al risarcimento prevedeva un fondo per le condanne e si tratta di un fondo costantemente finanziato. Peraltro la stessa legge 107 non ha messo alcuna limitazione al risarcimento del danno. Invece la Consulta, con la sentenza 187/2016 ha negato la tutela risarcitoria ai docenti immessi in ruolo. Diciamo che la differenza l’ha fatta la nuova versione dell’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio”.