Povera scuola! Lettera

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Inviata da Gaia Colosimo – Cosa resta della Scuola? Niente! Per capire questa risposta così categorica bisogna prima mettersi d’accordo su cosa intendiamo per Scuola, pur volendo bypassare il significato etimologico che aprirebbe un dibattito pedagogico che va avanti da sempre, vorrei ricordare una delle definizioni più diffuse: Istituzione a carattere sociale che, attraverso un’attività didattica organizzata e strutturata, tende a dare un’educazione, una formazione umana e culturale, una preparazione specifica in una determinata disciplina, arte, tecnica, professione, ecc.

La parte in cui si precisa che si tratta di un’istituzione a carattere sociale per una formazione umana e culturale sembra sia finita nel dimenticatoio, non mi meraviglierei (visto l’uso improprio delle parole che caratterizza la nostra epoca) se questi termini venissero sostituiti o addirittura ne venisse cambiato il significato. Sì, perché parto dal presupposto che un giorno abbiamo deciso di dare significati differenti alle parole, altrimenti non si userebbero certi termini così impunemente, senza suscitare neanche il minimo sussulto da parte di un giornalista, intervistatore, presentatore.

Per esempio, quando ci siamo messi d’accordo che il termine poveri fosse corretto come sinonimo per definire i cittadini? Rimando al secondo comma dell’art.3 della Costituzione, dove nelle parole cittadini e lavoratori e nel ruolo che ha lo Stato non mi pare di scorgere riferimenti a poveri o bisognosi. Quando abbiamo deciso di cambiare il significato della parola lavoratori, escludendone il valore intrinseco della dignità? Viste le condizioni a cui sempre più persone sono costrette a sottostare.

Tornando alla Scuola, quella dove dobbiamo trasmettere i princìpi fondamentali della nostra Costituzione. In che modo pensiamo di fare attecchire concetti così attentamente enunciati se non hanno corrispondenza nella vita reale? Le parole portano dentro significati profondi, la storia che le ha plasmate, il valore condiviso che abbiamo deciso di affidargli.

Quando abbiamo deciso che la Scuola dovesse rispondere innanzitutto all’esigenza di innovazione privandola di tutto quello per cui è sorta? Formare l’uomo e il cittadino non sono due parole messe lì a caso e finché non saremo in grado di far corrispondere alla vita reale quello che insegniamo, partendo innanzitutto dal nostro comportamento, non saremo in grado di definirci società civile.

Mentre organizziamo incontri di formazione per parlare del bullismo, di sicurezza, ed. all’affettività, ed.alimentare, all’ambiente e tanto altro ancora (temi, per inciso, di cui la Scuola si occupa per antonomasia da sempre), i nostri alunni sono spettatori inermi di adulti che non si rivolgono la parola, quando va bene, che si difendono l’uno dall’altro, che non fanno altro che litigare, anche in televisione, persone che si urlano addosso, che mancano di rispetto agli interlocutori, che adoperano toni sgradevoli e spesso inadeguati alle cariche ricoperte.

Cosa provano i nostri ragazzi quando osservano il degrado di certe aule, il tetto crollargli addosso, il genitore dover provvedere alla tanto menzionata carta igienica, ma ormai questa è una condizione endemica, non fa più né notizia, né campagna elettorale per i più opportunisti e spregiudicati che promettevano una Scuola che potesse definirsi tale!

Adesso si guarda a città intere spazzate via dal mal tempo, presto però con il sistema di allerta non faremo più caso neanche a questo perché i soldi dovranno essere investiti in opere “utili”, mica per risanare un territorio devastato dall’incuria e dal malaffare. Quanto all’alimentazione il dio mercato vince su tutto, anche sul diritto alla salute.

Insomma cosa dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi? Cosa è diventata la Scuola? Bazzicata sempre più da formatori a vario titolo, mentre gli insegnanti, che lo sono davvero, senza accorgersene continuano a derogare le proprie mansioni, partecipando, pur senza volerlo, alla deriva definitiva di un’istituzione a carattere sociale che nasce per la formazione umana e culturale delle persone, ruolo a cui solo gli insegnanti formati con forti radici legate ai processi di apprendimento/insegnamento possono ottemperare.

Oggi sembra che tutti abbiano titolo a parlare di Scuola, si pescano brevi informazioni su internet e si impone il proprio credo, in barba ad anni di ricerca, studi di esperti del settore, come se certe scoperte scientifiche, in quanto datate, non fossero più da tenere in considerazione. Superate da brevi unità accattivanti con animatori al seguito (con tutto il rispetto per gli animatori, però fanno un altro lavoro).

E mentre si amplia la platea degli avventori che si accorgono del business della didattica e spingono il loro modus operandi verso l’alto, noi docenti livelliamo verso il basso le nostre lezioni, animandole, rendendole accattivanti con ogni mezzo possibile, tanto per essere al passo con la modernità a tutti i costi (altro sono le strategie didattiche).

Sicuramente in questo momento possiamo definirci poveri e non perché non abbiamo risorse, capacità, competenze ma perché non abbiamo più valori.

Siamo orfani di modelli di riferimento e defraudati dei nostri diritti, ma con la nostra complicità. Noi partecipiamo in prima persona a questo impoverimento, gareggiando per la sopravvivenza come se fosse lecito vivere come viviamo.

La Scuola restava l’unico presidio legittimato a trasmettere quei valori necessari a formare l’uomo e il cittadino, oggi sono stati introdotti: il merito e non più la cooperazione, i progetti, i tutor, l’inclusione (e non più l’integrazione), l’imperativo dell’innovazione, i PON, ecc. abbiamo derogato ai nostri princìpi e demandato ad altri il ruolo di insegnanti, genitori, educatori,…Povera Scuola!

Con l’accezione che richiama l’aggettivo anteposto e purtroppo anche posposto: Scuola povera. E con lei lo siamo diventati anche noi, ma non mi sento di dire: poveri noi! Perché a questa nostra condizione stiamo contribuendo con le nostre mani. Invece di litigare e sgomitare dovremmo costruire alleanze per una società migliore in grado di ospitare cittadini e non poveri.

Mi auguro che le nuove generazioni riescano a porre rimedio a tutto questo, io nel frattempo scrivo e parlo a quei cittadini ricchi di spirito che non si arrendono di fronte a tanta povertà d’animo e che sanno che: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

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